Stelo: «Così ho cambiato i nostri Servizi Segreti»
Al Master in Intelligence dell’Unical il prefetto che trasformò il Sisde dopo il terribile scandalo dei fondi neri
Romano ma senese di adozione. Anzi, più romanista che romano, come ha ricordato Alfredo Mantici, analista di dati, che ha lavorato gomito a gomito con lui: «Pensate che quando era prefetto a Torino, fece inserire “Grazie Roma”, il celebre inno romanista di Venditti, nel centralino telefonico del suo ufficio».
E aneddoti Vittorio Stelo, una carriera di lunghissimo corso nei quadri alti della pubblica sicurezza terminata con la nomina nel Consiglio di Stato, ne ha raccontati tanti, nel corso del suo recente intervento al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.
L’aspetto più delicato del lunghissimo curriculum di Stelo (che è un habitué del Master, dove insegna sin dal 2007) riguarda il Sisde, di cui fu direttore dal 1996 al 2001, con una mission che definire delicata è poco: ricostruire i Servizi Segreti civili dopo i danni incalcolabili, non solo d’immagine, procurati dallo scandalo dei fondi neri: «Una vicenda pesantissima, in cui chi mi aveva preceduto pagò oltre le sue responsabilità», ha ricordato il prefetto, con un palese riferimento a Riccardo Malpica.
Con la nomina di Stelo, cambiò quasi del tutto l’impostazione dei servizi: «Il cambio della guardia venne annunciato dai giornali, su cui fu pubblicata la mia foto», quasi un inedito, nella prassi di assoluta riservatezza dell’intelligence italiana (si pensi che di solito le foto pubbliche degli 007 che contano sono poche e brutte).
Ma il cambiamento non fu solo questo: «Iniziai a sostituire gradualmente il personale, inserendo forze fresche dal personale di polizia e modernizzai l’impostazione dei servizi», in particolare con la creazione dell’archivio elettronico e della sezione economica e finanziaria, «perché con la fine della Guerra Fredda, che si basava su una contrapposizione essenzialmente politica, capimmo che le grandi sfide si sarebbero svolte sul terreno economico».
Non basta: «Era importante anche un maggior dialogo con l’opinione pubblica, specializzata e non», e allo scopo fu potenziata la rivista Per Aspera ad Veritatem (oggi Gnosi) e fu valorizzata la Scuola di formazione. I due organi furono aperti a collaborazioni esterne, in particolare di docenti universitari e intellettuali.
Lo scopo di queste iniziative, che contribuirono a riabilitare il Sisde agli occhi dei cittadini, era «far passare alcuni principi essenziali, letteralmente occultati da una parte della stampa: che non esistono i Servizi deviati, ma gli agenti deviati; inoltre, se è vero che, come affermava Indro Montanelli, i Servizi a volte devono operare in un’area grigia, è altrettanto vero quel che diceva Cossiga: l’intelligence deve combinare la legittimità dei fini con la legalità dei mezzi».
Missione riuscita? Chiederlo a Stelo è un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono. Ma è certo che il Sisde uscito dalla direzione Stelo fu una struttura completamente rimodernata, pronta a recepire la riforma del 2007, che l’ha trasformata nell’Aisi. Sebbene anche questa riforma, secondo il prefetto, abbia qualche pecca: «La legge 124 del 2007 ha spezzato il rapporto fiduciario tra il direttore generale e il ministro dell’Interno: ora la normativa ha posto l’Agenzia alle dipendenze della Presidenza del Consiglio, che tuttavia è una sorta di entità metafisica, laddove il rapporto col ministro era più concreto e stringente», col risultato che questo legame ministeriale, prima obbligatorio, «è lasciato alla sensibilità dei singoli titolari del dicastero».
Sul profilo più operativo, la direzione di Stelo è stata caratterizzata da molte operazioni importanti: l’inchiesta sull’omicidio di Marta Russo, il caso Ochalan, la fuga di Licio Gelli in Svizzera, l’assalto al Campanile di San Marco, l’assassinio misterioso della giornalista Ilaria Alpi e quello del professor Biagio D’Antona, eseguito dalle Nuove Brigate Rosse, il dossier Achille e il Giubileo 2000.
In tutti questi casi, ha spiegato Stelo, «abbiamo collaborato con i Servizi di altri Paesi in maniera leale e proficua. E ci siamo resi conto che quest’attività internazionale oggi è ancor più indispensabile, per affrontare i mali portati dalla globalizzazione».
Su quest’aspetto il punto di vista del prefetto è critico: «La globalizzazione ha eroso la sovranità degli stati e ha comportato la globalizzazione delle povertà, nelle quali sguazzano le mafie, che usano questo processo storico senza farsene assimilare o condizionare». Ecco la nuova emergenza: la criminalità organizzata, i cui danni possono diventare incalcolabili, «soprattutto se si considera che le mafie hanno contagiato con la propria, peculiare mentalità molti settori della società e delle istituzioni». In conclusione, il prefetto Stelo ha lanciato un invito: «Apprezzate il lavoro dell’intelligenze perché è fondamentale nelle nostre società complesse e aggredite da forze sempre più incontrollabili».
Una carriera senza macchie la sua? Una, forse, ci sarebbe: secondo alcuni giornali dell’epoca, Stelo avrebbe addirittura costretto i suoi collaboratori a tifare la Magica. «Ma non è vero, pensate che l’unico romanista nello staff dirigenziale del Sisde ero io e i miei collaboratori più stretti erano juventini e, addirittura, laziali»… Che dire? Uno così forse ci fa sentire più sicuri, perché un golpe non potrebbe neppure pensarlo…
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