Risse d’epoca tra borbonici e cittadini
Un documento dell’Archivio di Stato di Napoli racconta i problemi di ordine pubblico del periodo postunitario al Sud dovuti alle liti furiose tra gli sbandati dell’ex esercito borbonico, le popolazioni e i militi della Guardia Nazionale. A un certo punto fu necessario l’intervento dei bersaglieri per proteggere i soldati napoletani dalla furia dei comuni cittadini. Altro che deportazione…
Il fondo Questura dell’Archivio di Stato di Napoli contiene una ricca e preziosa documentazione che illustra la delicata e scabrosa fase di passaggio della storia di Napoli che coincide con il crollo del Regno delle Due Sicilie e l’avvento dello Stato unitario.
Costituita con decreto luogotenenziale del 22 dicembre 1860, per soppressione della borbonica Prefettura di Polizia, la Questura fu infatti, da allora, il maggior organo di polizia e di pubblica sicurezza per la città e per la provincia di Napoli.
Un esempio significativo dell’interesse storico di questo materiale è rappresentato dal fascicolo 34 della busta 1717 della serie Gabinetto, appartenente al suddetto fondo archivistico. L’incartamento reca il titolo: Disordini avvenuti nella stazione di Torre Annunziata durante il trasporto da Nocera a Napoli delle truppe sbandate del disciolto esercito borbonico.
Alle diciassette e trenta del 1 febbraio 1861 il sindaco di Torre Annunziata invia un telegramma al Consigliere direttore del Dicastero della Polizia in Napoli. Poche ore prima, precisamente alle due e trentacinque pomeridiane, era passato dalla città vesuviana, proveniente da Nocera, un convoglio ferroviario che trasportava verso Napoli dei soldati borbonici sbandati. Queste truppe – narra il sindaco – per lungo tratto avevano gridato «Viva Francesco secondo», facendo sventolare fazzoletti bianchi. Molti ragazzi, però, indignati dalle suddette grida, avevano tirato delle pietre in direzione dei soldati: uno di costoro, colpito alla testa, aveva lasciato cadere un fazzoletto bianco e un berretto di panno recante l’insegna dell’8° Cacciatori e, all’interno, la scritta: «Mazzola secondo sergente». Il capostazione aveva quindi consegnato gli oggetti qui descritti al sindaco medesimo. Dal momento che per l’indomani era previsto un altro transito di truppe del disciolto esercito delle Due Sicilie, lo scrivente chiede al direttore del Dicastero della Polizia di dare disposizioni onde evitare il ripetersi di simili disordini.
L’episodio, apparentemente marginale, mette invece in moto un’imponente macchina burocratica. Il direttore del Dicastero della Polizia, infatti, ne dà a sua volta notizia al generale comandante la città di Napoli, al Segretario generale di Stato presso la Luogotenenza del re Vittorio Emanuele II, nonché al Direttore generale del Dicastero della Guerra. Due giorni dopo l’accaduto, il maggiore generale Trofimo Arnulfi – comandante, con il titolo d’ispettore, dei reparti di Carabinieri dislocati nelle province meridionali – riferisce anch’egli della scaramuccia di Torre Annunziata scrivendo al direttore del Dicastero della Polizia.
Questi è pure destinatario, il 9 febbraio successivo, di una comunicazione del Comando della Provincia e Piazza di Napoli, con cui lo si informa che erano stati comminati gli arresti di rigore a quattro ufficiali napoletani incaricati di accompagnare i soldati responsabili della zuffa. Si era inoltre disposto «che in altre simili circostanze, questi convogli fossero scortati da alcuni Bersaglieri, con ordine di far uso delle armi per reprimere qualunque manifestazione di disordine».
L’11 febbraio è la volta del governatore di Salerno, il quale si indirizza «al Consigliere della Polizia in Napoli, ed al Direttore della Guerra” per mezzo di un “dispaccio elettrico»: «Il Sindaco di Nocera inferiore premura perché o sieno allontanati i soldati borbonici da quel deposito, o sospendersi [sic] il richiamo dei Bersaglieri piemontesi che li tengono in soggezione, od infine sostituirsi altra truppa regolare se debbano dipartirsi i Bersaglieri». Il giorno prima, infatti, prosegue il governatore, era nato un conflitto tra ufficiali e sottufficiali della Guardia nazionale e i soldati di Francesco II, «che insultano fortemente la guardia cittadina»; si erano addirittura lamentati dei feriti. Lo scrivente, quindi, invoca «solleciti provvedimenti» onde evitare le tristissime conseguenze che, a suo dire, si verificherebbero ove mai i soldati borbonici «colà restassero isolati». Il giorno stesso il Consigliere della Polizia si affretta a dare comunicazione del telegramma «a S.E. il Segretario generale di Stato presso la Luogotenenza generale del Re».
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