Lift, quella particolare via italiana al pop rock
La band tosco-umbra abbandona il cantato in inglese e ne “Il primo album in italiano” mescola sonorità internazionali e melodie tricolori
Diciamolo subito: i Lift, giovane formazione tosco-umbra dalla consistente gavetta (il nucleo originale della band esiste dal 2010) non sono affatto male.
Certo, le loro soluzioni sonore non sono originalissime, ma va detto che per il loro genere, un pop rock dalle trame sonore robuste e ricercate, la sperimentazione non è richiesta.
Anzi, la bravura consiste nel saper interpretare i canoni con efficacia, e i tre artisti (la cantante Giulia Giovagnoli, il chitarrista Baz e la bassista Sara Ciabucchi, che si dedica anche al Glockenspiel) lo fanno praticamente da sempre, sia nei due loro ep in lingua inglese (Crashed At The Party e The B-Demo) sia nel loro album, intitolato con un pizzico di minimalismo Il primo album in italiano, uscito in autoproduzione nel 2017.
Datato? Ma proprio no, grazie all’eternità mediatica del digitale e alla freschezza nelle composizioni, che riescono a bilanciare la maggiore forza melodica del cantato in italiano con strutture musicali che oscillano tra il rock alla U2 e il pop internazionale.
Il tutto arricchito da testi interessanti e ben concepiti su tematiche esistenziali.
È il caso di scendere nel dettaglio di questa piccola gemma, non ancora conosciuta come si dovrebbe.
L’album, scritto interamente dai Lift, è arrangiato con l’apporto di Federico Valeri, è composto da dieci brani, di cui uno in inglese, più due bonus track. Oltre ai tre membri originali (o superstiti, fate voi), vi collaborano ben cinque batteristi, e cioè: Marco Bindella, Marco Olivo, Leonardo Taddei, Riccardo Bigotti e Francesco Cecconi (questi ultimi due accompagnano tra l’altro abitualmente la band dal vivo), più vari ospiti di livello internazionale.
Procediamo con ordine.
La voce vellutata della Giovagnoli vola letteralmente sull’arrangiamento arioso e dinamico di Il coprifuoco, in cui una garbata elettronica arricchisce la base prevalentemente acustica impreziosita da un giro di basso semplice ed efficace.
Leggermente più rock, con un vago e piacevole richiamo ai Negramaro, la seguente Tutto è possibile è caratterizzata da un crescendo marcato da tanti stop and go, su cui la voce crea un gradevole contrasto melodico.
Il sottile equilibrio dell’amore si snoda sinuosa su un bel tempo di bossa e arrangiamenti minimali che circondano di atmosfere notturne le linee vocali soavi e sensuali allo stesso tempo. C’è da dire che il valore di questo pezzo è stato riconosciuto a suo tempo dalla giuria del Sonority Festival di Ferrara, che lo ha premiato come miglior pezzo, grazie anche all’interessamento di Ricky Portera.
Un altro tutto in suoni più rock, grazie alle parti di chitarra efficaci e non troppo pesanti, Il profumo d’estate è una canzone d’amore malinconica dalle melodie raffinate. Non è un caso che il brano, singolo apripista dell’album, sia stato premiato al Porto Recanati Summer Festival.
L’esigenza attacca con una vaga citazione hendrixiana (l’arpeggio distorto di The Star Spangled Banner) e si lancia in un bel rock ritmato dall’arrangiamento che richiama un po’ gli U2 e un po’ la buona vecchia new wave.
Il cammino è una semi ballad dalle atmosfere notturne e dal crescendo arioso, arricchita dall’harmonium indiano suonato da Mally Harpaz, brava polistrumentista britannica nota per la sua collaborazione con Anna Calvi.
Ritornerò si muove su un riff sghembo vagamente r’n’b e su un tempo spezzato di matrice beat.
In Aspettando quel momento ritorna l’harmonium della Harpaz, che aggiunge un tocco orientale a un arrangiamento marcatamente psichedelico.
Lo dice Freud (è solo un incubo), forse il brano più interessante dell’album, è una simpatica raccolta di nonsense in chiave new wave, arricchita dai riff e dagli arpeggi raffinati di Edo Faiella, chitarrista di fama e guest star del pezzo.
Chiude Green Hope, l’unico pezzo in inglese, proveniente dalla passata produzione della band e riarrangiato per l’occasione con la presenza di un’altra guest star: il chitarrista Freddy Wales, che riempie il suono coi suoi tocchi rock blues che sfociano in un assolo efficace.
A mo’ di appendice, le due bonus track, che sono le versioni remixate di Il sottile equilibrio dell’amore, resa in chiave più pop e solare, e di Lo dice Freud, che acquista atmosfere più dark.
Sicuramente da riascoltare, per chi l’ha già apprezzato a suo tempo, ma da scoprire per chi ancora non conosce la musica del trio, Il primo album in italiano è un buon esempio di quanto possono fare le nuove leve della scena italiana.
A patto, però, che le si lasci fare e non le si condizioni nelle scelte artistiche.
La libertà nel songwriting, ci confermano i Lift, è un toccasana per chi ha talento.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Lift
Da ascoltare (e da vedere):
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