Il Kgb e i comunisti de’ noartri. Tutte le stranezze della Commissione Mitrokhin
Sopravvissuto a una querela dell’ex deputato Ds Valter Bielli, lo storico Salvatore Sechi racconta in un libro la sua esperienza nella Commissione d’inchiesta che avrebbe dovuto far luce sui rapporti “proibiti” tra il Pci e l’Urss
Salvatore Sechi, sardo di nascita e bolognese di adozione, storico di vaglia e consulente di importanti Commissioni parlamentari d’inchiesta non è uno che le manda a dire, come sa chi ha avuto a che fare con lui a vario titolo, soprattutto accademico e politico.
Ma lo sanno anche i magistrati che hanno esaminato le querele subite da questo studioso, outsider della sinistra più intelligente e liberalsocialista di spavalda coerenza.
Una su tutte: la denuncia dell’ex diessino Valter Bielli per vicende legate alla Commissione Mitrokhin, di cui Sechi fu consulente ligio e riottoso allo stesso tempo.
Ligio, si capisce, ai doveri dello studioso, riottoso, invece, alla gestione non proprio scrupolosa della Commissione, presieduta all’epoca dal giornalista Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia e vicedirettore de Il Giornale.
Secondo Bielli, lo storico bolognese avrebbe alluso nel corso di una polemica giornalistica, in particolare in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera, a una sua ipotetica collusione col Kgb e questa illazione gli avrebbe rovinato la carriera politica, visto che i Ds non gli avevano confermato il seggio per la Camera dei Deputati alla fine della XIII Legislatura.
Ovviamente non sappiamo se Bielli, membro anche lui della Commissione Mithrokin, fosse davvero legato al Kgb o prendesse quattrini dall’Urss (ma entrambe le cose le faceva senz’altro Armando Cossutta, comunista di ferro e poi uomo forte di Rifondazione, nelle cui file Bielli aveva iniziato la carriera di deputato) e pensiamo comunque di no.
Ma è certo che Sechi non aveva intenzione di diffamare nessuno: non Guzzanti, di cui si era limitato a mettere alla berlina le ambiguità (presunte) e le sciatterie nella gestione della Commissione. E difatti il giornalista non querelò. Ma lo studioso non aveva diffamato neppure Bielli, che invece aveva chiesto un risarcimento di 150mila euro.
Solo che per averne la sicurezza sono dovuti passare undici anni e due gradi di giudizio terminati entrambi con la piena assoluzione, il primo a Forlì nel 2006 e il secondo a Bologna nel 2017. Logico, allora, che Sechi volesse dire la sua. Anzi, che avesse tanto da dire.
E lo ha fatto nel suo L’apparato para-militare del Pci e lo spionaggio del Kgb sulle nostre industrie, pubblicato a fine 2018 dalla fiorentina GoWare, un volumetto tosto, documentato fin nelle virgole e scritto con la consueta verve polemica.
Nel suo libro, Sechi fa innanzitutto il punto sulle vicende della Commissione Mitrokhin, in parte emerse dalle polemiche esplose sulla stampa oltre dieci anni fa e qui riprese punto per punto. E poi, ovviamente, si occupa delle ingerenze sovietiche nel nostro sistema, senz’altro politico, ma anche industriale.
È il caso di procedere con ordine. E per poterlo fare è doveroso rispondere a una domanda: come mai tanto astio polemico a distanza di tredici anni dalla fine dei lavori della Commissione?
Com’è noto la Commissione parlamentare istituita nel 2002 aveva il compito sia di vagliare la documentazione trafugata in Gran Bretagna e quindi diffusa in Occidente da Vasilij Nikitic Mitrochin, ex ufficiale e archivista del Kgb sia, più in generale, di approfondire le ingerenze sovietiche nella vita politica, italiana in generale e del Pci in particolare.
Detto altrimenti: quanto fu invasivo lo spionaggio dell’ex impero sovietico nelle nostre vite? E che ruolo vi ebbe il Pci? E soprattutto: quanti personaggi chiave della Prima Repubblica (anche i postcomunisti passati a responsabilità di governo) sono stati coinvolti in questo gioco non proprio pulitissimo?
È noto che la Commissione fu la classica montagna che partorisce il topo. Tant’è che le rivelazioni sulle presunte spie sovietiche, ivi incluso Cossutta, sono uscite in seguito a pezzi e bocconi.
E allora è il caso di rispondere: no, criticare la gestione di Guzzanti non è solo lo sfogo di un anziano professore di rara lucidità e di quell’anticomunismo a prova di bomba di cui solo gli ex comunisti sanno essere capaci.
Sechi sostiene con dovizia di dettagli che la sua attività di consulente sarebbe stata letteralmente ostacolata dalle trascuratezze dei responsabili della Commissione. Al riguardo, lo storico fornisce dati impressionanti: su ventisei richieste di accessi a materiali vari conservati negli archivi dei Ministeri, solo dieci sono state autorizzate. È chiaro che, in queste condizioni, è difficile arrivare a verità storiche. Cioè, fare gli storici. Un comportamento curioso da parte di una Commissione che aveva per scopo, appunto, l’accertamento di fatti concreti su vicende delicatissime della vita democratica italiana.
E del resto si potrebbe quasi non parlare. Sechi, infatti, aveva chiesto di poter visionare documenti custoditi negli archivi dei ministeri chiave (Interni ed Esteri), dei Servizi Segreti e delle Forze dell’ordine. E il più delle volte, così riferisce, ha trovato ostacoli proprio in Guzzanti (e in Bielli, che nella Commissione rappresentava i Ds ma era piuttosto consonante col presidente forzista).
Tra le tante vicende che la Commissione ha ritenuto opportuno non approfondire, una riguarda una vecchia storia relativa alla Olivetti che, in barba ai limiti internazionali, vendette delle attrezzature ad alto livello di computerizzazione per l’epoca (anni ’80) a Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Per questa vicenda, su cui fu ipotizzato il traffico di tecnologie ad uso militare, almeno potenziale, fu processato ma sempre assolto Carlo De Benedetti. Tuttavia, la Commissione, considerati anche il tempo trascorso e i poteri di cui disponeva, avrebbe potuto approfondire aspetti non secondari dal punto di vista politico: ad esempio sul ruolo avuto dal Pci nella transazione.
Certo è che l’Urss fece un affarone: incamerò tecnologie per un miliardo di dollari dell’epoca e riuscì a mettere a punto un nuovo sistema balistico intercontinentale, che potenziò l’efficacia delle proprie scorte di missili nucleari senza aumentarne la quantità…
Discorso simile per il ruolo dei Servizi Segreti, militari e civili, italiani, dipinti a lungo come bestie nere delle nostra storia democratica: non aver potuto incrociare i loro documenti relativi alle inchieste sugli ambienti comunisti (in particolare alle organizzazioni paramilitari e clandestine del Pci) con i dati forniti da altre fonti, anche estere, conferma la vulgata sui Servizi come strumenti deviati di potere, che continua a imperversare.
E proprio a questo riguardo, durante i lavori della Commissione è emerso un paradosso su cui, riferisce ancora Sechi, Guzzanti avrebbe impedito che fosse fatta luce.
Nel corso di un accertamento fiscale, la Guardia di Finanza avrebbe trovato dei documenti secondo cui Giuseppe De Lutiis, storico e sociologo nonché consulente della stessa Commissione, sarebbe stato a libro paga del Kgb. In questo caso Guzzanti secretò i documenti.
Peccato, perché De Lutiis è stato uno dei principali storici dei Servizi italiani e uno dei più forti divulgatori delle loro demonizzazione.
Saperne di più non sarebbe stato affatto male. Soprattutto ora, che in tanti si ostinano a voler riscrivere la storia, una verifica di certa storiografia ufficiale, che mostra crepe vistosissime sul periodo compreso tra l’immediato dopoguerra e la fine della Guerra Fredda, sarebbe desiderabile.
Sechi lascia il lettore con molti dubbi, sollevati con abilità e, ciò che più conta, onestà intellettuale notevole.
È la pellaccia del sardo, incurante delle mode e spesso anticonformista per vocazione: per uno come lui, che contestò l’illiberalità del Pci di Berlinguer in piena egemonia culturale della sinistra, cosa volete che sia polemizzare con Guzzanti e sodali?
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