Il lato oscuro degli ’80. Ve lo ripropongono i Venom
Per il trio scozzese sembra che il tempo non sia passato e nel loro nuovo album Storm The Gates rilanciano il black metal micidiale che li rese celebri più di trent’anni fa
Non sono più quelli originali, perché Conrad Land, per i più Cronos, è rimasto da solo a utilizzare lo storico marchio dei Venom, tra una lite e una reunion.
Ma i suoi Venom, a differenza dei Venom Inc., creati dagli ex compari di avventura e sventura, continuano a mantenere lo stile che ha reso celebre il trio scozzese. Cioè quelle sonorità cupe, grezze e pesanti, a cavallo tra il metal e il punk, da cui sono derivati i due filoni più importanti del metal estremo: il thrash e il black metal.
Perciò non c’è proprio nulla da rimproverare a mr Lant e ai suoi attuali, bravissimi sodali (il chitarrista Stuart Dixon detto La Rage e il batterista Danny Needham detto Dantè) se hanno voluto optare per il vecchio sound e sfornare un altro classico. Ovvero, fare i Venom.
È quel che è puntualmente avvenuto con Storm The Gates, uscito a fine 2018 per Spinefarm, con cui la band britannica fa un passo indietro rispetto alle parziali (e non disprezzabili) sperimentazioni dei precedenti Fallen Angels (2011) e From The Very Depts (2011) e si rituffa nelle truculenze sonore degli anni ’80 col relativo corredo di satanismo cialtronesco e quelle pose da baraccone che hanno turbato non poche adolescenze.
Giusto per allungare il brodo, i Nostri hanno inoltre recuperato tre brani dall’ep 100 Miles To Hell, uscito nel 2017 (cioè Beaten To A Pulp, We The Loud e, appunto, 100 Miles To Hell) ed ecco pronti tredici pezzi violenti, sulfurei e maligni che riprendono l’energia di ieri con l’esperienza di oggi, accumulata in quasi quarant’anni di carriera.
Diretta, tostissima e cupa, Bring Out Your Dead apre l’album con una sequenza di riff minimali sparati su un ritmo cadenzato e martellante su cui Cronos urla coi toni gutturali che l’hanno reso famoso.
Più spedita, Notorius si segnala per il riffing più complesso e i cambi di tempo e il cantato vagamente melodico (intendiamoci, storpiato alla Cronos).
Il black metal delle origini emerge di prepotenza nell’ossessiva I Dark Lord, marchiata a fuoco dalla fragorosa doppia cassa di Dantè e dal riffing claustrofobico di La Rage.
Notevole lo stacco ritmico a metà brano su cui il chitarrista lancia dei fraseggi velocissimi e lancinanti.
Tempo più rallentato e atmosfere vagamente doom in 100 Miles To Hell in cui si segnala il notevole lavoro del batterista, che crea dei notevoli controtempi con la doppia cassa sotto le strofe. Ottima anche la performance del chitarrista che si lancia in un assolo dai vaghi richiami melodici (cosa quasi inedita per i Venom).
Più scanzonata, Dark Night (Of The Soul) si accosta in parte al metal punk di matrice motorheadiana (nel refrain) e in parte al thrash (nei riff del bridge e della seconda metà del pezzo).
Sempre hardcore e thrash in Beaten To A Pulp, un altro schiaffo ai timpani pieno di cambi di tempo e dall’intermezzo doom.
Le atmosfere doom prevalgono in Destroyer, sapientemente mescolate con cenni industrial (ad esempio, i passaggi tribali e la voce filtrata di Cronos).
The Mighty Have Fallen è una galoppata violentissima di thrash puro, dalla ritmica serrata e dal riffing ossessivo e maniacale, praticamente senza stacchi di sorta, che non dà tregua all’ascoltatore.
L’hardcore thrash e le atmosfere dark risultano ben dosate nella tenebrosa Over My Dead Body in cui spicca l’intermezzo minimale gestito dalle dissonanze del basso e della chitarra curiosamente pulita.
Un basso distorto introduce la corsa feroce di Suffering Dictates, in cui Cronos canta (si fa per dire…) su tonalità più chiare e ricorre ai filtri elettronici per rendere la voce più sinistra durante il coro. Ottimo l’assolo di chitarra, che lancia alcune frasi melodiche in stile Nwobhm.
La lezione dei Motorhead torna a farsi sentire nella spedita We The Loud, che rallenta in un mid tempo stracarico di groove nella parte finale.
Un vago sapore orientaleggiante caratterizza la cupissima Immortal, un altro tuffo nel black più oscuro venato di doom.
Chiude la title track, un altro omaggio ai Motorhead, rivisti e scorretti in chiave dark.
Pesantissimo, a tratti indigesto, Storm The Gates è un salto all’indietro di oltre trent’anni che solo i classici possono permettersi.
Su altri le critiche di scarsa originalità e di poca voglia di aggiornarsi sarebbero azzeccate. Sui Venom no, perché ripetersi nel loro caso è segno di coerenza artistica.
Già, non li si può accusare di essere sé stessi, a dispetto del tempo che passa e delle formazioni che cambiano. Già: loro si dimostrano coerenti, quasi tetragoni e orgogliosi nella loro capacità unica di dividere gli ascoltatori in tifosi ed haters. E le critiche, che pure sono piovute copiose addosso a quest’ultimo album? Basta sfogliare la stampa musicale degli anni ’80 e rileggere quel che scrivevano molti esperti sui loro primi album, che oggi sono invece considerati pietre miliari, per capire che alle stroncature Lant e soci non fanno più caso.
Da ascoltare, soprattutto per i nostalgici dai timpani a prova di bomba
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Venom
Da ascoltare:
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