I ’70 più acidi con brio dalla Norvegia
Gli Spidergawd tornano con V, un caleidoscopio di citazioni del rock proibito alle origini del metal
Non preoccupatevi: i norvegesi Spidergawd sono rimasti acidi, in omaggio al mitico Jerry Garcia, a cui si sono ispirati sin dall’inizio.
Certo, la defezione del polistrumentista Bent Saelter, tornato nei Motorpsycho dopo aver suonato per anni il basso con il quartetto di Trondheim ha pesato un po’ nella recente svolta stilistica della band, che ha limato un po’ gli aspetti più space e lisergici per orientarsi con più decisione verso un hard pieno di riferimenti a certo proto metal, in cui abbondano le citazioni degli Hawkwind.
Ma la trasformazione non è così sostanziale e il loro recentissimo V, pubblicato lo scorso inverno dalla Crispin Glover, lo ribadisce.
Restano perciò fuori luogo gli accostamenti degli Spidergawd alla Nwobhm, di cui si è letto in qualche fanzine più o meno amatoriale. Semmai, a voler proprio fare paragoni, bisogna scavare un po’ negli anni ’70, il cui immaginario frulla non poco nelle teste del cantante-chitarrista Per Borten e dei suoi sodali.
E che sia così lo dimostra subito l’open track All And Everything, che parte con le belle frasi suggestive del sax baritono di Rolf Martin Snustad, si evolve su un passaggio tribale martellato a dovere dal bassista Hallvard Gardles e dal batterista Kenneth Kapstad ed esplode in un refrain epico accompagnato da un riff alla Motorhead.
Ritual Supernatural pesca ancora a piene mani nel metal delle origini, con un bell’omaggio ai Blue Oyster Cult arricchito da un coro americaneggiante.
La cadenzata Twentyfourseven si snoda tutta su un riffing teso che sfocia a metà brano in una cavalcata veloce motorheadiana su cui Borten lancia un assolo lancinante.
Le citazioni acide abbondano in Green Eyes, che inizia con un arpeggio e poi esplode in un ritmo tirato, in cui l’unico ammiccamento metal è nel coro. Ottime le inserzioni del sax nell’intermezzo impostato su un tempo martellante.
Se proprio si vuole parlare di metal, allora è obbligatorio citare i Black Sabbath, omaggiati con l’intro sulfureo di chitarra e col bel riff di Knights Of C.G.R., che tuttavia si lancia in un refrain epico e arioso che fa tanto Hawkwind (e un po’ Judas Priest prima maniera).
Un bel riff stoner (che rinvia ai Monster Magnet) sostiene l’impalcatura sonora di Avatar, che esplode al contrario: cioè rallenta verso la fine del pezzo per consentire a Snustad di imperversare alla grande col sax.
Ancora citazioni sabbathiane (in questo caso da Sabbath Bloody Sabbath e Sabotage) in Whirlwind Rodeo, impreziosita da un bel giro di basso pulsante e rotondo che contrappunta alla grande il riff alla Iommi.
Una scarica di batteria con tutti i crismi dà il via a Do I Need A Doctor…? che chiude l’album con un’altra cavalcata motorheadiana.
Prolifici come pochi (si sono costituiti nel 2013 e, a partire dall’anno successivo, hanno sfornato un album all’anno) e iperattivi dal vivo, gli Spidergawd ribadiscono con orgoglio la loro attitudine vintage, appena dissimulata dai suoni un po’ più moderni (per capirci: poco wha wha e volumi a palla).
Il loro tuffo nei ’70 più duri e stradaioli è gradevole e paradossalmente attuale: per i millennial, che grazie a band come loro possono riscoprire il songwriting da cui è nato il metal, e per i loro genitori, che possono riascoltare le sonorità dei mitici ’70 in maniera aggiornata.
Da ascoltare e tenere d’occhio: gli Spidergawd promettono ancora molto e hanno le capacità per mantenerlo bene.
Da ascoltare:
8,166 total views, 10 views today
Comments