Il Pd? Un male necessario…
Quasi un milione e ottocentomila alle urne per le Primarie. Un bagno di folla e un plebiscito per il nuovo segretario del Partito democratico. Ma i problemi iniziano ora e hanno un nome solo: rinnovamento.
Il pacioso Nicola Zingaretti ha stracciato i suoi competitor con percentuali bulgare. Ma il dato vero è un altro: le Primarie del Pd hanno recuperato appieno il loro reale valore politico, grazie a un’affluenza di circa un milione e ottocentomila votanti alle urne allestite in tutt’Italia, con punte altissime nel Nord leghista e nelle grandi aree metropolitane.
Lasciamo ad altri le statistiche e le analisi cavillose. Ma un dato è da rilevare comunque: l’affluenza alle urne dei potenziali elettori dem è superiore agli accessi alla Piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle (in realtà della Casaleggio e associati) e l’impatto reale di questo plebiscito conferma che la politica non può prescindere da una dimensione fisica e concreta.
La realtà materiale si è presa la rivincita sulla realtà virtuale, in cui si erano rifugiati i milioni di italiani che nelle ultime elezioni hanno letteralmente sgretolato il renzismo.
Certo, ci vuole un po’ per capire se questi risultati si trasmetteranno alle urne “che contano”: quelle delle prossime Europee e Regionali, più delle varie competizioni amministrative a cui assisteremo a breve.
Ma il segnale è chiaro: una fetta tutt’altro che inconsistente di elettori moderati e di sinistra ha deciso, come si diceva una volta, di turarsi il naso e scommettere ancora sul Pd, che è riuscito ad accreditarsi come unico baluardo alle derive pericolose intraprese dal governo Conte e ad approfittare dei continui scivoloni del Movimento 5 Stelle.
Il tutto con la benedizione televisiva di Macron, che ha lanciato un salvagente attraverso i microfoni di Fabio Fazio mentre si ultimavano gli spogli.
Un salvagente inequivocabile, una promessa di maggiore dialogo e di maggiore considerazione a livello europeo per smussare quei tanti, troppi angoli su cui hanno fatto presa le propagande leghista e pentastellata, col loro carico di eurofobia e di pulsioni populiste. Già: anche Macron, che aveva vinto di non molto su Marine Le Pen, si è trovato alle prese con la più violenta protesta populista esplosa sul continente. E lui, come altri, hanno capito una cosa: sovranismi, populismi ed eurofobia sono contagiosi. Finché imperversano nelle cosiddette marche di frontiera (i Paesi di Visegrad) possono essere contenuti, ma quando esplodono nel cuore dell’impero, come nel caso italiano, non possono che espandersi a macchia d’olio. Che è poi quel che sta capitando in Francia e Germania. E attenzione: si espandono non per virtù proprie, ma grazie agli errori marchiani delle classi dirigenti moderate ed eurofile.
Gli errori si pagano. E forse il Pd ha iniziato a capirlo.
Tuttavia, la bella prova di democrazia diretta delle Primarie non deve alimentare speranze facili ed entusiasmi a cuor leggero.
Zingaretti è riuscito ad attrarre gli elettori moderati, probabilmente anche molti che non trovano più alternative in un centrodestra declinante e prossimo ad essere fagocizzato dalla Lega, e gli elettori di sinistra, che sperano in una ripresa delle politiche sociali più seria di quella promessa dai grillini, che ora pagano salati i propri errori.
Ma una cosa è attrarre, un’altra persuadere. Perché, sia chiaro, al momento il Pd appare come un male necessario, perché altre alternative non populiste non ce ne sono.
E questo dovrebbe incoraggiare a un altro passo indispensabile: un rinnovamento concreto di tesi, volti e proposte.
In Europa ci ascolteranno, ha promesso Macron. Giusto: ma tutto dipende da chi il Pd manderà in Europa, perché anche da noi si è finalmente iniziato a capire che l’Europarlamento non può essere il parcheggio dei fuoricorso e il pensionamento dei vecchi elefanti. Semmai è il luogo dove l’Italia può far valere concretamente il proprio interesse nazionale, perché, finché la demografia non crollerà, i numeri non ci mancano (siamo, ex aequo con la Francia, il secondo Paese per numero di europarlamentari).
Un discorso diverso va fatto al livello locale, dove molti elettori hanno voltato le spalle al Pd a causa della sua totale incapacità di rinnovarsi a livello sostanziale, soprattutto a Sud, dove hanno imperversato a lungo i superstiti del vecchio Pci e della Dc (e spesso non i migliori). Al di sotto della “linea gotica” il Pd ha pagato cara la voglia di abbarbicarsi a scranni (comunali, regionali e provinciali) sempre più pericolanti a causa della crisi, di classi dirigenti locali inadeguate, spesso vecchie, non solo anagraficamente, e in più casi non proprio linde, come dimostra il continuo lavorio delle procure antimafia.
Il vertice è cambiato, ma il vero cambiamento deve iniziare, perché, ripetiamo, ora come ora il Pd è il male necessario, come certe medicine amare che occorre trangugiare a forza se si vuole guarire. Ma questa medicina deve iniziare a dare risposte credibili a chi spera nel reddito di cittadinanza perché il lavoro “normale” non esiste quasi più perché chi ha preceduto l’attuale governo ha preferito deregolamentare e sovvenzionare le imprese senza andar troppo per il sottile (soprattutto nei controlli). E deve dare risposte in termini di sicurezza ai tanti che si sono fatti contagiare dal virus della xenofobia perché finora il sacrosanto dovere dell’accoglienza è stato regolamentato poco e male.
Ma prima di propinarle all’opinione pubblica, Zingaretti deve dare cure massicce al suo Partito per fargli recuperare agli occhi dei delusi una credibilità ancora compromessa. La partita vera inizia ora.
Saverio Paletta
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