Triumphant Hearts, quando il rock vince la malattia
Il chitarrista Jason Becker, a dispetto della paralisi, sforna un album notevole, in cui si esibiscono le star del firmamento rock e metal
La storia di Jason Becker, chitarrista e già enfant prodige della formidabile scena californiana degli anni ’80, è più che nota agli addetti ai lavori.
Baciato da un talento unico, che gli consentiva di spaziare dalla classica al jazz al metal a botte di funambolismi strabilianti, Becker fu colpito dalla Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), subito dopo aver preso il posto del mitico Steve Vai nella David Lee Roth Band e poco prima di partire per il tour promozionale di A Little Ain’t Enough (1991), l’album di Lee Roth che per il giovane chitarrista era la svolta.
Prendiamocela pure con la malattia, che ha paralizzato Becker in maniera irrimediabile.
Ma non prendiamocela del tutto col destino cinico e baro, perché, almeno su di esso, il talento, la passione, la volontà ferrea, l’informatica, i genitori e gli amici dell’ex supervirtuoso hanno avuto la meglio. E Triumphant Hearts, l’ultimo album solista del Nostro, uscito per la Mascot a cavallo di Natale, lo ribadisce
Quattordici brani, anzi quattordici gemme, composte al pc col solo movimento degli occhi da un artista che non può più usare il corpo e la voce da quasi trent’anni.
Sia chiaro: l’enfasi non è dovuta al fatto che quest’album sia il miracolo di un disabile, perché l’unico miracolo di Triumphant Hearts è la bellezza.
E non può esserci che bellezza – e concedetecelo, commozione – se i Cuori Trionfanti della title track, che apre l’album con uno stupendo tema orchestrale, sono quelli del violinista padovano Glauco Bertagnin, della violoncellista giapponese Hiyori Okuda e dell’amico di sempre Marty Friedman, che gli appassionati della chitarra conoscono e apprezzano sin troppo.
A proposito di commozione, la seguente Hold On To Love, interpretata dalla bellissima voce nera di Codany Holiday è un masterpiece a cavallo tra la ballad hollywoodiana e il soul. Un esempio di pop raffinatissimo e intenso.
La rarefatta Fantasy Weaver porta l’ascoltatore in un’atmosfera da sogno grazie alla sapiente interazione tra l’arrangiamento sinfonico degli archi e i virtuosismi dell’ukulele di Jake Shimabukuru.
Once Upon A Melody è un viaggio a ritroso su base orchestrale, in cui Becker recupera delle vecchie incisioni e poi la sua voce registrata di quando era bambino.
Con We Are One si cambia di nuovo genere e atmosfere: grazie al solido arrangiamento funky rock e alla magistrale interpretazione dell’ottimo Steve Knight dei Flipside, il brano è un tuffo negli anni ’70, impreziosito da numeri chitarristici che ricordano il migliore Jeff Beck.
Magic Woman parte in maniera morbidissima, con un arpeggio acustico che cita la claptoniana Tears In Heaven ed evolve su un sontuoso arrangiamento orchestrale su cui si sbizzarriscono due dei big che hanno contribuito all’album: il crucco Uli Jon Roth, monumento vivente del rock che amiamo, e Chris Broderick, già virtuoso delle sei corde negli Jag Panzer e nei Megadeth.
Ancora un altro cambio di genere con la cover della dylaniana Blowin In The Wind, a cui il garbato arrangiamento della chitarra e la calda interpretazione di Gary Rosenberg conferiscono una nuova vita.
Gli amanti dei virtuosismi avranno pane per i loro denti con River Of Longing, in cui si diverte un quartetto di superchitarristi: sua maestà Joe Satriani, Steve Morse, Guthrie Govan, più la (diciamolo pure e non sembri sessista o fuori contesto) bellona germano-croata Aleks Sever.
Se quattro bruciacorde non bastano, Becker ne schiera altri 13, i Magnificient 13, in Valley Of Fire, un bolero postmoderno in chiave western che si regge sulle scorribande di Steve Vai, Joe Bonamassa, Paul Gilbert, Neal Schon, Marty Friedman, Michael Lee Firkins, Mattias IA Eklundh, Greg Howe, Jeff Loomis, Richie Kotzen, Gus G., Steve Hunter e Ben Woods. E scusate se è poco.
A mo’ di coda, giusto per rilassare un po’ l’atmosfera ma senza mollare il virtuosismo spinto, una seconda versione di River Of Longing, stavolta interpretata dall’ex Yes (e tante altre cose) Trevor Rabin.
La tosta Taking Me Back è una outtake di A Little Ain’t Enough dal forte retrogusto vanalheniano in cui Becker si diverte a giocare in punta di plettro.
Dagli scarti dell’album con Lee Roth proviene anche Tell Me No Lies, un blues rovente in cui l’ex enfant prodige si lancia in fraseggi hendrixiani dal sound modernissimo.
In coda all’album ci sono una seconda versione di Hold On To Love, resa eterea dal remixing del superproduttore Chuck Zwicky, e You Do It, un altro piccolo amarcord dell’infanzia dell’ex virtuoso (della chitarra ma non della musica): cinquanta secondi di field recording in cui è possibile ascoltare la voce del Nostro a tre anni di età che dice, appunto, you do it, fallo. E lui l’ha fatto e continua a farlo.
Triumphant Hearts è più che un disco: è un omaggio alla volontà umana, che, pungolata dall’arte e messa alla prova dalle tragedie, supera sé stessa. È la prova, per rifarci a una vecchia dichiarazione di Robert Fripp, che la musica ama così tanto essere suonata da usare persone apparentemente improbabili per esprimersi.
Infine, Triumphant Hearts è un altro modo di sognare il cosmo. Infatti, non sembri retorico, ma la vicenda umana di Jason Becker ricorda assai da vicino quella del grande astrofisico Stephen Hawkin, che elaborò le sue celebri teorie sulle origini dell’universo dalla sedia a rotelle e con il solo aiuto di un pc a causa di una malattia simile a quella del chitarrista californiano. I loro numeri si somigliano moltissimo: sia che si traducano in formule sia che si esprimono in note, hanno qualcosa di celestiale.
Ma tant’è: di fronte ai Cuori Trionfanti non ce n’è per nessuno.
Per saperne di più:
Il sito ufficiale di Jason Becker
Da ascoltare (e da vedere):
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