Strage di Pontelandolfo, la polemica infinita
L’ultimo dibattito è esploso sulla stampa campana in seguito all’annuncio del presidente della Camera di Commercio di Napoli di voler rimuovere la statua di Enrico Cialdini. Ma sulle terribili vicende del 1861 è appena uscito un libro verità che riabilita di fatto l’operato del generale sabaudo. E la cosa non è andata giù ai “revisionisti” antirisorgimentali, neoborbonici e non…
Generale abile e di valore o massacratore di inermi? Pasticcione sul campo di battaglia ma duro nel reprimere le popolazioni o militare del suo tempo costretto ad affrontare problemi di ordine pubblico?
Grazie allo strano martellamento mediatico sulla sua figura, l’emiliano Enrico Cialdini continua ad essere un’incognita.
Lo prova, per l’ennesima volta, il dibattito esploso sulla stampa campana lo scorso dicembre.
Protagonista assoluto, il Corriere del Mezzogiorno, che ha dato il via alle polemiche il 21 dicembre con un articolo di Anna Paola Merone intitolato «Il generale Cialdini fu un massacratore. Via il busto dalla Camera di Commercio».
Come sempre capita nelle liti, la scintilla è piccola: l’articolo riporta le dichiarazioni di Ciro Fiola, il presidente della Camera di Commercio di Napoli, che ha annunciato la rimozione del busto del generale sabaudo con la consueta motivazione sul massacro di Pontelandolfo e Casalduni.
È chiaro: nessuno pretende dal rappresentante di un importante ente economico una cultura storica a prova di bomba, ma continua a fare impressione la facilità con cui chi ha responsabilità istituzionali si lasci andare a scivoloni non solo dannosi a livello d’immagine, ma addirittura inutili, visto che c’è da presumere che i problemi dell’economia e del commercio campani siano altri, come testimonia quel che è avvenuto a un simbolo della napoletanità più profonda quale la mitica Pizzeria Sorbillo. Ma tant’è: la colpa dei mali di oggi è di un generale di ieri, a cui non è detto che si possano davvero attribuire le nequizie intestategli dai revisionisti antirisorgimentali, in salsa neoborbonica e non.
C’è da dire che in questi casi le orecchie non fischiano mica ai nordisti – che magari hanno dimenticato anche loro chi fosse Cialdini – ma agli storici o, più in generale, alle persone di cultura.
È il caso del pompeiano Giancristiano Desiderio, docente, giornalista di lunghissimo corso e saggista più che appassionato e competente, che proprio di recente ha condotto una ricerca approfondita sulla vicenda di Pontelandolfo e Casalduni da cui ha ricavato Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia, un volume denso e ben documentato appena pubblicato da Rubbettino.
Desiderio replica al presidente della Camera di Commercio il 22 dicembre, sempre sul Corriere del Mezzogiorno, con un articolo dal titolo inequivocabile: Caso Cialdini, la rimozione della storia è impossibile.
Come da titolo, la reazione dello scrittore campano è piuttosto pacata. Certo, non manca la tirata d’orecchi a Fiola («Nella città di Vico e di Croce ci si aspetterebbe, anche da chi per mestiere fa altro, una maggiore sensibilità storica»), ma la sostanza del pezzo va in direzione opposta sia ai desiderata di chi ha basato le proprie fortune editoriali sulla vicenda di Pontelandolfo sia agli atteggiamenti da ultrà tipici di certi ambienti neoborbonici: «Si può rimuovere una statua ma è impossibile rimuovere la storia. Quando lo si fa si rischia o di cadere nel ridicolo, come ha giustamente detto Paolo Macry, o di arrecare danni alla conoscenza».
In merito all’affaire Cialdini, che sembra occupare più spazio dell’emergenza criminale (almeno sul fatto che il generale non avrebbe fatto saltare per aria Sorbillo siamo d’accordo, no?) nei quotidiani campani, Desiderio annuncia la sua novità, anticipata già lo scorso anno con vari interventi sulla stampa: nel suo libro appena uscito Cialdini uscirebbe completamente riabilitato dalle accuse dei revisionisti: non solo quello di Pontelandolfo non sarebbe stato uno sterminio (restano confermati i 13 morti riportati correttamente dal religioso Davide Fernando Panella nelle sue ricerche), ma la strage sarebbe stata l’esito di una normale operazione militare e non di una rappresaglia (che, val la pena di ricordare, sarebbe stata comunque legittima secondo il diritto bellico dell’epoca).
Per quel che ci riguarda e ai fini della polemica, più che i contenuti del libro – su cui prossimamente faremo i dovuti approfondimenti – è interessante la dichiarazione dello scrittore pompeiano, che fa giustizia di tanti atteggiamenti sbagliati dei revisionisti: «L’idea che si dividere la storia in buoni e cattivi è un danno, giacché la storiografia, che ci libera dal passato, serve a comprendere e non a condannare e se, invece, si continuano a emettere sentenze, il passato non passerà mai e sarà un’ossessione». Un modo come un altro per ripetere l’evangelico: «La verità vi farà liberi».
Il primo articolo di Giancristiano Desiderio (riportato da sanniopress.it
Ma quando l’attitudine da ultrà e la divisione in buoni e cattivi alimenta il mercato editoriale e fa girare le rotative, le reazioni sono inevitabili.
Non a caso, sull’argomento interviene il 2 gennaio – il tempo di digerire il cenone di Capodanno – Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico, sempre sul Corriere del Mezzogiorno (generoso al pari di altri media nell’ospitare gli interventi dei revisionisti, riconosciuti e autoproclamati). Nell’articolo, intitolato I massacri di Cialdini sono una verità storica, il focoso presidente turbofolk si produce in una delle sue consuete lezioni di controstoriografia: difende d’ufficio il revisionismo antirisorgimentale, chiosa sui telegrammi inviati da Cialdini ai suoi ufficiali e tira in ballo il convitato di pietra di tutta questa faccenda: Gigi Di Fiore, a cui spetta il primato di aver riesumato la strage di Pontelandolfo.
Non entriamo di nuovo nel merito, perché crediamo sia giusto dare l’ultima parola al libro di Desiderio. Però è doveroso notare che De Crescenzo avrebbe dovuto almeno documentarsi meglio: non si sa mai che lo scrittore pompeiano riveli una capacità di ricerca e scavo d’archivio tale da far impallidire il più scafato revisionista…
Vale anche la pena di notare che neppure Di Fiore, in realtà, è stato con le mani in mano: il 22 dicembre replica a Desiderio con un post sulla propria bacheca Facebook, che pare ispirato più alle ragioni (per carità, non disprezzabili) del mercato editoriale che all’amor di dibattito. Infatti, il giornalista napoletano critica il collega pompeiano in maniera allo stesso tempo diretta e capziosa: lo accusa di aver utilizzato documenti già noti per arrivare a conclusioni diverse da quelle a cui è arrivato lui sulla base delle stesse fonti. E cita, al riguardo, più i propri libri che i documenti in questione.
Su questo post non è possibile aggiungere altro, anche perché stando a chi ha seguito il dibattito Di Fiore avrebbe rimosso dei commenti non proprio in linea con le sue argomentazioni. Perciò dilungarsi nell’esame sarebbe scorretto, sia nei confronti del bravissimo giornalista de Il Mattino sia nei confronti di chi non è d’accordo con lui.
Il 3 gennaio arriva, puntuale, la bacchettata di Desiderio a De Crescenzo e agli altri revisionisti, in un articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno e intitolato significativamente: Cialdini, Pontelandolfo e la storia che non nasconde i documenti.
Nel pezzo Desiderio ripete le sue argomentazioni e prende di mira soprattutto il presidente neoborbonico con toni più satirici e accademici: «Non varrebbe neanche la pena di rispondere perché le cose che il professor presidente scrive sono così confuse e arbitrarie che si giudicano da sole» e i suoi argomenti «non sono contrari a me, ma alla logica, alla storiografia e ai documenti».
Il secondo articolo di Desiderio riportato da sanniopress.it
Buon ultimo, interviene nel dibattito Di Fiore, che scrive il 4 gennaio un intervento sul Corriere del Mezzogiorno (evidentemente, a Napoli i giornali non sono così a compartimenti stagni come in altre zone e la concorrenza non esclude la cavalleria). Il pezzo ha un titolo che è tutto un programma: Pontelandolfo fu «punito». È l’unica verità. E il contenuto non è da meno: Di Fiore sostiene, in poche parole, che Cialdini ordinò una rappresaglia ma sostiene pure di non aver mai detto che i morti furono centinaia o migliaia ma solo decine.
Insomma, l’importante, secondo la firma de Il Mattino, è tener fermo che il generale Cialdini avrebbe ordinato una rappresaglia, mentre la quantità di morti sarebbe secondaria o quasi. Laddove, vale la pena ripetere, Desiderio sostiene che l’operazione militare di Pontelandolfo non sarebbe stata una rappresaglia.
Il bravo giornalista napoletano, forse intervenuto più per difendere De Crescenzo che sé stesso, non si rende conto dell’autogol: ammettere che i morti siano stati decine e non centinaia significa smentire il topos neoborbonico della volontà sterminatrice dei piemontesi. E viene quasi il sospetto che, sotto sotto, Di Fiore abbia voluto dare una mano a Desiderio contribuendo a tenere vivo il dibattito.
L’ultima parola spetta al libro.
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Va ricordato che il numero di 164 vittime dell’attacco a Pontelandolfo fu indicato da Civiltà Cattolica, anno duodecimo, vol. XI della IV serie, Roma, 1861, p. 618, senza ulteriori specificazioni ma non venne preso sul serio neppure da Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. Quinto, Viterbo, Presso Sperandio Pompei, 1867, p. 133, che denunciò sei morti a Pontelandolfo (i due fratelli Rinaldi, Concetta Biondi, Nicola Biondi, Giuseppe Santopietro e un sesto di cui non fa il nome) e aggiunge poi alcune frasi generiche di condanna senza fornire cifre: e non era certo disinformato né disposto a minimizzare le vittime di un attacco compiuto dall’esercito italiano.
Egregio Augusto,
Grazie per il tuo contributo, che ribadisce il peso avuto dalla propaganda nella ricostruzione delle tragiche vicende che anche noi abbiamo provato a raccontare.
Non aggiungo altro, perché non sono uno storico professionista e mi limito a prendere atto del lavoro degli storici veri, a differenza di chi, a distanza di quasi 170 anni, si ostina a distorcere i fatti per seminare odio e ansie di rivalsa.
Saverio Paletta