Ci salverà Cenerentola. Anzi no
Secondo i “revisionisti” Cenerentola fu una creatura del campano Giambattista Basile, che anticipò con la sua Zezolla la fiaba di Perrault. In realtà è solo un problema di cronologia che non giustifica l’ansia di primati dei cosiddetti “sudisti” né gli atteggiamenti degli ambienti neoborbonici, che si incitano all’aggressione (per fortuna solo mediatica) degli editori “rei” di non riconoscere questa primazia meridionale…
Possiamo stare tranquilli noi abitanti delle felici contrade site fra il Tronto e Lampedusa.
Certo: le mafie continuano a imperversare, la disoccupazione giovanile incalza, l’inquinamento dei nostri territori non conosce soste, il tessuto imprenditoriale è sempre più debole.
Ma cosa importa? Al di là e al di sopra di queste inezie, c’è chi pensa a noi!
I sudisti in servizio permanente effettivo, ovvero i paladini del neoborbonismo e del pinaprilismo, sono pronti a vendicare le offese recate dal Norde e dalla Itaglia alla nostra memoria storica.
Tutto ciò, naturalmente, sta avvenendo in primo luogo attraverso i Veri Libri portatori di Vera Verità, quella verità offuscata – secondo loro – da un secolo e mezzo di menzogne nordiste. Poco importa che questi libri siano pubblicati rigorosamente in Padania: Compra Sud, ma Stampa Nord (ccà nisciuno è fesso!…).
Secondo i sudisti, dunque, il Mezzogiorno avrebbe perso radici & identità da un secolo e mezzo.
Adesso, grazie all’Indefesso Erudito Impegno di Lorsignori, le starebbe finalmente recuperando.
Uno degli autonominati capi del sedicente meridionalismo ha infatti lanciato una specie di fatwa contro un l’editore Zanichelli, invitando i suoi seguaci a tempestare di proteste il sito della casa editrice, poiché in esso si osa addirittura sostenere che sia stato il francese Charles Perrault, e non il napoletano Giambattista Basile, ad aver indirettamente promosso l’uso del termine Cenerentola per indicare una ragazza ingiustamente umiliata o, per estensione, qualsiasi cosa che non sia tenuta nella debita considerazione.
Ora, intendiamoci: per amore di verità si deve dire che effettivamente la novella di Basile precede quella di Perrault sul piano cronologico.
Tuttavia sarebbe bastato far sommessamente notare la cosa; anche perché, ovviamente, Basile – come del resto Perrault – non fece altro che rielaborare un patrimonio favolistico precedente di secoli. A tale proposito si può leggere, fra gli altri testi di storia della novellistica, il brano dedicato alla fiaba di Cenerentola da Angelo De Gubernatis, facilmente reperibile in rete e che mettiamo a disposizione dei lettori.
La riflessione di De Gubernatis su Cenerentola
Ma un cortese suggerimento non sarebbe stato sufficiente a placare il “furor bellicus” dei borbonici 2.0, che nella scarpetta di Cenerentola hanno trovato uno dei pezzi forti del loro repertorio, come Piccolo grande amore lo è per Baglioni.
Basti considerare che una delle loro battaglie più accorate consiste nella proposta/pretesa di piazzare una lapide sulle scale del Palazzo Reale di Napoli con la scritta: «Qui Cenerentola ha perso la sua scarpetta». A suo tempo chi scrive fece pacatamente notare che nella fiaba di Zezolla non si parla di nessun palazzo reale e di nessuna scala; al fine di corroborare la mia affermazione, citai anche il testo originale di Basile. Per tutta risposta, dovetti sorbirmi un’invettiva da parte del Mentore dei Mentori del sudismo, ovvero Pino Aprile, che mi affrontò con la grazia e l’eleganza di un bufalo imbizzarrito.
Mi verrebbe da chiedermi, poi, cosa toglierebbe o aggiungerebbe a me, come meridionale, il fatto che Basile abbia scritto la sua novella dopo o prima di altri. Disgraziatamente il primatismo è diventato un disturbo del comportamento, fastidiosissimo, in certi ambienti presunti meridionalisti.
Ma è poi tanto pacifico che noi meridionali abbiamo perso radici e identità da un secolo e mezzo, e che da allora la nostra storia e la nostra cultura sono state deliberatamente distrutte o, nel migliore dei casi, occultate?
Per esempio: dal 1860 non si è più parlato di Basile?
Vediamo.
– Nel 1883 viene fondata la rivista Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare e dialettale.
– Nel 1891 il venticinquenne Benedetto Croce pubblica il primo volume del Cunto de li cunti, riproponendo il testo originale oltre cent’anni dopo l’ultima edizione disponibile, la Porcelli (1788).
– Nel 1925 lo stesso Benedetto Croce traduce il Pentamerone in italiano e lo fa uscire con Laterza.
Il grande storico e filosofo napoletano apre così l’introduzione:
«L’Italia possiede nel Cunto de li cunti o Pentamerone del Basile il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari; com’è giudizio concorde dei critici stranieri conoscitori di questa materia, e, per primo, di Iacopo Grimm, colui che, insieme col fratello Guglielmo, donò alla Germania la raccolta dei Kinder und Hausmärchen più volte ristampata».
Già prevedo le obiezioni dei cyberborbonici: Croce era massone, giacobbino, ascaro! Vuoi mettere i Solari portatori di Radici, Ali, Polsi di Pietra, Cuori Alati, Rabbia, Orgoglio, Riscatto, e via gigioneggiando?
Per non parlare, poi, di Roberto De Simone, che trasse dalla novella di Zezolla il suo capolavoro, La Gatta Cenerentola. Non vorrei sbagliare: mi risulta che l’opera sia stata composta nel 1976, non sotto Francesco I o Ferdinando II.
Per finire, una nota di colore. Qualche anno fa, un altro avvocato delle cause inutili sudiste fu invitato in un carcere a tenere un seminario sulla Vera Storia. Alla fine del sermone, un detenuto avrebbe preso la parola, e chiesto sensatamente in che modo egli stesso e i suoi compagni di sventura avrebbero potuto fare uso delle Vere Verità una volta usciti di galera, trovandosi nella necessità di reinserirsi nel tessuto sociale e, magari, di trovare un lavoro.
Il Vate avrebbe avrebbe risposto che essi avrebbero potuto, per esempio, aprire un negozio di souvenir affianco al Palazzo Reale di Napoli per vendere riproduzioni delle scarpette di Cenerentola…
Ecco perché è assai penoso constatare che case editrici importanti si piegano a queste intimidazioni e che giornali locali di rilievo si preoccupano di informare il pubblico delle loro battaglie.
È l’eterna legge del mercato degli animali. La enunciamo in dialetto lombardo, essendo noi notoriamente ascari, traditori e giacubbini: «Chi vusa püsé la vaca l’è sua» («La vacca è di chi urla di più»).
Per saperne di più:
L’articolo del Mattino sulla polemica contro la Zanichelli
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