Tornano i Black Peaks e il prog metal si fa duro
Atmosfere frastornanti e suoni vertiginosi in All That Divides, il secondo sconvolgente album del quartetto britannico
Un mix che ha dell’incredibile: i Muse si incrociano coi System Of A Down e strizzano persino l’occhio ai Tool più sperimentali.
E i confini tra generi e sottogeneri saltano, per frastornare e sorprendere al meglio l’ascoltatore.
Già: non si può proprio stare tranquilli mentre si ascolta un album come All That Divides, seconda ottima prova dei britannici Black Peaks, rilasciata da poco dalla Rise Records. Stavolta il quartetto di Brighton, reduce dall’ottimo esordio con Statues (2016) ha voluto puntare in alto e si è affidato alle cure di Adrian Bushby, il produttore storico dei Muse e dei Foo Fighters.
E il risultato si sente. Forse anche in seguito a un cambio di formazione (il bassista Andrew Gosden ha mollato ed è stato sostituito da Dave Larkin, la band appare in gran forma e capace di costruire un wall of sound compatto e mutevole allo stesso tempo. Una validissima prova d’assieme senza virtuosismi individuali, come usa molto nel post metal.
La furia in tempi dispari di Can’t Sleep apre l’album con un caleidoscopio di atmosfere, ora suggestive e ora violente, ribadito dai continui cambi di ritmo e dal camaleontismo vocale del baffuto e bravo Will Gardner, capace di passare da melodie suadenti, cantate con un timbro cristallino tipicamente prog, a urla in growl quasi senza batter ciglio. Ottimo anche il riffing di Joe Gosney, un chitarrista che non ha bisogno di lanciarsi in assoli (e infatti non ne fa) per dimostrare la propria bravura e validissima la padronanza delle dinamiche del drummer Liam Kearley, preciso come un cronometro e pesante quel che basta.
Sulla stessa falsariga, ma con maggiori aperture melodiche, la seguente The Midnight Sun, in cui le melodie sognanti alla Tool si alternano con le sfuriate alla System Of A Down. Notevole anche qui il labirinto, duro e sofisticato allo stesso tempo, di passaggi sonori segnati da riff potentissimi.
Electric Fires è una prova rock più convenzionale, dalla melodicità più marcata. Il che non vuol dire semplice: Gardner non urla in growl ma si lancia in falsetti su cambi di tempi arditi. Anche in questo caso, il coinvolgimento è garantito.
In Aether rifà capolino la lezione dei Tool, arricchita da alcuni passaggi cupi in doom e da un approccio melodico che ricorda a tratti i Muse più sperimentali. Giusto per ribadire che, a proposito di crossover, i Black Peaks fanno sul serio.
I richiami ai Muse sono centrali nella seguente Across The Great Divide. Ma sono dei Muse particolari, che si dimenano in riff forsennati e si lanciano in passaggi parossistici. Magistrale anche in questo pezzo il frontman, che passa nelle stesse battute dal falsetto alla Bellamy al growl più sporco.
Le citazioni psichedeliche, riviste e (s)corrette alla Tool, abbondano nella suggestiva Home, che si snoda tra riff arabeggianti e crescendo epici.
I tempi serratissimi di Eternal Light rinviano ai vecchi King Crimson, interpretati però in chiave ultrametal e con riff fulminanti alla System Of A Down.
Slow Seas è una galoppata epica tutta in crescendo, introdotta da una parte suggestiva tutta acustica.
Chiude la complessissima Fate I & II, in cui i Black Peaks citano tutte le loro ispirazioni, come in una sorta di Bignami della propria visione musicale.
I critici definiscono i Black Peaks come prog. Ma è chiaro che nel loro caso l’etichetta è solo una convenzione perché altrimenti sarebbe quasi impossibile classificare la musica di questo quartetto, dotato di una creatività e di una capacità tecnica difficilmente eguagliabili.
All That Divides è un album per tutti e per nessuno, proprio perché non ha un genere definito, se non la buona musica.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Black Peaks
Da ascoltare (e da vedere):
22,219 total views, 10 views today
Comments