Cosenza si riscopre borbonica con la benedizione del Comune
Il 4 novembre si svolgerà un convegno organizzato dai revisionisti antirisorgimentali che vagheggiano un leghismo meridionale e si ispirano a Pino Aprile
All’incredibile non c’è mai fine. Già: Cosenza non era la città liberale e risorgimentale, persino la più socialista del Sud? Non era la città dove furono uccisi i fratelli Bandiera, dove si rifugiò Francesco De Sanctis per sfuggire alla polizia borbonica e che, circa un secolo dopo, accolse Pietro Ingrao in fuga dai fascisti?
Inoltre, non è la città che ha ospitato una plurisecolare Accademia in cui si sono fatti le ossa il fior fiore dei rivoluzionari, riformisti e liberali meridionali? Non è la città da cui Francesco Saverio Salfi iniziò quel cammino intellettuale e politico che lo portò a morire esule a Parigi, braccato a vista dagli agenti della Restaurazione?
Contrordine compagni: anche Cosenza si riscopre neoborbonica. E non proprio da oggi, visto che già nel 2011 il sindaco Mario Occhiuto aveva fatto atto di solenne adesione al Comitato tecnico scientifico “no Lombroso”, un gruppo piccolo (ma particolarmente virulento) che dal web aveva lanciato una campagna, dapprima mediatica e poi giudiziaria, piuttosto picaresca contro il Museo Lombroso di Torino, accusato di celebrare il razzismo antimeridionale. Visto che ci siamo, non possiamo non menzionare Roberto Occhiuto, fratello minore del sindaco e parlamentare già Udc e ora in Forza Italia, autore di un’interrogazione parlamentare nei riguardi del Museo.
Questa simpatia sudista è ora ribadita dai vertici del municipio con La Calabria riparte dalla Calabria (Identità e sviluppo)un dibattito che si svolgerà il 4 novembre presso il prestigioso chiostro San Domenico e nel corso del quale sarà presentato Cavorra, l’ultimo libro di Antonio Ciano, uno degli antesignani del revisionismo antirisorgimentale.
Il tutto con il patrocinio dei Comuni di Mongiana e di Motta Santa Lucia. E, appunto, con la benedizione dell’amministrazione Occhiuto, che porgerà i propri saluti attraverso l’assessora alla Crescita urbana Loredana Francesca Pastore.
L’amministratrice cosentina è, per così dire, in ottima compagnia, come si conviene a una esponente di un Comune dalle alte e risalenti tradizioni democratiche: dividerà, infatti, il tavolo della presidenza con Fiore Marro e Gianfranco Rogato, rispettivamente presidente e responsabile provinciale per Cosenza dei Comitati Due Sicilie, che assieme a lei saluteranno il pubblico.
Il dibattito vero e proprio sarà tenuto, invece, da Michele Furci, storico ed esponente della Cgil appassionato delle vicende del Profondo Sud, Bruno Iorfida, il sindaco di Mongiana, Amedeo Colacino, il primo cittadino di Motta Santa Lucia, Alessandro Malerba, il presidente dell’associazione Osservatorio delle Due Sicilie e, dulcis in fundo, Antonio Ciano.
È il caso di approfondire un po’ su alcuni di loro. Di Amedeo Colacino si sa qualcosa anche fuori dalla Calabria, perché, in qualità di sindaco, ha promosso il processo contro il Museo Lombroso per ottenere la restituzione del cranio di Giuseppe Villella, forse il reperto più importante della raccolta torinese. Un cranio celebre, perché dal suo esame Cesare Lombroso ricavò i primi elementi della sua teoria sull’uomo delinquente. Inoltre, fino a tempi recenti Villella, che era originario di Motta Santa Lucia è stato considerato erroneamente un brigante e per questo motivo – finché le approfondite ricerche dell’antropologa Maria Teresa Milicia non hanno dimostrato che fosse un semplice pastore arrestato per furto – è stato considerato un simbolo dell’insorgenza. Il Comune di Motta, dopo un iniziale successo al Tribunale di Lamezia, è stato battuto davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro. Di questa bizzarra vicenda processuale resta poco, oltre ai giudizi pesanti nei confronti dei giudici catanzaresi, criticati per presunto antimeridionalismo (come se i codici si dovessero applicare a seconda dei territori) e all’annuncio di un ricorso in Cassazione, preparato con una campagna di crowfunding, di cui al momento si sa poco.
La sconfitta a Catanzaro non ha certo placato gli ardori di Colacino, che frequenta tranquillamente gli ambienti neoborbonici e presenzia puntualmente alle celebrazioni di Gaeta, dove lo scorso febbraio ha rilasciato dichiarazioni ingenerose nei confronti dei discendenti di Villella, intervenuti nel processo d’Appello. Con lui, a Gaeta c’era Iorfida, orgogliosissimo della musealizzazione delle ferriere di Mongiana, da utilizzare come richiamo turistico e, perché no?, ideologico: non a caso, tra gli ospiti eccellenti di Mongiana ha fatto la sua bella comparsata Sar don Carlos di Borbone, erede della storica dinastia duosiciliana.
Malerba completa questo curioso club che ha l’epicentro tra Catanzaro e Vibo: il suo Osservatorio, infatti, è in prima fila nell’organizzazione di iniziative storico-nostalgiche.
Più divertenti le figure di Marro e Ciano.
Il primo è stato un marmista con l’hobby della lettura e del revisionismo. Originario dell’Avellinese, Marro vive a San Nicola La Strada, in provincia di Caserta ed è stato fiduciario per Caserta del Movimento Neoborbonico (tra i sudisti è il gruppo più rumoroso, soprattutto in rete) guidato da Gennaro De Crescenzo.
Secondo i bene informati, Marro aveva rilevato il ruolo di fiduciario casertano da Pompeo De Chiara, che avrebbe lasciato il Movimento in seguito a disaccordi con De Crescenzo. Questi disaccordi si sarebbero ripetuti anche nel caso del volenteroso marmista casertano, che avrebbe mollato anche lui per fondare i Comitati delle Due Sicilie e, quindi, si sarebbe rialleato con De Crescenzo. Come a dire che davanti allo splendore dei gigli borbonici appassisce ogni polemica.
Non si può, infine, parlare di Ciano senza provare un po’ di tenerezza: a sentirlo parlare, colpiscono le sue improprietà di linguaggio e la sua simpatia. Tutto lo si potrebbe considerare fuorché uno scrittore. Anche la sua biografia non deporrebbe a favore delle qualità culturali del Nostro. Tuttavia, e nonostante ciò, Ciano ha il merito di essere un antemarcia: nel ’93 scrisse I Savoia e il massacro del Sud, pubblicato da un piccolo editore, in cui anticipava i temi forti dei movimenti sudisti.
Ciano, quando scrisse questo libro, a cui si può riconoscere lo status di un cult, era praticamente da solo: il Movimento Neoborbonico era appena stato fondato e Pino Aprile, che lavorava sulla stampa mainstream in posizioni di potere, non pensava minimamente a incamminarsi sulla strada revisionista, rivelatasi lucrosa per lui.
Ciano, invece, passò qualche problemino giudiziario, per fortuna risolto, a causa del suo libro, che a buon diritto può essere considerato il precursore di Terroni.
Forse per questo I Savoia e il massacro del Sud è stato ristampato dalla Magenes, una casa editrice specializzata nella navigazione a vela e nel revisionismo filoborbonico: le due passioni di Pino Aprile, che di sicuro ha messo una buona parola per il suo San Giovanni Battista.
La compagnia di ventura che scende a parlare ai cosentini del glorioso passato violentato dalle baionette sabaude è questa. Certo, loro dichiarano di non volere la secessione: infatti, non hanno neppure la forza politica della vecchia Lega di Bossi e, per ottenere qualche risultato, si sono dovuti appoggiare al Movimento 5 Stelle, una forza politica notoriamente allergica alle buone letture e allo studio. Per il resto, di solito seminano odio rivangando storie vecchie e, spesso, inconsistenti.
Chissà che faranno a Cosenza?
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