Lo studioso denuncia: «Troppi grembiuli dietro le quinte»
Gelli ispiratore post mortem della riforma della Costituzione proposta da Renzi? è solo una suggestione o ha un fondo di verità? Aldo Giannuli, uno dei maggiori studiosi dell’intelligence, prova a rispondere con una ricerca piena di suggestioni
La suggestione è stuzzicante: tra gli ispiratori occulti della riforma costituzionale ci sarebbe stato nientemeno che Licio Gelli. E non solo per un fatto geografico, che poi potrebbe non provare tantissimo. Ma per un’assonanza non leggerissima tra il Piano di rinascita democratica, sequestrato dagli inquirenti alla figlia del Venerabile della P2 negli anni’80 ma in realtà elaborato nella seconda metà dei ’70.
A rileggerlo con sguardo sereno, quel piano non aveva nulla di “eversivo”. Di sicuro, proponeva una riorganizzazione dello Stato che mirava a rafforzare il potere centrale a scapito delle autonomie, a potenziare l’esecutivo a scapito del Parlamento e realizzare una limitazione drastica dell’influenza dei corpi sociali (partiti, sindacati ecc.) allora fortissima. Più qualche dettaglio che aumenta la suggestione: la trasformazione dei partiti in club sul modello rotariano, che si sarebbe poi verificata con Forza Italia, che, a sua volta, l’avrebbe trasformata in un modello da imitare.
Bastano queste affinità per poter suggerire l’idea di un’impronta gelliana sulla riforma Boschi-Renzi?
Certo, se questa ipotesi fosse stata esaminata in qualche inchiesta giornalistica, ci sarebbe solo da sorridere. Ma quando diventa la tesi di uno studioso di valore del calibro di Aldo Giannuli c’è da riflettere e da approfondire.
Giannuli, detto per inciso, è uno che di queste cose se ne intende: già consulente della Commissione Stragi, storico e tra i massimi studiosi italiani dell’intelligence, il ricercatore pugliese ha dedicato all’argomento riforma Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi), un bel volume pubblicato ad ottobre da Ponte alle Grazie, il cui sottotitolo è tutto un programma: Il piano massonico sulla «rinascita democratica» e la vera storia della sua realizzazione.
Il rischio della forzatura c’è e non sarebbe neppure una novità: la campagna referendaria si è rivelata un toccasana per le rotative di molti editori e la tentazione di gettare un po’ di pepe dietrologico nel brodo delle polemiche può essere irresistibile, anche per un autore di indiscutibile rigore come Giannuli e per il suo editore, considerato di indiscutibile serietà.
Ma le analogie tra il progetto di riforma e il Prd restano e non sono proprio labili. Delle due l’una, allora: o ci sono le prove di una filiazione diretta dal Prd (magari passato di mano in mano prima di concretizzarsi in una riforma politica) oppure queste prove non ci sono. In tal caso, che è poi quello di Giannuli, come cavarsi d’impiccio e dare al lettore una tesi qualitativamente superiore al consueto tritacarne della controinformazione?
Giannuli, proprio all’inizio del volume, mette le mani avanti e spiega il vero oggetto della sua ricerca: «Soffermeremo la nostra atte attenzione sulla cultura politica della P2 e sul progetto di rifondazione dello Stato avanzato dalla loggia, sul contesto politico in cui essa sacque e sul suo lascito culturale, che incide ancora oggi. Questo studio vuole essere una retrospettiva storica sulla P2 al di fuori di una dimensione, per così dire, complottistica».
Resta solo il nudo paragone tra il Prd e la riforma Boschi-Renzi? Ovviamente no.
Dopo due parti corpose del volume, una delle quali dedicata a un’efficace analisi comparata dei sistemi costituzionali e l’altra alle vicende di Gelli e della P2, l’autore viene al dunque: tutte le ipotesi di “presidenzializzare” il sistema italiano farebbero parte di una cultura politica su cui il venerabile toscano e la sua loggia avrebbero tentato un’operazione di sintesi per renderla proposta concreta. In questo modo le cose sembrerebbero filare di più: falliti i tentativi golpisti dei primi anni ’70, Gelli, per rafforzare le correnti atlantiste della politica italiana, avrebbe perseguito un disegno politico più riformista, orientato al dialogo con alcune forze politiche (il Psi e i laici) o parti di esse (la corrente andreottiana della Dc e quella conservatrice-militare del Msi, la cui scissione sarebbe stata provocata ad hoc). Nulla di eversivo, in questo caso, se non il cinismo dei metodi basati sulla corruzione e su disegni finanziari che oggi, a dirla tutta, non impressionano più di tanto.
Però questa tesi minima consente a Giannuli di dipanare il filo rosso (mai come in questo caso è un modo di dire) che avrebbe legato il disegno di Gelli a tutti gli aspiranti presidenzialisti, a partire da Craxi per arrivare a Renzi attraverso Berlusconi.
Come a dire: prima il presidenzialismo in Italia era la tesi di alcune minoranze, governative (il Pri) e non (Msi), più di alcuni studiosi (Maranini) abbondantemente fuori dal sistema. Soprattutto fuori dal giro dei costituzionalisti “che contavano”, quasi tutti legati al parlamentarismo e al “canone socialdemocratico”, di cui Giannuli è un difensore severo e competente. Grazie al Gelli postgolpista, tutti questi conati avrebbero trovato una “quadra” che poi sarebbe passata di mano in mano fino a trovare nell’attuale postpolitica il terreno propizio. È così? Non del tutto. Lo stesso studioso ammonisce che non tutte le proposte del Pdr fossero da rifiutare a priori (abolizione della leva e responsabilità civile dei magistrati), tant’è che trovarono varie forze, anche distanti dagli ambienti a cui era vicino il venerabile, disposte a farsene carico (ad esempio, i radicali).
È il caso di specificare di più: la vicinanza di Bettino Craxi alla P2 è storicamente accertata, così come sono accertati gli aiuti finanziari di Gelli all’ex leader socialista. E il presidenzialismo craxiano è stato innegabile. Ma le analogie finiscono qui: per Craxi, infatti, il presidenzialismo era il meccanismo istituzionale per rafforzare la politica e consentirne il controllo dei meccanismi socio-economici al di fuori della logica compromissoria e non decisionista del sistema dei partiti, già decotto negli anni ’80.
Più sfumato il discorso su Berlusconi, la cui adesione alla P2 è provata in sede storica (l’adesione, si badi, ma non la militanza attiva). In questo caso occorre notare che il dop gelliano sulle proposte dell’ex premier si riduce alla creazione dei club. Per il resto il premierato fu il prodotto del Mattarellum, cioè di una riforma elettorale approvata dalle ultime forze politiche della Prima Repubblica, e che l’unica riforma costituzionale approvata durante il berlusconismo fu la modifica del Titolo V della Costituzione, che di sicuro non andava nella direzione dello Stato forte vagheggiato dal venerabile toscano. Gelli, con una battuta chiese i diritti d’autore a Berlusconi. Ma, battuta per battuta, si può rispondere che glieli ha chiesti per una riforma di fatto mai realizzata.
Veniamo al dunque: se fosse vivo oggi, l’ex venerabile potrebbe chiedere altrettanto a Renzi? Le assonanze tra il Prd e la Boschi-Renzi ci sono e sono innegabili. E val la pena di aggiungere che Renzi è legato allo stesso ambiente sociopolitico e finanziario toscano in cui Gelli mise radici per tentare il salto nei salotti del potere romano. Ma, in assenza di altre prove, le similitudini finiscono qui.
Altri limiti di Da Gelli a Renzi sono di tipo metodologico: convinto difensore dei sistemi parlamentari, Giannuli tende ad esasperare la divisione di campo tra “presidenzialisti” e “parlamentaristi” con risultati a volte ingenerosi.
Non è vero, ad esempio, che il presidenzialismo sia coinciso con le ondate liberiste dell’economia. È vero, invece, che in alcuni casi (la Francia di De Gaulle) i governi forti si sono sposati benissimo con la tutela dei diritti sociali ed è vero pure che il decisionismo politico è stato spesso una reazione allo stallo dei sistemi multipartitici come l’Italia degli anni ’70. E si potrebbe continuare.
Ma il vero limite di questo libro, assente in altre opere di Giannuli (ad esempio, il bellissimo L’abuso pubblico della storia), è nella sua natura di instant book, nato per partecipare a una polemica referendaria e destinato a perdere d’interesse con essa. Peccato, perché nessuno o quasi ha mai raccontato la storia della P2 con la distaccata serenità dello studioso pugliese e pochi studiosi si sono rivelati in grado di sintetizzare nodi teorici e passaggi storici con un linguaggio semplice, asciutto e d’impatto come quello di Giannuli. Da leggere e meditare.
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