Dalla Scozia al cuore dell’Europa, il cantautorato vintage di Colin Clegg
Il cantante dei Pottos si ripresenta al pubblico con The Mirror, un album minimale pieno di reminiscenze folk che evocano Bob Dylan e il primo Tom Waits
Prima o poi arriva il momento in cui ci si mette in gioco da soli. Senza tuttavia abbandonare i vecchi amici.
With A Little Help From My Friends, recitava l’unica canzone dei Beatles di cui fu protagonista Ringo Starr, notoriamente il brocco dei Fab Four. Così è per Colin Clegg, cantautore italo-scozzese residente a Ginevra e cantante-chitarrista dei Pottos, band di culto della scena indie, che con l’album The Mirror prosegue il percorso solista iniziato lo scorso anno con l’ep dal vivo Summer And The Fall.
The Mirror è autoprodotto con l’aiuto di Mirco Misto Viscuso, il chitarrista solista dei Pottos e si avvale della partecipazione della violista Giulia Ermirio, che dona profondità sonora ai dodici brani dell’album, che si reggono sugli arrangiamenti minimali della chitarra, quasi sempre suonata in strumming e sulla bella voce di Clegg, che, a differenza di Starr, non è affatto un brocco.
Niente politica o quasi, nel cantautorato 2.0 dell’italo-scozzese, che tuttavia pesca a piene mani nel repertorio classico dei folksinger (da Leadbelly a Dylan per finire al primo Tom Waits) per raccontare le sue storie intimiste incantevoli e conturbanti (e non a caso su Spotify i testi sono segnalati come explicit).
Intimismo e, se si vuole, riflessione retrospettiva, nostalgia e desiderio di fuga e di ricerca.
Può, ad esempio, essere la ricerca di pace, anche e soprattutto interiore, cantata con accenti dylaniani nell’open track Saltzburg, una piccola gemma incastonata dalle armonie della viola che accentuano con garbo il leggero crescendo.
Oppure può essere la riflessione ispirata dall’incontro mercenario con una prostituta russa in Moscow Brothel, che ammonisce che ogni scelta ha un prezzo e che arrendersi non è da saggi.
Ma è anche il fiume di sensazioni che ci invadono quando torniamo alla casa paterna che rievoca la purezza dell’infanzia con le sue grandi pareti bianche, in White Walls In A Fairy Tale Town.
Ed è il richiamo nostalgico ai giorni della giovinezza, quando si credeva di poter tutto, The Days Of Endless Possibilities, appunto, cantati su un garbato tappeto di archi con inserti di field recording.
O è la voglia di tornare indietro, perché i ricordi a malapena colmano il vuoto, sono carta sulle fessure: Paper Over Cracks.
È, inoltre, il desiderio di quiete, che eterna i bei momenti nel ricordo e nel desiderio, cantato con delicatezza in To Your Light.
Ma è anche la ricerca di un senso compiuto, espressa con dolcezza in Conversations About God.
Ed è la ricerca di senso in un posto, che si traduce in viaggio, come accade nella westcoastiana (My) August And Everything After.
È il ricordo di un addio o di un distacco, rimarcato dagli accordi dell’organo in Early April Day, che ribadisce l’aspetto sacro delle rotture nel flusso della vita.
È il desiderio che viola i sogni, anche quelli più strambi e perversi, in The Dream With The Owl.
È ancora la memoria che diventa uno specchio e viceversa, in The Mirror, la title track.
Infine, è la vita triste che promette di rinascere, quasi come un desiderio di rivincita, in The Winter Boy.
Decisamente no: Colin Clegg non è un brocco e il suo The Mirror lo dimostra col suo minimalismo delizioso.
Una volta tanto, esistenzialismo e intimismo non sono leziosi e, anzi, risultano preferibili a tanto impegno finto. Mr Clegg non fa la morale a nessuno ma si limita a raccontare sé stesso e a raccontare con estrema e sincera efficacia il suo immaginario.
Solo per questo merita fiducia. E la musica? C’è, eccome.
Da ascoltare (e da vedere):
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