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La notte che uscimmo dall’euro. Ovvero: la distopia secondo Sergio Rizzo

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Una bella intuizione sciupata da un racconto sciatto. Il vicedirettore di Repubblica nel suo ultimo libro cavalca il trend antigovernativo e traccia uno scenario futuristico sul “Piano B” di Savona che piaceva tanto ai gialloverdi…

La solita storia: basta avere una firma forte, magari consolidata da decenni di carriera nella stampa più istituzionale per avere accesso alle rotative degli editori più prestigiosi, a prescindere da quel che si scrive e, soprattutto, da come lo si scrive.

Pare proprio il caso di Sergio Rizzo, già caposervizio romano del Corrierone e compare d’avventura del pluricelebrato Gianantonio Stella e, da circa un anno e mezzo, vicedirettore di Repubblica.

Sergio Rizzo

L’ultima fatica del giornalista piemontese (ma di origini lucane esibite con orgoglio) è 02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro, uscito a settembre dai tipi di Feltrinelli, un esperimento editoriale a dir poco curioso e, diciamolo subito, non ben riuscito.

Già: come si intuisce da titolo, impostato con una grafica ad effetto stile Blade Runner, La notte che uscimmo dall’euro è un romanzo di fantascienza distopica, ambientato nell’immediato futuro e riguarda l’ipotetico disastro che Movimento 5 Stelle e Lega potrebbero combinare se portassero a fondo alcune tesi forti (l’uscita dall’euro, l’innalzamento del deficit, l’antieuropeismo ecc.).

La copertina di 02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro

Nulla di strano che un giornalista si dedichi alla letteratura fantastica più particolare. Anzi. Ma l’iniziativa avrebbe richiesto una penna più brillante e, visto che si tratta di politica, capace di ironia. Nel caso di Rizzo, invece, occorre rovesciare il luogo comune che accompagna le carriere di molti giornalisti per ammonirli a non eccedere nella scrittura: non è letteratura, è giornalismo.

Vale appunto la reciproca: scrivere un romanzo significa fare della letteratura e la letteratura, per essere tale, richiede qualcosina di più del gergo piatto – e non poche volte sciatto – della cronaca. Peccato, perché l’intuizione del numero due di Repubblica non è davvero male: Rizzo prende spunto dal famigerato Piano B di Paolo Savona, l’economista eretico che se non fosse stato per il’opposizione del Presidente Mattarella sarebbe finito alla guida del Mef.

Da sinistra: Rizzo e Gianantonio Stella

Il cosiddetto Piano B, come ricorderanno i lettori non privi di memoria, è stato illustrato da Savona durante una conferenza alla Link Campus University, l’università privata dell’ex big Dc Enzo Scotti, che piace non poco ai grillini, dato che Angelo Tofalo, l’attuale sottosegretario grillino alla Difesa vi ha studiato Intelligence e che Luigi Di Maio vi ha pescato il personale politico.

Questo Piano si basa su un’idea semplice: la denuncia unilaterale dei trattati fondativi dell’Eurozona e dell’Ue e la sostituzione repentina dell’euro con una nuova valuta nazionale, in questo caso la lira. O, per usare il termine di Rizzo, la Nuova Lira.

Che ciò sia l’equivalente di un golpe, dato che i trattati europei sono parte integrante della Costituzione, è di un’evidenza intuitiva.

Bene: Rizzo racconta proprio la storia di questo golpe, a cui dà un nome simpatico: Piano Morris, dedicato da uno dei protagonisti del romanzo, tale Pietro (in cui non è difficilissimo riconoscere in maniera approssimativa e tra mille condizionali e distinguo, Armando Siri, il sottosegretario leghista alle Infrastrutture con una laurea farlocca e un procedimento penale vero alle spalle) a Frank Morris, il protagonista del mitico Fuga da Alcatrazz impersonato dal grande Clint Eastwood. Questo piano viene realizzato da un fantomatico – ma non improbabile – Psi, il partito al potere nel 2020 ipotizzato dall’ex sodale di Stella.

La copertina de La Casta, il libro che lanciò la moda dell’antipolitica

L’acronimo non ha nulla a che vedere, ovviamente, con la tradizione socialista ma sta per Partito sovranista italiano, nato, nell’invenzione romanzesca, dalla fusione del Partito del Nord col Partito Populista in seguito ai risultati delle Europee del 2019.

Il golpe si dipana tra conflitti d’interesse non proprio preclari (le speculazioni contro il debito pubblico italiano condotte da Pietro con la copertura russa, gli appoggi dei Paesi di Visegrád, e l’avallo del suo leader), cambiamenti politici rocamboleschi (Conte prima si dimette per essere sostituito dal leader del Psi e poi ritorna ad essere premier nell’Italia devastata dai sovranisti) e qualche episodio gustoso, che avrebbe meritato ben altra scrittura (le notti insonni dell’incisore incaricato di realizzare le Nuove Lire alla ricerca del tono di verde giusto da utilizzare).

Gli esiti sono disastrosi: espulsa dall’Ue, l’Italia diventa preda degli amici (la Russia di Putin, la Cina e gli Usa) e degli speculatori, incluso Pietro, denunciato inutilmente dalla moglie.

Come accade in frangenti simili, il dramma volge in farsa. Ed ecco che i Russi chiedono Pompei in concessione per un secolo in cambio di una fornitura gratuita di gas per venticinque anni e i cinesi chiedono il Colosseo in cambio di altre regalie. Ecco che i beni demaniali vengono letteralmente svenduti a miliardari, resi tali anche dalla speculazione. Mentre, a mo’ di ciliegina sulla torta, i leader sovranisti si danno alla macchia, ospiti dei Paesi dell’ex impero sovietico, a godersi la loro quota di speculazioni e al riparo della rabbia di quello stesso popolo di cui avevano carpito la fiducia.

Purtroppo, il tutto è reso in una scrittura piatta, degna di una cronachetta neppure tanto brillante. D’accordo che è solo fantapolitica e distopia. Ma c’è da dire che la distopia, anche nel Paese del verismo rozzo e dell’esistenzialismo a la page, vanta precedenti illustri, come l’indimenticabile (e a suo tempo rimosso e incompreso) Guido Morselli di Contropassato prossimo e Roma senza papa.

Nessuno chiede a Rizzo di raggiungere vertici così alti, ma qualcosa in più per arricchire il racconto, uno come lui l’avrebbe potuta fare: così com’è, La notte che uscimmo dall’euro sembra una lunga didascalia. Non che le didascalie non servano, ma cento pagine di didascalie sono un po’ troppo.

A due mesi dall’uscita del libro, non sembra che Rizzo ci abbia azzeccato tanto: i gialloverdi hanno fatto dietrofront e adeguato la manovra ai desiderata dell’Ue. Lo spread c’è ancora ma nulla lascia presagire l’esplosione del debito al livello ipotizzato nel romanzo (900 punti!) e l’unico elemento probabile è l’assorbimento di una buona fetta dei voti grillini da parte della Lega.

Ma questo non è un problema, perché la distopia è una fantascienza per ipotesi, narrata al condizionale e non al futuro.

Resta da chiedersi cosa spinga, oltre al desiderio di divertirsi a testare il proprio potere di firma, un giornalista di chiara fama a tentare un esperimento così.

Di sicuro la tentazione di cavalcare l’ultima moda editoriale – che ha preso il posto dell’antimafia e della lotta alla corruzione – in virtù della quale le torme di laureati in Lettere e Scienze della comunicazione che affollano le redazioni si sono improvvisati economisti sarà stata irresistibile per uno come Rizzo (laureato in architettura), che è abituato a fiutare al volo le mode. Si pensi, ad esempio, al fortunatissimo La Casta, in cui assieme a Stella lanciò la moda di fare i conti in tasca alla classe politica (la quale, c’è da dire, forniva più di uno spunto). Non ci riferiamo, ovviamente, alle doverose inchieste sulle malefatte dell’estabilishment, che si sono sempre fatte, ma all’antipolitica a prescindere che, da La Casta in avanti, invase il mainstream.

A scorrere la corposa letteratura prodotta dal vice di Panorama, ci si accorge che è costituita tutta da instant book compilativi (cioè ricavati da rassegne stampa su inchieste fatte da altri) basati sulla moda del momento, più o meno come hanno fatto e fanno Mario Giordano e altri giornalisti di regime.

Dopo aver svegliato i mostri del populismo, la stampa mainstream ha deciso di fare dietrofront, come dimostrano le continue inchieste di Repubblica ed Espresso sulla coalizione gialloverde. E Rizzo si adegua e cavalca, senza sottoporsi ai rischi di troppo che comportano le indagini in prima persona. Gli piace vincere facile, tanto più che il mercato librario, che per quantità di titoli fa una concorrenza marcata alla stampa periodica, richiede proprio prodotti così.

Di una sola cosa non si può rimproverare la firma sabaudo-lucana: il processo alle intenzioni. Per due motivi almeno.

Il primo: i romanzi distopici si basano tutti su processi alle intenzioni, capricciosissime, della storia.

Il secondo: l’assunto di fondo del romanzo, cioè la tentata realizzazione del famigerato Piano B, potrebbe non essere falso. Non come intenzione, almeno.

Ciò potrebbe spiegare le resistenze ferree di Mattarella alla nomina di Savona al Mef. In tal caso, le cose cambierebbero e il libro di Rizzo potrebbe essere il classico segnale in codice, lanciato sulla base di un rapporto confidenziale con fonti a dir poco privilegiate. Ma per capire se sia davvero così, occorrerebbe un’inchiesta (vera) a sé…

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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