Servizi Segreti, a dieci anni dalla riforma
Fuori alcuni ragazzi protestano, come negli anni ’70. Dentro l’aula, invece, si svolge un dibattito denso e serrato sull’evoluzione dell’intelligence italiana. Un primo bilancio sugli effetti della legge 124 del 2007, che ha cambiato in maniera importante i nostri 007. Minniti si confronta con un team di specialisti di fama: i Servizi italiani 2.0 sono efficienti e competitivi. Ma il problema resta: come conciliare le esigenze della sicurezza col bisogno di libertà delle nostre democrazie? Fuori, sul ponte Bucci, le proteste dei ragazzi contro il ministro dell’Interno Marco Minniti, seguite dall’irruzione di un docente precario.
Dentro, nell’atmosfera ovattata dell’aula magna dell’Università della Calabria, il convegno sull’evoluzione dei Servizi Segreti italiani, intitolato Intelligence: a dieci anni dalla riforma. Risultati, questioni aperte, prospettive.
Fuori, il cordone di poliziotti in tenuta antisommossa a tutela del ministro, autore di un intervento piuttosto articolato. Dentro, il dibattito denso sull’intelligence. Meglio ancora, su come conciliare le esigenze di sicurezza, senza la quale le garanzie dello Stato di diritto diventano una pericolosa chimera, con quelle della libertà e della democrazia, senza le quali la sicurezza non è altro che insidiosa oppressione. E l’intelligence (intesa nella doppia accezione di attività e disciplina), appunto, è, o almeno dovrebbe essere, uno dei più importanti punti di equilibrio tra libertà e sicurezza. Questa l’istanza etica del dibattito, svoltosi il 19 giugno all’Unical e trasmesso da Radio Radicale. Peccato, allora, che l’attenzione mediatica sia stata calamitata dalla presenza – doverosa, nella sua qualità di addetto ai lavori, ma comunque ingombrante – del ministro, e dai tentativi di protesta.
Ancora un altro flashback: mentre al di fuori dell’ingresso dell’aula magna gli studenti e la Polizia ingaggiavano una scaramuccia, Mario Caligiuri, docente dell’Unical e direttore del Master sull’intelligence, ignaro di quanto accadeva fuori e di quel che stava per succedere dentro, pronunciava parole piuttosto serie: «L’Università è il luogo dell’analisi, dell’elaborazione scientifica, della ricerca, della pluralità delle idee e non è un luogo di celebrazioni, ma neanche di pregiudizi. Non è un luogo di propaganda, ma neanche di demonizzazione. È un luogo dove si cerca di capire e di costruire il futuro».
In questo contesto cade a fagiolo l’analisi del decennale della riforma, operata con la legge 124 del 3 agosto 2007: cosa è successo? Cosa è stato davvero realizzato? Che ritorno di immagine e di sostanza ne ha ricavato l’intelligence italiana?
La riforma, ha ricordato Caligiuri, che coltiva da un ventennio l’ambizione di trasformare l’intelligence in autonoma disciplina accademica, interviene in un mondo completamente cambiato: nel 1977, anno della precedente riforma (quella che liquidò il Sid e l’Uar e li sostituì con Sismi e Sisde) c’erano il compromesso storico, il bipolarismo mondiale, tra l’Urss di Breznev e gli Usa di Carter, e una situazione di democrazia bloccata su equilibri sofisticati e delicati. Nel 2007, invece, il disordine globale aveva introdotto, in seguito al terribile precedente delle Twin Towers, i concetti di conflitto asimmetrico e di concorrenza internazionale, tra gli Stati e tra questi e altri soggetti (in particolare economici).
I nuovi Servizi sono stati ideati, per aiutare gli Stati in questa nuova mission, per molti aspetti più impegnativa proprio perché più slegata da logiche (prevalentemente) militari e politiche. La questione della sicurezza, insomma, tocca più settori: senz’altro quelli politici e militari, ma anche quelli economici e culturali.
Per questo i Servizi devono mutare pelle: «Non più il luogo proibito e innominabile dello Stato, non più un luogo esoterico, adatto a pochi specialisti, ma un mezzo per tutti i cittadini». E l’accresciuto carico pone un problema, ben inquadrato da Marco Valentini, prefetto e docente del Master sull’intelligence: il ruolo dei Servizi in un contesto di Robtutela dei diritti di libertà.
Minniti, il protagonista politico e mediatico del dibattito, si è lanciato in un amarcord della riforma di dieci anni fa: «Nel 2007 quando in Parlamento si discuteva della riforma dell’intelligence sapevamo tutti che c’erano delle criticità. Era come se avessimo dovuto cambiare le ruote della macchina senza fermare la macchina. Sembrava un’impresa impossibile eppure oggi possiamo dire che l’Italia ci è riuscita» e oggi «l’intelligence italiana è diventata una struttura competitiva e professionale».
Anche per questi motivi, il ministro ha augurato a Caligiuri di poter davvero trasformare l’intelligence in insegnamento accademico.
Il resto del dibattito si è concentrato sui molteplici aspetti di questa disciplina, raccontati innanzitutto, dal punto di vista storico. Come hanno fatto Paolo Scotto di Castelbianco, il direttore della Scuola del Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis), che ha ripercorso le tappe della diffusione della cultura dell’intelligence in Italia, accresciutasi a partire della riforma del 2007, e il prefetto Carlo Mosca, che ha raccontato le varie riforme dei Servizi dal secondo dopoguerra ad oggi.
Ma alla voracità dell’intelligence non sfugge neppure la tecnologia, che da semplice mezzo è diventata un campo operativo. Del tema si è occupato Roberto Baldoni, professore della Sapienza di Roma e presidente del Consorzio interuniversitario nazionale sull’Informatica, che si è diffuso a lungo sulle problematiche del cyberspazio e ha evidenziato il legame strettissimo e imprescindibile tra sicurezza informatica e sicurezza nazionale.
L’intelligence, intesa come soggetto operativo, è uno strumento dello Stato, come tale impiegato per fronteggiare le minacce, ad esempio quelle del terrorismo di matrice islamica, descritte da Lorenzo Vidino, della George Washington University, che ha comparato l’incidenza del fenomeno tra Italia e resto d’Europa e si è soffermato sul ruolo di internet nella diffusione del radicalismo.
Inoltre, l’intelligence è uno strumento politico, oltre che militare, come ha evidenziato il generale Carlo Jean,docente presso la Luiss di Roma e specialista di Geopolitica, una disciplina che ha avuto un formidabile rilancio dopo la caduta del muro di Berlino. E forse non è un caso che alla riscoperta della Geopolitica sia seguita la rivalutazione dell’intelligence.
Infine, Antonio Maria Rinaldi, dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara ha parlato del ruolo dell’intelligence nelle guerre economiche.
Questi pochi cenni dovrebbero far capire la portata del dibattito. E, soprattutto, spingere a una riflessione diventata imprescindibile, soprattutto dopo che la desecretazione di importanti fascicoli ha consentito importanti operazioni verità su molti aspetti finora oscuri o controversi. L’intelligence fino a non molto tempo fa ha subito un non irrilevante pregiudizio di matrici ideologiche, che spesso ha condizionato la vita e l’operato di molti uomini delle istituzioni. Ora, mentre il pregiudizio si dirada, con l’eccezione di una certa pubblicistica che continua a far cassetta, si è diffusa una nuova curiosità verso questo settore. La speranza è che dalla curiosità derivi una nuova consapevolezza.
11,036 total views, 10 views today
Comments