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Minniti alla guida del Pd? E perché no? Sarebbe un leader vero

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Il “nuovo” non dipende dall’anagrafe, la quale invece può essere garanzia di capacità e competenza. Minniti, che ha dato buona prova di sé come uomo di governo, rappresenta una sinistra pragmatica e riformista, capace di captare i bisogni della società e porsi come valida antitesi ai populismi

Marco Minniti segretario? E perché no? Parlo dal mio punto di vista di militante e amministratore che ha avuto il privilegio di formarsi, da giovane, in una tradizione politica e culturale vera.

Proprio per questo so quanto sono importanti le competenze e l’esperienza, che non necessariamente dipendono dall’anagrafe ma che ad essa sono comunque legate.

Minniti proviene da una grande tradizione politica e ha contribuito al meglio alla sopravvivenza della politica migliore nel nostro Paese. Quella politica che potrebbe estinguersi se ci si limitasse a inseguire il mito del nuovo purchessia, di cui oggi subiamo alcuni effetti non proprio belli.

Minniti è l’esponente di una sinistra pragmatica e realista, che – senza abbandonare o, peggio, rinnegare, le proprie tradizioni – si è dimostrata capace di captare i bisogni e le istanze della società e, soprattutto, si è dimostrata in grado di elaborare risposte a questi bisogni e a queste istanze.

Inoltre, la sua è la sinistra capace di gestire le istituzioni con efficacia e senso del decoro, con la consapevolezza che le istituzioni sono un bene di tutti e non solo di chi le governa.

E sono sicuro che questo senso delle istituzioni non potrà fare che bene al Pd e alla sinistra, che oggi hanno bisogno di ritrovare la propria unità. Minniti, in tal senso, è la figura ideale, perché assomma prudenza, senso della politica e cultura politica ed esperienza, vissuta ai livelli più alti.

Infine, ricordo anche che l’ex ministro dell’Interno è calabrese. Non lo faccio per un vezzo campanilistico, che potrebbe sembrare scontato, ma con la convinzione che la sua eventuale leadership nel partito contribuirebbe ad accendere ancor di più i riflettori sulla nostra terra, che entra nelle agende politiche soprattutto in seguito alle emergenze e ai fenomeni negativi.

Occorre avere un po’ di memoria storica per ricordare che la crescita della Calabria ebbe un forte impulso dalla figura di Giacomo Mancini, il primo (e, purtroppo, unico) calabrese ad assurgere alla guida di un grande partito, qual era il Psi nella seconda metà degli anni ’60 e nei primi ’70. Non è retorico ricordare che proprio la segreteria Mancini contribuì ad imprimere al centrosinistra di allora quella direzione meridionalista di cui ancor oggi si sente la mancanza.

E allora perché non ripetere l’esperimento ora che c’è una figura politica che potrebbe riportare il Sud al centro dell’attenzione con modalità più adeguate ai tempi?

Non solo: serve una sinistra che sappia trainare una vasta area riformista verso una visione europea nitida, che metta da parte gli egoismi territoriali e le rivalità di bottega e di campanile.

Un Pd riformista e laico, quindi europeista, che sia capace di stare vicino alle persone con uno sguardo rivolto al futuro e la lucidità necessaria per traghettare l’Italia e il Sud fuori dalle attuali secche e, soprattutto, di traghettarci fuori dai pericoli in cui il populismo ci sta cacciando ogni giorno che passa.

«Il Pd», ha dichiarato Calenda, «è fondato sul rancore. Bisogna andare oltre o i populisti vinceranno ancora». Ecco, io credo che le condizioni per andare oltre ci siano ma che occorra scegliere la leadership che le concretizzi.

La sinistra è modernità e la modernità è più questione di metodi e di mentalità che di anagrafe. È giunto il momento di scommettere su quel cambiamento di cui abbiamo bisogno.

Cesare Loizzo

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