La Luna grande e splendente di Kory Walt Blek
Moon è il terzo album del giovane polistrumentista molisano. Un viaggio sonoro tra folk pop ed elettronica pieno di fremiti world e riferimenti al prog e alla psichedelia
Cantare alla Luna. Non è solo un modo di dire. Corrado Carano, in arte Kory Walt Blek, è un giovane molisano (ha poco più di venti anni), dal solidissimo background (piano classico e jazz al Conservatorio e poi, da autodidatta, un po’ tutti gli strumenti) che ama giocare con la musica.
Già: giocare, perché a circa un anno di distanza dal promettente Lù (2017), il Nostro è tornato con Moon, disponibile da poco su tutte le piattaforme online, in cui cambia registro musicale, lima al massimo le influenze zeppeliniane e vira con decisione verso l’elettronica, mescolando suggestioni kraut (i Tangerine Dream meno sperimentali) con la world music e il progressive rock, più qualcosina dei Pink Floyd più atmosferici e orchestrali.
L’opener Moon Overture, che mescola arpeggi di pianoforte e tappeti di synth e archi campionati, è un brano bandiera efficace e ben realizzato di questo nuovo corso.
Segue la raffinata Everyday, in cui il sound si orienta verso il brit pop, senza cedere al citazionismo (la tentazione di fare il verso agli Oasis è tenuta sotto controllo) né, per fortuna, all’orecchiabilità a tutti i costi.
The Last Time si segnala per un bel refrain doppiato dalle voci femminili e marcato da un bel giro di basso e per il coro rallentato che crea un forte pathos.
Le voci femminili, presenti in tutto l’album al punto da costituirne una caratteristica distintiva, prevalgono in In The End, che mescola suggestioni pop, neofolk e world.
Le suggestioni settantiane marchiano a fondo la psichedelica I’m Learning, che ruota su un simatico scacciapensieri (sì, avete capito bene) e su un giro di basso dall’impatto vintage.
Più rilassata, la successiva Do You Cry si segnala, finalmente, per la presenza delle chitarre, che richiamano più Gilmour che Page, ma ricordano che la matrice di Carano resta il rock.
My Reason Why è una ballad chitarristica vicina alle espressioni più morbide dell’indie rock: pompata a tutto volume e con un bell’eco, la sei corde morde un po’ più ma non esplode mai ma si limita a marcare la dinamica del brano che cresce in un bell’intermezzo tribal-funky.
All That You Do è un simpatico pop-folk acustico giocato sulle armonizzazioni vocali.
La stessa formula ritorna nell’allegra e sognante Magic World, che proietta l’ascoltatore nella West Coast degli anni ’70.
La porzione acustica dell’album termina con In A Dream, altra canzone sognante e piacevolmente retrò.
La parte finale dell’album è affidata di nuovo ai sintetizzatori e agli archi. Così My Moon, che rifà il verso ai Pink Floyd prima maniera, di cui aggiorna e ammorbidisce l’impatto sonoro.
Segue la strumentale Moon Symphony, divisa in tre tracce, da considerare come tre movimenti di un’unica suite.
Moon Symphony Part I parte con un bell’arpeggio di piano su cui si innestano delicati ricami di synth in stile new age e cresce fino ad esplodere in un riff tosto di chitarra elettrica alla Muse.
Lo stesso schema presenta Moon Symphony Part II, in cui il crescendo è però interpretato da un coro accompagnato da un tempo di marcia.
Moon Symphony Part III cita in maniera aperta le armonie della musica da camera ed evolve in fortissimi di tipo orchestrali con cori e parti cantate, che creano suggestioni cinematiche non proprio irrilevanti.
Buona la terza per il giovane molisano, che dà un’ottima prova delle sue qualità musicali unite a capacità compositive notevoli.
Da ascoltare senz’altro: Kory Walt Blek ha dimostrato un’ottima capacità di crescita. E merita.
Da ascoltare:
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