Natale di sangue nel cuore di Berlino
Un camion killer falcia la folla dei mercatini di Charlottemburg. Tutti i dubbi su un attentato atroce e (forse) evitabile
Nel giro di mezz’ora i media hanno colorito il sangue dei nove morti e dei circa cinquanta feriti del mercatino di Charlottemburg con l’arida retorica dei paragoni.
Berlino come Nizza, si è detto, scritto e titolato, con un palese (e corretto) riferimento alla strage avvenuta sulla Promenade des Anglais il 14 luglio, quando un tir ha falcidiato la folla radunatasi lì per celebrare l’anniversario della presa della Bastiglia. Il parallelo non finisce qui: c’è da scommettere, e da vincere facile, che qualche editorialista parlerà a breve del Natale come secondo simbolo della tradizione europea, e quindi occidentale, profanato dagli attentatori dell’Isis.
Meno facile sarà vincere la scommessa sulle repliche. Cioè sul fatto che qualcun altro forbito commentatore che almeno orecchi un po’ di cultura islamica se ne esca con qualche piccato distinguo.
Nel dubbio, lo si anticipa qui: non è vero che il Natale sia estraneo alla vera cultura islamica (ce ne sono molte, di culture islamiche, ma di sicuro la necrofilia dell’Is puzza di contraffatto) perché la figura di Cristo per i mussulmani, rigidamente monoteisti, è meno problematica per gli ebrei, che il monoteismo l’hanno inventato. Per i devoti ad Allah Gesù è un profeta e un santo, un precursore di Maometto. Quindi il Natale è rispettato appieno e c’è chi approfitta di questa apertura per celebrare, nei paesi islamici più multietnici, qualche festa in più rispetto a quanto consente il rigido calendario coranico. La matrice religiosa dell’attentato è tale solo per la folle ignoranza di chi l’ha eseguito e di chi, senza vergognarsene, celebra il bagno di sangue di Berlino.
Resta l’ipotesi politica, avvalorata da un comunicato dell’Is, la cui esistenza sarebbe stata riferita al Washington Times da fonti delle Forze di Mobilizzazione Popolari dell’Irak, le milizie sciite che lottano per liberare Mosul dal califfato.
A parte il percorso un po’ tortuoso della notizia, si sa poco. Ma quel poco che si sa basta a far riflettere sull’ennesima slabbratura delle maglie della sicurezza europea, tanto più macroscopica perché è avvenuta in un paese come la Germania.
Primo passaggio: il camion lanciato sulla folla proveniva dall’Italia ed era proprietà di una ditta di trasporti polacca il cui titolare ha dichiarato che l’autista era un suo cugino e di aver perso ogni contatto con il mezzo, che comunque doveva giungere proprio a Berlino, verso le 16. E qui emerge un indizio quantomeno sospetto: a bordo del camion killer c’era un passeggero trovato morto di nazionalità polacca, stando alle verifiche degli inquirenti. Era il conducente originario del mezzo? E che è successo dal pomeriggio, in cui quest’ultimo non avrebbe dato notizia di sé, e la sera? Il titolare della ditta ha sporto denuncia? E, se sì, a chi?
Inoltre, si sa poco del conducente che ha guidato il camion contro la folla e che è stato arrestato subito dopo la strage. Era un islamico radicalizzato attraverso l’autoaddestramento online? Oppure proveniva da qualche campo di addestramento per aspiranti attentatori? Di sicuro, visto che avrebbe tentato, subito dopo aver massacrato la folla del mercatino natalizio, di scappare, non è un aspirante al martirio ma un terrorista più professionale. In quest’ultimo caso, l’interrogativo è più inquietante: come ha fatto a sequestrare il mezzo? Chi o cosa lo ha messo in condizione di portare a termine l’attentato, nonostante l’allarme che, rivelano ancora le agenzie, sarebbe stato lanciato dai servizi segreti in tempo utile?
E come mai proprio a Berlino si è tenuta bassa la guardia dopo il precedente inquietante del 29 novembre, quando a Ludwigshafen, nel sudovest del paese, un dodicenne aveva piazzato una bomba in un analogo mercatino?
Il resto è la solita ridda di solidarietà e di dolore, espressi più o meno da tutti nei confronti della Germania. Per le notizie vere e per le risposte concrete c’è ancora da attendere.
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