Hardcore Superstar, i quattro trucidi di Goteborg di nuovo tra noi
You Can’t Kill My Rock ‘n’ Roll è l’ultima fatica degli alfieri dello sleaze rock europeo. Dodici brani che riprendono il metal di fine ’80 dei Guns N’ Rose e degli LA Guns (quelli veri) suonati con passione e perizia
Gli Hardcore Superstar sono di nuovo tra noi. Ma, a dire il vero, non avevano latitato troppo, perché hanno comunque riempito i tre anni trascorsi tra Hcsc (2015) e il recentissimo You Can’t Kill My Rock ’n’ Roll, pubblicato a settembre dalla consueta Gain Music Entertainment, con l’altrettanto consueta valanga di tour e di singoli apripista, ben quattro.
Il tutto calcolato con una perfetta tempistica in vista del periodo natalizio, in cui ci si riposa dai palchi ma gli album si vendono di più.
Che dire di questo You Can’t Kill My Rock ’n ’ Roll, accolto dalla critica – quella seria delle riviste patinate e accreditate e quella delle webzine – con giudizi altalenanti?
A un primo impatto si può affermare che non è vero che i trucidoni di Goteborg si siano ammorbiditi troppo oppure abbiano tentato la carta del facile ascolto.
L’unica critica sensata che si può rivolgere a quest’ultimo album è che il quartetto scandinavo si sia limitato a ripetere la propria formula musicale senza troppa originalità. Ma questo non è un difetto, visto che parliamo di sleaze rock, un genere dai canoni rigidi in cui è stato detto davvero tutto e di cui gli svedesi sono chiaramente degli epigoni.
Il punto è un altro: gli Hardcore Superstar sono convincenti nel riproporre uno stile che risale ai tardi ’80? E quanto? La risposta è sì. E questa undicesima fatica, sostanzialmente ben riuscita, conferma le grandi capacità della band.
Ad/Hd, che allude al disturbo dell’iperattività, prende da subito in contropiede l’ascoltatore: attacco morbido, in cui Jocke Berg tenta un approccio vocale più melodico e poi esplosione violenta, con un bel riffone al limite del thrash di Vic Zino e una prestazione davvero sopra le righe del batterista Magnus Andreasson e del bassista Martin Sandvick, che rivelano una sincronia eccellente nei cambi di tempo più spericolati.
Electric Rider si muove su coordinate più americane e concilia una linea melodica accattivante e radiofonica con un riffing pesante. Simpatica l’interpretazione di Berg, che sembra un ibrido tra il vecchio Vince Neil e Phil Lewis degli LA Guns, notevole l’assolo di Zino, che si tiene in perfetto equilibrio tra espressività e virtuosismo.
My Sanctuary parte come una ballad acustica e poi evolve in un funky metal che cita sfacciatamente gli Aerosmith.
Sulle stesse coordinate aerosmithiane (più un pizzico di Guns N’ Roses) si muove Hit Me Where It Hurts, dotata di una grande dinamica e di un refrain accattivantissimo.
Di sicuro la title track non è il massimo dell’originalità, visto che cita nell’attacco e nel coro contemporaneamente Heaven Is A Place On Earh di Belinda Carlisle e You Give Love A Bad Name dei Bon Jovi che furono. Per il resto è un onesto brano radiofonico ma nulla di più.
The Others riprende la consueta formula a base di riff tosti e melodie orecchiabili, con in più dei cambi di tempo efficaci.
Have Mercy On Me fa il verso al punk melodico americano grazie a una ritmica spedita e a un bel ritornello adolescenziale.
Never Cared For Snobbery è un altro divertissment da cantare a squarciagola arricchito da un bel riffing in controtempo più qualche citazione del Queen nei cori.
Baboon è il classico brano da classifica con tanto di ritmo ballabile (in un club rock, s’intende…) e ritornello a tormentone. Ottima l’accelerazione centrale su cui Zino spara un assolo micidiale.
Stesso appeal radiofonico e formula simile in Bring The House Down, che risulta solo un po’ più curata negli arrangiamenti.
L’impronta degli Aerosmith (più qualcosa dei Kiss dell’era Lick It Up e Asylum) torna a farsi sentire in Medicine Man.
Chiude l’album la maestosa Goodbye, che cita di nuovo i cori pomposi dei Queen.
Segue la bonus track Useless Information, un rock ’n roll simpatico pieno di ammiccamenti ottantiani e nostalgie adolescenziali.
Forse You Can’t Kill My Rock ’n’ Roll non sarà quel capolavoro, ma nello sleaze non servono le genialate né le botte di originalità: basta l’efficacia.
E gli Hardcore Superstar ne hanno da vendere (e per vendere), con in più quella bravura tecnica che fa davvero la differenza. Se cercate emozioni forti e divagazioni intellettuali guardatevi bene da quest’album perché non ce n’è neppure l’ombra e per di più la sensazione di deja vu che emerge da ogni singolo passaggio potrebbe risultare stucchevole. Se invece volete divertirvi senza troppi pensieri You Can’t Kill My Rock ’n’ Roll fa per voi. Già: e chi li ammazza questi?
Per saperne di più:
Il sito ufficiale degli Hardcore Superstar
Da ascoltare (e da vedere):
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