Caos in Libia, è la volta buona della tregua?
Dopo il fallimento della Conferenza di Parigi, convocata a fine maggio dal presidente francese Macron, il Paese nordafricano è nel disordine e nell’insicurezza più assolute. L’estate è trascorsa tra gli scontri violentissimi delle fazioni armate che si contendono il potere. Ora è il turno dell’Italia, che ha molti interessi nella sua ex colonia legati alle forniture energetiche. Il ministro Moavero Milanesi ha convocato un vertice a Palermo il 12 novembre, a cui dovrebbero partecipare anche Russia ed Egitto con la benedizione degli Usa. Che l’autunno porti consiglio?
A fine agosto abbiamo assistito ad una recrudescenza degli scontri a Tripoli tra diversi gruppi armati in lotta tra loro per il controllo dello stato libico. In particolare, abbiamo assistito alle violenze tra la Settima Brigata di Tahruna e le milizie fedeli al Governo di Accordo Nazionale (Gna) guidato da Fayez Al-Sarraj.
Gli scontri nella capitale libica, che hanno fatto ripiombare il Paese in un clima di instabilità e insicurezza, hanno provocato diverse vittime ed hanno avuto come obiettivi, oltre a diverse zone della città, la sede della National Oil Corporation (Noc) e l’aeroporto. Soltanto grazie all’intervento dell’Onu, il 4 settembre scorso è stata raggiunta una tregua che ha temporaneamente posto fine alle violenze.
Il rovesciamento del regime di Gheddafi nel 2011 ha aperto la strada ad una situazione di completa instabilità nel Paese. Le Primavere arabe avevano portato le popolazioni mediorientali e nordafricane a mobilitarsi contro i regimi autoritari e avevano inizialmente fatto sperare in un cambiamento. Ma dopo una positiva spinta iniziale, le Primavere hanno lasciato il posto ad una crisi regionale senza precedenti. Nonostante che in Libia si siano avute elezioni democratiche nel 2012 e poi nel 2014, la spaccatura politica nel Paese ha continuato ad aumentare e da allora la quarta sponda del Mediterraneo è rimasta una vera e propria polveriera e l’intero territorio è conteso da milizie, tribù e clan.
Senza la presenza di un’autorità centrale capace di restituire al Paese ordine e sicurezza, sembra difficile si possa pervenire ad elezioni politiche entro la fine dell’anno, così come aveva auspicato il presidente francese Emmanuel Macron durante la fallimentare Conferenza di Parigi sulla Libia del 29 maggio scorso.
Lo scenario è profondamente frammentato. Per esemplificare l’analisi proviamo a raggruppare le tessere del mosaico libico attorno a tre macro-regioni. Da un lato la Tripolitania che vede la presenza del Gna guidato da Sarraj, l’unico governo che gode di un riconoscimento internazionale e del sostegno dell’Onu, e dall’altro lato la Cirenaica dove ha sede la Camera dei rappresentanti di Tobruk e da dove il generale Khalifa Haftar, ex ufficiale gheddafiano, capo dell’autoproclamato esercito nazionale libico, contrasta il governo di Sarraj. L’altra regione fortemente instabile è quella del Fezzan, a sud della Tripolitania nel cuore del deserto del Sahara, dove si registra la presenza di militanti residuati dell’Isis e si teme che in un quadro così destabilizzato vadano verso ovest di Tripoli dove la situazione è già precaria.
La mancanza di un apparato statale forte, legittimamente riconosciuto dalle parti contrapposte e dalle diverse autorità locali, e la debolezza dell’economia lasciano pensare che il processo di peace bulding nella regione non sia di facile realizzazione.
Bisogna, inoltre, considerare che le milizie presenti nel Paese operano con metodi tipici delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Infatti, esse controllano il territorio, impongono tributi alle popolazioni locali e alle società che devono operare nelle zone in cui vi sono terminal petroliferi e le principali reti di gas e petrolio.
In Libia chi controlla il petrolio, controlla lo Stato. Perciò agli interessi degli attori locali si sommano quelli degli attori internazionali. Ad esempio, la francese Total in Libia cerca di competere con la multinazionale italiana Eni, che mantiene saldo il ruolo strategico nella produzione petrolifera del Paese.
La Libia è fondamentale per la sicurezza economica dell’Italia. Con circa 5,1 milioni di tonnellate nel 2017[1] è il nostro primo fornitore di petrolio dell’area nord-africana e con 4,8 milioni di metri cubi è uno tra i principali esportatori di gas naturale[2] nel nostro Paese. Dal 2011, in seguito ai disordini geopolitici che hanno interessato la regione si è registrato un calo del livello di importazioni di idrocarburi dal Nordafrica di circa il 18%. Ciò testimonia quanto la stabilità di quest’area sia di fondamentale importanza per il nostro approvvigionamento energetico oltre che per i flussi migratori verso l’Italia. Infatti, è vero che grazie al contestato accordo dello scorso anno, siglato tra l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e Fayez Al- Sarraj, si è effettivamente registrato un calo dei flussi migratori verso il nostro Paese. Ciò, tuttavia, non ha risolto il problema a monte del fenomeno migratorio. In diversi casi sono venuti alla luce legami tra le milizie presenti sulla costa ovest di Tripoli, che lucrano sul traffico di esseri umani, e la Guardia costiera libica. In questa lotta per il potere si scontrano milizie che controllano Tripoli e che sono cooptate dal Gna di Serraj potendo beneficiare di accordi con quest’ultimo (grazie a cui ottengono anche ruoli della Pubblica Amministrazione), e milizie che controllano la periferia.
Tra gli attori che rivendicano il proprio ruolo nella partita libica c’è la Russia che secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal giornale inglese The Sun[3], in base a fonti dell’intelligence britannica, starebbe supportando Haftar a cui avrebbe inviato equipaggiamento militare come missili da crociera e sistemi missilistici S-300, violando di fatto l’embargo Onu.
Secondo i Servizi inglesi l’intento russo sarebbe quello di realizzare in Libia, una nuova Siria per occupare poi un ruolo di primo piano nella geopolitica del Mediterraneo. Senza contare che anche sul fronte energetico la russa Rosneft, la compagnia petrolifera di Stato, nel 2017 ha firmato un contratto con la Noc per il rilancio della produzione petrolifera nel Paese nordafricano. L’altro attore da tenere d’occhio è senz’altro l’Egitto che spalleggia Haftar e mira ad assurgere ad un ruolo di potenza regionale nell’area.
Di fronte a questo puzzle, costituito da vari tasselli, il governo italiano sembra finalmente deciso a far valere gli interessi nazionali, avendo programmato una Conferenza sulla Libia a Palermo per il prossimo 12 novembre. L’azione diplomatica italiana viene portata avanti dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che lo scorso 8 ottobre ha incontrato a Mosca il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ed ha invitato la Russia a partecipare alla prossima Conferenza. Se l’Italia vuole davvero giocare il ruolo di mediatore e connettore dei vari interessi in campo, capacità che storicamente ha sempre avuto, dovrà dialogare con i diversi attori locali e internazionali, facendo sedere al tavolo non solo i due principali contendenti Sarraj e Haftar, ma anche i sindaci delle varie municipalità libiche, gli altri attori locali e i rappresentanti politici di Russia ed Egitto. Oltretutto, in questa azione di dialogo l’Italia sembra essere sostenuta dal suo tradizionale alleato d’oltreoceano. Durante la visita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte negli Stati Uniti a luglio scorso, Trump ha appoggiato e accolto l’iniziativa di mediazione italiana sulla Libia.
Da questo punto di vista, questa potrebbe essere anche un’occasione per riportare gli Stati Uniti nel gioco mediorientale, laddove con la presidenza Trump si è avvertito un progressivo disimpegno americano nell’area. La stabilizzazione libica ha valore anche sotto il profilo della politica interna del nostro Paese. Le dichiarazioni del ministro Milanesi sul fatto che la Libia non sia un porto sicuro hanno scatenato infatti le opposizioni di sinistra contro chi vuole i porti italiani chiusi ai migranti. A questo punto ci chiediamo se l’Italia sarà all’altezza del ruolo di deus ex machina per stemperare il conflitto e quindi placare il caos libico. Non resta che valutare gli elementi allo stato dell’arte e aspettare gli esiti della prossima Conferenza.
[1] Fonte: Report annuale 2018 Unione Petrolifera
[2] Fonte: World Gas and Renewables Review 2017
[3] Russia sends troops and missiles into Libya in bid to enforce stranglehold on the West di Tom Newton Dunn 8 ottobre 2018 https://www.thesun.co.uk/news/7448072/russia-missiles-libya-warlord/
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