The Darkness, gli alfieri del nuovo glam rock incendiano l’Hammersmith
La band inglese celebra la propria carriera con un live potente e grezzo che si rivolge anche ai fan dell’heavy
Sì, sono decisamente in forma: The Darkness, a distanza di un anno dal valido Pinewood Smile, tornano al pubblico con Live At Hammersmith, pubblicato anch’esso da Cooking Vinyl, che immortala il concerto del 10 dicembre 2017 all’Hammersmith Apollo.
Che il divertente quartetto londinese, forse non pienamente convincente a livello artistico, fosse in gamba dal vivo, lo si sapeva già e lo provano i ripetuti sold out collezionati in quindici anni di carriera. Ma c’è da dire che la performance incisa nei solchi di questo Live At Hammersmith è a dir poco superba. Via i lustrini e le patine dal sound, che nelle prove di studio è brillante e radiofonico per ovvie esigenze di classifica, ed ecco che l’ascoltatore è colpito da un suono diretto e ruvido, che fa rendere alla grande i brani.
È come se l’aspetto glam, con tutto il suo contorno tipico di pacchiana e simpatica cialtroneria, fosse sparito per lasciare il campo all’anima rock della band, che picchia sodo.
La formazione, rimaneggiata nel 2015 con l’ingresso di Rufus Tiger Taylor (sì, il figlio di Roger dei Queen) alla batteria, picchia alla grande. Notevole il tiro della sezione ritmica che dà un’accelerata a tutti i brani (e c’è da dire che anche lo storico bassista Frankie Poullain suona piuttosto duro) e li appesantisce quel che basta per ricordare che una cosa sono i video – su Youtube o Mtv, fa lo stesso -, un’altra è il palcoscenico.
Ottima anche la prestazione dei fratelli Hawkins, che si rivelano chitarristi solidi e pirotecnici, capaci di incendiare i brani con assoli al limite dell’heavy ma senza sporcare troppo l’insieme. Daniel, in particolare, sul palco osa di più e arricchisce le armonie lineari del gruppo con trovate non proprio irrilevanti.
Più sacrificata, in questo quadro decisamente più hard, la voce di Justin, che gigioneggia di meno coi falsetti e cerca timbriche più decise ed incisive.
E la scaletta?
La band ripercorre i suoi quindici anni e passa di attività in diciannove canzoni, redistribuendo con equità le hit dei suoi cinque album. Quindi non possono mancare i classiconi come Love Is Only A Feeeling, Black Shuck, Givin’ Up, Friday Night, Christmas Time (Don’t Let The Bells End) e l’irrinunciabile I Believe In Thing Called Love, restituiti al pubblico in maniera tosta e con suoni più duri. Ma risultano convincenti anche Southern Train, Japanese Prisoner Of Love e Barbarian.
Una prova davvero niente male. Che forse si rivolge più agli ascoltatori smaliziati per ribadire la propria bravura al popolo del rock.
No, non tutto è paillettes e lustrini, nel glam, e loro, i The Darkness, non sono solo un incrocio ammodernato tra i vecchi Queen e i T. Rex più qualche ammiccamento all’hard losangeleno degli ’80.
Il mondo è più grande, bello e vario di quel che ci raccontano i videoclip e la band inglese ci ricorda che il glam è stato concepito soprattutto per essere suonato dal vivo e dal vivo occorre essere bravi. Buon ascolto e buon divertimento.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei The Darkness
Da ascoltare:
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