Trenitalia e il Profondo Sud, viaggio su un regionale calabrese
Vagoni sovraffollati, condizionatori al minimo e stazioni al buio. Il viaggio è economico… ma così si esagera!
Forse le lamentele sono un tantino esagerate e, spesso, gli utenti che si lamentano sono i primi a non avere comportamenti a prova di bomba.
Ma quando si parla di Trenitalia una consistente verità c’è sempre. Un esempio è il treno regionale Napoli-Cosenza (e viceversa) che, per molti (studenti, pendolari e, d’estate, turisti) è l’unico mezzo di collegamento tra la metropoli campana e tanti piccoli centri che, altrimenti, sarebbero tagliati fuori dai trasporti pubblici.
È, per capirci, il classico trenino che ancora raggiunge stazioni semidimenticate. Se non ci fosse, la Calabria sarebbe tagliata letteralmente fuori. Su questo non si discute.
C’è da discutere, e tanto, sulla qualità del viaggio, che il più delle volte, risulta abbondantemente al di sotto dell’accettabilità: sembra di ricordare il caos dei vecchi intercity negli anni ’90, quando era iniziata la privatizzazione dei treni. Persone costrette a viaggiare in piedi per una buona parte del viaggio, che in totale dura più di quattro ore, i climatizzatori che funzionano e pezzi e bocconi, il più delle volte male e la pulizia non sempre al top, per usare un eufemismo.
D’accordo, 16 euro e 90 di biglietto non sono quella gran somma. Ma questo non vuol dire che un viaggio economico non deve essere per forza un viaggio privo di ogni minimo confort. Specie d’estate.
Pagare poco non comporta essere costretti, come ad esempio è capitato l’otto agosto, a viaggiare con un livello di sicurezza minimo e livelli di temperatura e di calca inaccettabili.
Partenza a Napoli Centrale. Sono le 19,25. Il tempo di scendere dalla freccia in arrivo da Roma e di raggiungere in tutta fretta il binario, dove il regionale aspetta già pieno come un uovo. La folla è tale che controllare i biglietti è impossibile. E la nuova regola, introdotta di fatto da Trenitalia, che impone ai viaggiatori di esibire i documenti prima di salire sul treno è inapplicabile, almeno per questo viaggio.
Dentro non si respira quasi: i condizionatori funzionano al minimo e l’aria ristagna nei vagoni finché il treno non parte. Dopo il fischio elettronico arriva un po’ di sollievo, perché le due controllore a bordo danno prova di buonsenso e, anziché chiedere i biglietti (cosa che avrebbe provocato una vera e propria sollevazione) aprono i finestrini per creare un po’ di corrente. Il rimedio è minimo e, per i viaggiatori che attendono vicino alle porte che qualcuno scenda, quasi nullo: è come passare da una pentola a pressione chiusa ermeticamente a una pentola normale. In ogni caso si bolle. Ma almeno così si respira un po’.
Le condizioni del viaggio migliorano un po’ non appena si raggiunge Sapri, l’ultima importante meta campana. Da questo punto in giù, il peggio di sé lo danno le stazioni: tutte al buio con le insegne praticamente invisibili. I viaggiatori sono costretti a ricorrere alla memoria o agli smartphone per orientarsi. A prescindere che comunque scendere di notte in stazioni poco illuminate non è il massimo della sicurezza e che per i viaggiatori che devono salire attendere al buio può essere decisamente peggio.
I centri calabresi sono mediamente piccoli. Ma alcuni di essi l’estate raggiungono una demografia importante. È il caso di Scalea, che tocca i 20mila abitanti di fatto, tra residenti e turisti. È il caso di Belvedere Marittimo, che supera i 15mila e lo stesso discorso può essere ripetuto per Cetraro. Non parliamo, insomma, di paesini arroccati sul classico cocuzzolo. Perché, allora, tanta noncuranza nelle loro stazioni che, per i turisti, in una terra che dovrebbe vivere di turismo, dovrebbero essere i primi biglietti da visita?
L’arrivo a Cosenza dopo un viaggio in queste condizioni, decisamente al di sotto degli standard che un treno regionale dovrebbe comunque dare, suscita almeno una riflessione: è chiaro che la Calabria è sotto ricatto economico.
Dopo le abbuffate degli anni ’70 e ’80, quando le Ferrovie dello Stato erano zeppe di personale e le fermate inutili abbondavano, si è arrivati all’eccesso opposto: o questi treni o niente. I trasporti veri, le frecce, i pendolini e i gioiellini hi-tech di Italo, si fermano sostanzialmente a Salerno. Per i calabresi anche la geografia è un castigo. Eccome.
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