Ciao Andrea, un ricordo di un anarchico cosentino
L’ultimo saluto ad Andrea Arcuri, volto noto dell’autonomia e ultrà del Cosenza, scomparso a causa di un banale e terribile incidente stradale
Meridionale, anarchico e ultrà. E poi: perbene, sincero, semplice e gran lavoratore. Andrea Arcuri, un figlio pulito della Calabria profonda, è morto a causa di un banale incidente stradale capitatogli mentre, assieme alla sua fidanzata, si recava a lavorare sulla costa tirrenica della sua terra. A provvedere, come cameriere, al benessere e al divertimento dei turisti per guadagnarsi il pane. O meglio, ad arrotondare i non lauti guadagni che si procacciava il resto dell’anno nelle cooperative cosentine e nel parcheggio allo svincolo dell’autostrada.
Andrea, ovviamente, non era solo questo, anche se questo già basterebbe a tracciarne un ritratto sommario.
Andrea, scomparso a bordo della sua accidentatissima utilitaria a nemmeno quarant’anni, era un anarchico vecchio stampo, animato da una passione cristallina. La stessa passione con cui, alcuni anni fa, si rivolse a chi ora lo ricorda per riaprire un dossier su un vecchio caso, quasi dimenticato: la tragedia degli anarchici della baracca, un gruppo di giovani calabresi morti per un incidente mai chiarito mentre andavano a Roma per far luce su un misterioso disastro ferroviario.
Nato quasi per scherzo, quel dossier durò quasi un mese, grazie alla testardaggine con cui Andrea, giornalista improvvisato e saturo del sacro furore dei neofiti, convinse a parlare chi ricordava e chi aveva dimenticato a ricordare.
Andrea, inoltre, era molto noto nella tifoseria cosentina: il suo cervello pendeva a sinistra e il suo cuore batteva rossoblù, fino a diventare insopportabile.
Ma non si prendeva mai troppo sul serio: «Chi si prende sul serio vive male», era il suo refrain.
Era un ragazzo di strada, certo. Ma dotato di un’educazione a prova di bomba. E di un’ironia senza pari, che gli permetteva di ridere assieme a chi la pensava in maniera diametralmente opposta alla sua. Già: lui si preoccupava soprattutto di dialogare col suo prossimo, senza pretese di convertirlo o prevaricarlo.
Vale la pena, al riguardo, di ricordare una gag improvvisata col suo datore di lavoro, che era in piena infatuazione berlusconiana: «Stavolta vi abbiamo fatto il culo», dice Andrea mentre lavava la macchina di un cliente. «Il Cavaliere ritornerà alla grande, compà: alla prossima vi facciamo vedere», è la pronta risposta. «Va bene, se Berlusconi rivince ti lavoro al doppio per una settimana a metà della paga, ma tu che ti giochi?».
Insomma, Andrea viveva così: con gioia. E con la stessa gioia è doveroso ricordarlo, ora che di lui mancheranno un po’ a tutti le sue mosse e i suoi tic. Soprattutto, mancherà quella luce che gli si accendeva in quegli occhi neri profondissimi ad ogni minima cosa. Per essere felice gli bastava poco. Ora, anche quel poco gliel’ha tolto il destino cinico e baro. Che la terra gli sia lieve davvero: non è molto, perché meritava tanto di più.
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