Bad Witch, i Nine Inch Nails più duri che mai
I padri dell’industrial metal chiudono la trilogia iniziata nel 2016 con un mini lp di sei brani cattivi influenzati dall’immaginario di David Lynch
Alla fine Trent Raznor e soci (in particolare il factotum e mago dei synth Atticus Ross) hanno mantenuto la promessa: con Bad Witch, pubblicato da The Null Corporation, l’etichetta domestica di Raznor, e distribuito da Capitol, terminano la cosiddetta trilogia degli ep iniziata nel 2016 con Not The Actual Events e proseguita l’anno scorso con Add Violence, concepito in concomitanza all’uscita delle nuove serie della storica Twin Peaks e, va da sé, sotto il pungolo del mitico David Lynch, amico e collaboratore dei Nine Inch Nails.
Su Bad Witch, troppo lungo nei suoi trenta minuti di durata per essere un ep e troppo corto per essere un album (soprattutto se paragonato alle passate maratone sonore della band), si è scatenata una diatriba filologica-mediatica: è un ritorno al passato o il tentativo di cercare sonorità nuove? Probabilmente tutt’e due le cose.
Ma, a voler dare un giudizio complessivo, questo ep lungo non è davvero male, anche se l’autocitazione e il deja vu affiorano più volte e forse non potrebbe essere altrimenti, dato il peso della storia dei Nin.
Una storia violenta, almeno a livello sonoro. E questa violenza è ribadita da Shit Mirror, che apre l’album con una lezione pesantissima di quell’industrial metal di cui i Nails sono stati iniziatori e restano tuttora maestri. L’elettronica e le distorsioni spadroneggiano alla grande e la stessa voce di Raznor, filtrata e distorta, emerge a malapena dal tappeto magmatico creato dalle chitarre fuori fase e dalle tastiere in cui persino le percussioni si limitano a marcare le cadenze velocissime del brano.
Piena di richiami psichedelici e trance, Ahead Of Ourselves evoca atmosfere sabbatiche da rave estremo. Le percussioni di Ilan Rubin stavolta sono più presenti e le tastiere distorte e cariche di effettacci di Ross e Alessandro Cortini esplodono solo nei cori ossessivi, che rimandano un po’ ai Prodigy vecchia maniera.
In Play The Goddammed Part Raznor ne combina una delle sue: a metà brano, uno strumentale che si regge su una linea pulsante di basso di matrice hardcore su percussioni ultracampionate, il leader si produce in un suggestivo assolo di sax, che tuttavia non ammorbidisce il suono ma ne aumenta gli effetti stranianti.
Il sax torna anche in God Break Down, un brano velocissimo e allucinante, dalle notevoli potenzialità cinematiche, a metà tra Lynch e Boyle.
Da qui al noise il passo è breve e i Nin lo muovono nell’agghiacciante I’m Not Of This World, sei minuti e rotti di atmosfere acide, effetti disturbanti e armonie appena abbozzate che emergono tra una dissonanza e l’altra.
Over And Out riprende lo stesso filo sonoro ma lo sviluppa in atmosfere più varie, fino ad approdare alla forma canzone vera e propria, con tanto di cantato melodico, forse il più melodico di Bad Witch.
Fin qui l’album (o ep, se si preferisce), su cui sospendiamo il giudizio. Il prodotto, in sé, non è affatto male. Anzi, abbonda di spunti interessantissimi. Certo, gli anni passano e tenere alto il livello della sperimentazione e dell’estremismo sonoro non è facile per artisti che si avvicinano ai cinquant’anni, trenta dei quali passati a trasgredire tutti i possibili canoni sonori. Ma i Nine Inch Nails dimostrano di avere ancora molto da dire e insegnare e sarebbe un peccato se si limitassero alle colonne sonore, per le quali le offerte non gli mancano.
È il caso di aspettarli al varco con un album vero. Allora capiremo se davvero gallina vecchia fa buon brodo.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Nine Inch Nails
Da ascoltare:
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