Spoke’s Beard, i giganti del prog americano stregano ancora
Noise Floor è il nuovo album della band californiana: dodici brani di virtuosismi e melodie ad alti livelli. Un omaggio postmoderno ai padri del genere
Rieccoli. I californiani Spock’s Beard, capostipiti assieme agli svedesi The Flower Kings della terza ondata del progressive rock iniziata negli anni ’90, raggiungono con Noise Floor, pubblicato da Inside Out, il traguardo del tredicesimo album.
La formazione è di nuovo manipolata: il posto al microfono del mitico Neal Morse è stato rilevato in maniera definitiva dal talentuoso Ted Leonard, che si è integrato benissimo, ed è invece rientrato il batterista Nick D’Virgilio, ma parrebbe non a tempo pieno.
Per il resto la band è quella di sempre: il chitarrista Alan Morse, il bassista Dave Meros e il tastierista Ryo Okumoto. Anche la ricetta musicale è consueta: virtuosismi a raffica, tempi dispari e costruzioni armoniche ardite. Con l’unica particolarità che stavolta i californiani esaltano l’aspetto più melodico e scansano le tentazioni metal. Il che non vuol dire che abbiano fatto una scelta commerciale ma solo che hanno tentato, riuscendoci in buona parte, di dare un prodotto più fruibile ai propri ascoltatori.
To Breathe Another Day apre l’album con una dichiarazione d’intenti in cui i cinque americani omaggiano in parte gli Yes (con la lunga introduzione strumentale, circa un minuto e mezzo) e in parte i Genesis, (nel refrain, in cui la voce di Leonard richiama Peter Gabriel). Notevole il duello solista tra Morse e Okumoto, che alterna hammond e synth per rispondere alle sciabolate del chitarrista.
Altro lungo intro strumentale per What Becomes of Me (due minuti di gran dinamismo e grande atmosfera) a cui segue l’attacco minimale della parte cantata su una base di chitarra acustica che evolve in crescendo fino ad esplodere nella bella parte solista.
Somebody’s Home è una ballad che parte su sonorità acustiche e cresce con una narrazione strumentale in cui entra anche un quartetto d’archi.
Have We All Gone, coi suoi otto minuti e rotti il brano più lungo dell’album, è un caleidoscopio degno della migliore tradizione anni ’70: cambi di tempo e di atmosfera e sonorità a tratti aggressive. Un omaggio migliore gli Yes (quelli veri) non potrebbero averlo.
In So This Is Life, l’unica vera ballad di Noise Floor, tornano gli archi a marcare la parte centrale in leggero crescendo su armonie sognanti.
Di nuovo un tuffo convinto negli anni ’70 in One So Wise, in cui Okumoto cita nell’introduzione la Pfm vecchia maniera (avete presente Celebration?) e poi esplode in mille rivoli, metrici e melodici. Anche Morse si scatena con un bell’assolo dalle sonorità e dai fraseggi metal.
Box of Spiders è uno strumentale di grande complessità: i Nostri citano alla grande anche il jazz rock alla Mahavisnu Orchestra, tra tempi dispari e suoni vintage, più una grande spruzzata di elettronica.
Chiude l’enciclopedica Beginnings, un altro omaggio al vecchio prog con suoni più moderni.
Fin qui l’album, rilasciato anche in edizione de luxe, con l’aggiunta di Cutting Room Floor, un ep composto da quattro tracce incise nelle stesse sessioni di Noise Floor. Niente male neanche queste, sebbene prevalga l’aspetto melodico a scapito del prog.
Così è in Days We’ll Remember, dal refrain di impatto e più easy listening.
Così è pure nella romantica Bulletproof, in cui l’impianto Genesis oriented coesiste con armonizzazioni vocali alla Bee Gees.
Piuttosto americaneggiante, Vault si segnala per un approccio ruffiano potenzialmente aor.
La strumentale Armageddon Nervous chiude la sarabanda nel segno della bizzarria: citazioni jazz rock, metriche impazzite e armonie arabeggianti.
Noise Floor non sarà il massimo dell’originalità ma è comunque un album che merita più di un ascolto attento.
Il prog sta bene, senza dovere per forza rincorrere il metal, ribadiscono gli Spock’s Beard che proseguono con coerenza il loro percorso iniziato nei lontani ’90, quando sulla scena giganteggiavano i Marillion di Fish. E gode di ottima salute artistica anche la band americana, che ha dimostrato che i suoni britannici vengono bene anche sotto il sole della California.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale degli Spock’s Beard
Da ascoltare (e da vedere):
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