The Night Flight Orchestra, una macchina del tempo diretta agli anni ’80
La superband svedese colpisce ancora: Sometimes The World Ain’t Enough, il loro quinto album, è un viaggio riuscitissimo nelle sonorità ruffiane del decennio del benessere. Una operazione nostalgia efficace per tutti gli ascoltatori
È quasi da non credere che artisti affermatisi in generi estremi, ad esempio il death metal, coltivino, e piuttosto bene, passioni eterodosse per altre espressioni musicali, a dir poco antitetiche.
Eppure agli svedesi The Night Flight Orchestra è accaduto, persino al di là delle aspettative più rosee.
Nata come divertissment tra artisti impegnati in ben altra roba, questa band è diventata quasi l’impegno principale dei suoi membri, cioè il talentuoso cantante Bjorn Strid, (che vanta una militanza nei Disarmonia Mundi, nei Terror 2000, nei Coldseed e nei Soilwork), il bassista Sharlee D’Angelo (Arch Enemy, Spiritual Beggars e Witchery, più collaborazioni con gli storici Mercyful Fate e King Diamond e con i Dismember), il chitarrista David Andersson (anche lui proveniente dai Soilwork) il chitarrista a polistrumentista Sebastian Forslund (Kadawatha), il tastierista Richard Larsson (Von Benzo) e il batterista Jonas Kallsbach (Mean Streak), più le coriste Anna-Mia Bonde e Anna Brigard.
Un supergruppo più strano non poteva esserci, non tanto per la provenienza dei singoli, quasi tutti dal metal più spinto, ma per la scelta artistica: resuscitare l’aor dei tardi ’70-’80 nelle sue forme più melodiche, valicando in abbondanza i confini col pop, al punto da far sembrare dei duri gli Europe vecchia maniera e i Bon Jovi e da far passare i Toto per metallari.
Eppure, ridendo e scherzano i The Night Fight Orchestra, sono arrivati al loro quarto album, il pregevolissimo Sometimes The World Ain’t Enough, edito dalla Nuclear Blast: un viaggio a ritroso nelle sonorità e nell’immaginario ottantiano, così pieno di tastierone vintage, chitarre griffate e dinamiche a volte danzerecce da far pensare che la cosmonauta in copertina stia per imbarcarsi su una macchina del tempo piuttosto che in un’astronave.
This Time apre le danze con un riff tosto di chitarre e tastiere all’unisono su un bel ritmo dinamico, sul quale spicca il cantato melodico di Strid, che scimmiotta un po’ i vocalizzi del Joey Tempest prima maniera, a cui aggiunge giusto qualche timbro rauco. Notevole anche la parte strumentale, imperniata sui duelli tra pianoforte e chitarre, che si producono in arpeggi velocissimi degni del rock patinato d’antan.
Con Turn To Miami si va decisamente verso il pop rock: le tastiere prevalgono, i coretti si fanno ammiccanti e le chitarre si prendono una piccola rivincita nei soli, tirati ma non troppo, che ricordano un po’ i Van Halen di 1984.
In Paralyzed il rock non c’è quasi, perché i Nostri affogano tutto nell’elettronica, le chitarre si limitano nella maggior parte del brano a un bel riff funky infiorettato alla grande dal basso di D’Angelo e riprendono tono solo nella parte finale, ma il livello, per capirci, resta simpaticamente a Flashdance o Saranno Famosi.
Anni ’80 a pieni polmoni, anche nella title track, che suona come una versione ruffianissima dei Toto più pop.
Moments of Thinder, invece, si piazza a metà tra gli Styx e i Foreigner, più qualche preziosismo chitarristico.
I Toto rifanno capolino in Speedwagon, in cui si segnalano pregevoli inserzioni di chitarra Lukather-style.
Sognante ed epica, Lovers In The Rain, sembra tratta di peso dalla colonna sonora di un film adolescenziale con Michael J. Fox.
Un po’ più dura e cadenzata, Can’t Be That Bad, spinge un po’ di più, ma non si va oltre un pop metal gradevole ed efficace.
Di nuovo pop danzereccio in Pretty Thing Closed In, che ricorda nelle parti più dure i Kiss supercommerciali di Dynasty e per il resto… Nick Kershaw, più un dettaglio curioso: le parti recitate in italiano dalle due coriste, che fanno tanto commedia dei Vanzina.
Bella, forse la più bella dell’album, Barcellona è un pop rock sostenuto a metà tra i Toto e i Survivor.
Winged And Serpentine ripete la stessa formula, forse in chiave più rock.
Ma i The Night Flight Orchestra osano di più nel finale: i nove e rotti minuti di The Last Of The Independent Romantics, in cui dimostrano che è possibile cimentarsi in cambi di tempo e atmosfera e orchestrazioni ardite a partire da un’impostazione pop. Ma c’è da dire che, in questo caso, qualche puntatina sull’heavy ci scappa. Pregevole la chiusa del brano, virata su suoni acustici, che fa un po’ prog, perché gli svedesi, evidentemente, non vogliono privarsi di nulla.
C’è da chiedersi, alla fine dell’ascolto, se i Nostri facciano sul serio, perché è difficile trovare nella scena rock attuale un’incongruenza così forte tra le premesse (il background cattivo dei singoli musicisti) e gli esiti (un pop rock di gran classe e griffato, sostanzialmente piacione e buonista),
Certo è che gli scandinavi si divertono e – quindi – riescono a divertire alla grande gli ascoltatori con una proposta gradevole, melodica ma mai melensa, orecchiabile ma non pacchiana.
La macchina del tempo assemblata dai The Night Flight Orchestra funziona alla grande anche e i piloti la guidano con grande perizia.
Allora a bordo e buon ascolto.
Da ascoltare (e da vedere):
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