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Il re del rock diventa “nero”: Roger Daltrey sfida i classici del soul

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Il frontman degli Who torna con As Long As I Have You, una raccolta di cover di grandi successi della black music e non solo. Poco rock ma grande intensità

Non è più l’esile Tommy. I boccoli sono ridotti a riccioli corti e i lineamenti angelici si sono appesantiti.

Il tempo, lo ripetiamo alla nausea, passa per tutti e Roger Daltrey, a suo tempo prototipo del cantante rock, arrivato al traguardo dei 74 anni, non fa eccezione. Tranne per la voce.

Che è meno squillante di quella che abbiamo imparato ad amare negli Who, ma è diventata spessa, profonda e graffiante. Come quella di un bluesmen o di un cantante soul.

Roger-Daltrey

È la voce, per capirci, che abbiamo apprezzato quattro anni fa in Going Back Home, inciso assieme all’amico Wilko Johnson, il miracolato chitarrista dei leggendari Dr Feelgood, sopravvissuto a un tumore al pancreas.

C’è da dire che, quanto a miracoli, neppure Daltrey, reduce da una meningite, scherza poco. E forse non è un caso che il cantante britannico sia tornato a incidere quasi contemporaneamente a Johnson, il cui recente Blow Your Mind impazza nei circuiti rock internazionali.

La scelta di Daltrey è decisamente diversa rispetto a quelle dell’ex compare di avventura, che nel suo As Long As I Have You, pubblicato a inizio estate dalla Polydor, si è fatto aiutare dall’amico e collega di sempre Pete Townshend per interpretare undici pezzi, di cui nove cover di classici del blues-soul-country e due inediti, che si richiamano allo stile delle cover.

Già, finché la voce (quella voce) tiene ancora, meglio approfittarne per regalare qualche delizia ai fan e agli appassionati.

La copertina di As Long As I Have You

E As Long As I Have You non delude, tutt’altro: grazie all’apporto di una factory di 19 musicisti che si alternano nelle varie tracce (tra i quali l’ex Style Council Mick Talbot, all’opera con i risorti Who e con Johnson) i brani acquistano uno spessore sonoro moderno che valorizza la loro sostanza vintage.

Il primo esempio di questo riuscito ammodernamento è la title track, che apre l’album, una hit soul scritta quasi sessant’anni fa da Bob Elgin e Jerry Ragovoy interpretata  da Garnet Mimms, artista seminale della scena soul. As Long As Have You acquista in potenza grazie alle corde vocali ancora solide di Daltrey senza perdere in profondità e il suo refrain ritmato acquista toni quasi epici grazie all’arrangiamento più pesante e compatto.

Allo stesso modo, How Far, il classico di Stephen Stills, perde quella leggerezza gradevole e un po’ leziosa dell’originale e acquista in dinamicità, grazie a una ritmica sostenuta che lancia alla grande il tappeto di chitarra acustica.

Where Is A Man To Go è la versione gender di Where Is A Woman To Go, cavallo di battaglia della regina del country K. T. Oslin. La mascolinizzazione non è solo nel titolo, visto che la resa sonora, tutta profondità e potenza, trasforma del tutto il brano in maniera più che convincente.

Get Out Of The Rain, è la cover, pesantemente ritoccata (tanto che nei credits dell’album risulta erroneamente attribuita allo stesso Daltrey) di Come Out Of The Rain, classico di Ruth Copeland, la bella regina angloamericana del country-blues convertita al funky. In questo caso, il trattamento di Daltrey risulta piuttosto invasivo e le sonorità virano sul rock in maniera decisa.

In I’ve Got Your Love, che proviene dal repertorio del blues singer americano Boz Scaggs, il Nostro si lancia in un’interpretazione delicata e stentorea e forse non potrebbe essere diversamente per una ballad da juke joint o da locale country, sebbene il soul sia la cifra stilistica prevalente del brano.

Into My Arms è il brano più recente nella selezione di cover di Daltrey: è la hit scritta e lanciata nel ’97 da Nick Cave. Ed è l’unico caso in cui la star britannica, abituata a interpretazioni aggressive anche nei brani più di atmosfera, va un po’ in affanno per inseguire l’aplomb intimistico del cantautore australiano in una versione per soli piano e voce troppo simile all’originale per essere definita una cover.

A quattro stelle (non cinque, per evitare equivoci con la politica…), invece, l’interpretazione di You Haven’t Done Nothing, il superfunky di Sua Maestà Stevie Wonder, reso in una versione tiratissima in cui il Nostro gigioneggia alla grande con le coriste. A giudizio di chi scrive, il miglior pezzo della raccolta.

Gli Who negli anni d’oro

Deliziosissima la cover di Out Of Sight Out Of Mind, la ballad di Clyde Otis e Ivy Jo Hunter. In questo caso, l’interpretazione daltreyana è così coinvolgente (e stravolgente, grazie anche al corposo tappeto sonoro dei fiati) che, più che di rifacimento, occorre parlare di palingenesi rispetto alla versione originale di Little Antony And The Imperials.

Certified Rose, il primo dei due inediti della raccolta (scritto da Daltrey assieme al cantautore pop Gerard McMahon) è una ballad soul manierata, in cui l’ex frontman degli Who usa al meglio le sue timbriche più basse. Nulla di particolarmente originale. Anzi: la canzone potrebbe essere scambiata per una delle cover dell’album.

Con The Love You Save si torna alle cover: stavolta tocca a Joe Tex, il rivale di James Brown negli anni ’60 poi convertitosi all’islam come Cassius Clay. Anche in questo caso, l’albionico è perfettamente a suo agio nelle timbriche della musica black più profonda.

Chiude l’album il secondo inedito, scritto assieme al romanziere Nigel Hinton: Always Heading Home, una ballad intimistica dai toni pop.

Daltrey dal vivo oggi

Gradevole, a tratti forte e intenso, As I Long As I Have You è un ottimo come back solista per il frontman degli Who: un ritorno alle origini, come ha dichiarato lo stesso cantante, e una bella prova di maturità.

Di rock ce n’è poco e affiora nell’approccio che nello stile. Ma pazienza: con quella voce, Daltrey può davvero cantare quel che vuole e come vuole. Ascoltiamolo attentamente perché ne vale la pena, anche quando si cala nei panni dei neri coi suoi riccioli superstiti e ingrigiti.

Per saperne di più:

La biografia di Roger Daltrey nel sito degli Who

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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