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Party Animals: l’allegra follia in maschera dei Bikini Death Race

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Convincente album d’esordio per il duo enigmatico che mescola punk e synth pop con una vena di anarchica piacevolezza

Se usassero strumenti veri sarebbero punk, in maniera scanzonata a metà tra i Misfits e i Ramones, che rientrano nelle loro influenze.

Se la voce solista fosse maschile e baritonale, somiglierebbero a tratti ai Depeche Mode d’annata, quelli che abbiamo ballato alle feste di gioventù e che tuttora ci strappano il sorriso nostalgico per quegli ’80 che ci hanno comunque marchiati a fuoco.

Ma se non affogassero tutto nell’elettronica più estrema e la voce non fosse femminile con toni bambineschi i Bikini Death Race non sarebbero quel che sono.

I Bikini Death Race

Già, ma chi sono? Per scelta artistica, hanno deciso di non rivelare le loro identità, che tengono ben nascoste dietro pseudonimi e maschere buffe.

Un modo per attirare l’attenzione sulla loro musica o per attirare l’attenzione e basta?

Da quel poco che si sa, i Bikini Death Race sono un duo, presumibilmente basato a Roma, dove hanno composto e inciso la loro musica, composto dal tuttofare Pandito Bidierro (cioè il Ragazzo Italiano con la Maschera da Panda), che suona il basso, fa alchimie con l’elettronica e occasionalmente canta, e dalla cantante solista Gingerkat Baddrox (ovvero la Ragazza Inglese con la Maschera da Gatto), una fashion activist britannica con la passione per la musica… strana.

La copertina di Party Animals

E di stranezze Party Animals, il loro album uscito di recente dopo due anni di gestazione per la Ghost Factory Records & Arts, è pieno zeppo.

Approssimativamente, si può definire la loro musica un electroclash saturo di influenze punk e postpunk. Il che vuol dire che quasi non hanno un genere.

Infatti, i Bikini Death Race hanno preso dal punk la grammatica essenziale, la durata breve (si va dai tre minuti di Don’t Talk al minuto e cinquantasette della title track) e il piglio iconoclasta venato di satira. Dall’elettroclash hanno preso invece l’uso martellante dell’elettronica, che rievoca un po’ il synthpop e un po’ la musica da rave. Roba comunque duretta, il cui unico respiro melodico è nel cantato di Gingerkat.

Procediamo con ordine.

Celestico apre l’album con il suo ritmo spedito e la sua melodia allo stesso tempo ariosa e forsennata. Un brano bandiera che dà un saggio delle coordinate stilistiche del duo. Non a caso, da questa canzone è tratto il primo singolo della raccolta, da cui è tratto un simpaticissimo video a finti colori con inserzioni fumettistiche.

Altro brano, altro singolo (che stavolta immortala il duo in azione sul palco: lei buffa e sensuale con il caschetto che sporge dalla maschera e la tutina attillata, lui intento a malmenare un basso Fender): The Rabbit Hole va oltre nella mescolanza tra elettronica e punk, ribadita dalla fusione tra il basso sporchissimo e distorto e l’elettronica martellante da rave, che indurisce il tutto. L’elemento più leggero, stavolta, è la batteria elettronica.

Zombie Posers, che ripete la medesima formula aggressive, è un omaggio ai Misfits, in cui fanno capolino, qui e lì, i Cramps.

In Oh Oh, caratterizzata da una ritmica pulsante e da un refrain gioioso, riemerge la ricetta dei Ramones.

Don’t Talk è un viaggio nell’elettronica anni ’80 con una spruzzata di trance.

Party Animals ripete la formula punk più elettronica in maniera più concentrata: non a caso è il brano più breve.

Deragliante e dalla metrica cadenzata, Fuck Off and Die aggiunge al non genere della band alcuni elementi di psychobilly e di metal (il coro in growl di Pandito)

Ancora la lezione dei Ramones in Not Sorry, che si segnala per il refrain pop e l’hey hey nel coro.

Have You Ever è un esempio di post punk riveduto e scorretto dall’elettronica con inserzioni pop.

Chiude l’album Time Machine, in cui l’elettronica prende il sopravvento e l’atmosfera prevale sulla durezza. Un altro tuffo nostalgico nel synth pop.

A questo punto possiamo rispondere tranquillamente: i Bikini Death Race col loro forzoso anonimato hanno voluto attirare l’attenzione e basta, perché la loro musica, immediata, ben concepita ed eseguita con stile, non ha bisogno di trucchetti per imporsi.

Il duo merita un ascolto attento e uno sguardo divertito. Forse quel che fanno non è originalissimo, ma il come lo fanno è degno di nota, tant’è che riescono a mettere d’accordo il neofita digiuno di certi ascolti con il fruitore più smaliziato.

Buon ascolto. E buon divertimento.

Per saperne di più

Il sito web dei Bikini Death Race

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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