Un ricordo di Pierino Buffone, il politico del popolo che fece contare la Calabria
Fu popolare e stimato e seppe imporsi su avversari altolocati a dispetto delle umili origini. Dialogava con tutti, anche durante i confronti più aspri. Diede filo da torcere ai comunisti nelle loro roccaforti ma tenne testa anche ai capi dei Servizi Segreti. Così lo ricorda il giornalista Nando Perri nel suo ultimo libro
Avevi voglia di chiamarlo Pierino: Pietro Buffone era un omone che definire corpulento era davvero poco.
Il diminutivo con cui l’ex leader Dc, parlamentare di lungo corso, sottosegretario alla Difesa e sindaco della sua Rogliano è passato alla storia è solo il nomignolo affettuoso datogli dai suoi concittadini e dai suoi amici di partito. E Buffone, vale la pena di ribadirlo fino alla noia, era solo un cognome, sebbene la combine anagrafica gli valse non poche battute, a partire da quelle al curaro dello storico leader Pci Giancarlo Pajetta.
Altri tempi, perciò riavvolgiamo il nastro. Rogliano è una cittadina nel cuore della Valle del Savuto, nella parte meridionale della provincia di Cosenza. È stata sempre un centro dinamico, innanzitutto per motivi geografici, visto che è un punto di collegamento con il Catanzarese. Ma anche per motivi politici, che poi sono quelli che fanno la differenza: innanzitutto, grazie alla presenza di Donato Morelli, esponente dell’élite liberale risorgimentale, aristocratico e garibaldino e parlamentare di lunghissimo corso.
Poi, dal dopoguerra in avanti, in seguito all’affermazione di Pierino Buffone, che sintonizzò il piccolo centro calabrese sulle grandi tematiche della politica nazionale dell’epoca.
Sì, parliamo di Prima Repubblica e parliamo di politica. Quelle vere, che persino gli incalliti antisistema di ieri oggi rimpiangono con nostalgia.
Se fosse vivo, Buffone adesso avrebbe cento anni. Si è fermato cinque anni fa, quando con molta discrezione faceva il padre nobile della politica, non solo locale: al bar, nella piazza che ora porta il suo nome, oppure nella sua mitica cantinella, un localino rustico in cui accoglieva gli amici che trascorrevano con lui serate memorabili.
Il giornalista Ferdinando Perri, anche lui roglianese doc e con trascorsi importanti nell’informazione che conta (in Rai e come cronista parlamentare) ha deciso di celebrare il doppio anniversario, il centesimo dalla nascita e il quinto dalla scomparsa, dedicando all’ex leader Pietro Buffone, sindaco di Rogliano, uomo di governo (Editoriale Progetto 2000, Cosenza 2018), un’antologia di contributi di varie personalità, calabresi e non solo, della politica, della cultura e della vita civile, introdotta da una corposa nota biografica redatta dallo stesso Perri che, da sola, vale la lettura del libro.
Figlio di una guardia municipale e membro di una famiglia numerosa della piccola borghesia d’inizio ’900, Buffone è stato il classico figlio del popolo in grado di farsi avanti e di ottenere il successo (meritato) con le sue sole capacità, sorretto da una sensibilità e da un fiuto politici notevolissimi, che gli hanno consentito di spuntarla nei confronti di competitor agguerriti e, cosa di non poco conto nella Calabria classista dell’epoca e di sempre, altolocati.
Già sindacalista Cisl e dirigente Dc, Buffone riuscì ad essere sindaco di Rogliano per circa un trentennio, deputato per ventitré anni, dalla seconda (1953) alla sesta legislatura (terminata nel 1976). Proprio durante quest’ultima legislatura, l’ex leader calabrese raggiunse l’apice della carriera, con la nomina a sottosegretario alla Difesa nel secondo governo Andreotti (1972-1973), incarico delicatissimo che mantenne nel quarto governo Rumor (1973-1974) con la delega delicata e importante ai Servizi Segreti, assegnatagli dal ministro socialdemocratico Tanassi su indicazione dei vertici della Dc.
Una carriera impressionante, soprattutto se si pensa che Buffone fu un autodidatta. Fermatosi alla licenza elementare («Sono un laureato elementare», diceva di sé per schernirsi e schernire i propri avversari, che spesso erano titolatissimi professionisti legati ad ambienti di potere) ma formatosi nel contesto durissimo delle lotte sindacali in cui la Cgil (e quindi il Pci) era egemone nelle classi rurali, il corpulento democristiano fu scoperto da don Luigi Nicoletti, sacerdote di San Giovanni in Fiore e seguace del popolarismo sturziano, che vi vide l’antidoto alla presa del marxismo sui ceti popolari.
Popolare e popolano, anzi popolare perché popolano, Buffone esibì subito una grande capacità di dialogo. Subì solo una sconfitta, ad opera del fronte popolare guidato dal mitico Gennaro Sarcone, leader del Pci cosentino a cui è tuttora intestato un circolo del Pd. Ma ne trasse partito e imparò subito ad erodere i consensi popolari alla sinistra.
Fu un popolare conservatore dalla vocazione minoritaria, a dispetto dei consensi personali, che invece erano plebiscitari: non aderì mai alle correnti di potere del suo partito e spesso si schierò contro varie iniziative. Ad esempio, contro il pacchetto Colombo, che prevedeva la creazione del polo siderurgico di Gioia Tauro. Più che bastian contrario, fu preveggente, visto che l’iniziativa abortì in malo modo.
Allo stesso modo, Buffone fu contrario al compromesso storico, in cui vedeva il male del consociativismo. Una posizione coraggiosa nella Dc in cui Moro era un mito.
Fu un ex leader per scelta: non si ricandidò nel ’76 per favorire il rinnovamento della deputazione calabrese. Rimase a Rogliano a fare il sindaco ma sempre con un piede a Roma, dov’era ascoltatissimo.
Critico nei confronti della stagnazione politica e morale che, dalla seconda metà degli ’80 avrebbe travolto il suo partito, Buffone tenne tuttavia alto fino all’ultimo il vessillo scudocrociato, visto che, con notevole spirito di servizio, fu segretario della Dc nei primi ’90, gli anni del tracollo.
Dopodiché si sarebbe schierato con Berlusconi e, anche sotto la pressione dell’età, lasciò man mano la vita politica.
Il volume curato da Perri trabocca non di elogi affettuosi, facili nei confronti di chi non può più essere un avversario temibile, bensì di testimonianze dettagliate.
Un tributo alla memoria di un uomo che seppe vincere i limiti delle condizioni sociali di partenza e della geografia e fu capace di scrivere una pagina significativa della vita politica non solo calabrese. Tutto questo, ricorda il curatore, senza farsi sfiorare neppure dall’ombra di uno scandalo. Buffone fu in grado di trattare da pari a pari con i vertici dell’esercito e dell’intelligence con la stessa bonomia con cui prendeva il caffè coi compaesani. E fu in grado di tenere botta nelle lotte di potere interne alla Dc senza farsi trascinare e degenerare.
Non è davvero poco, per una figura politica che è un po’ l’autobiografia del meglio della Prima Repubblica: cioè di quel sistema che assicurò, per la prima volta nella storia italiana, una forte mobilità sociale in un clima di libertà. Che consentì ai figli di nessuno di diventare padri di qualcuno.
Un personaggio da riscoprire. Magari proprio a partire da questo libro.
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