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La morte di Moro? Un complotto internazionale…

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Lo sostiene con efficacia il giornalista Giovanni Fasanella, ex firma di punta dell’Unità e di Panorama nel suo recentissimo libro “Il puzzle Moro”: le Br non agirono da sole, dietro il tragico sequestro dello statista ci furono forti interessi internazionali

Con un po’ di malignità si potrebbe dire che Giovanni Fasanella, già cronista di punta dell’Unità (quello vero) negli anni di piombo e negli anni del berlinguerismo e poi firma di Panorama, scrive lo stesso libro da anni.

A prima vista, il suo Puzzle Moro. Da testimonianze e documenti inglesi e americani desecretati, la verità sull’assassinio del leader Dc, edito da Chiarelettere la scorsa primavera, dà l’idea, anche a dispetto della notevole quantità di materiali inediti utilizzati, di una rielaborazione di vari lavori, anche importanti, che il giornalista lucano ha dedicato nel corso dell’ultimo ventennio alla storia nascosta dell’Italia del dopoguerra. Il tutto aggiornato per centrare il quarantesimo anniversario del delitto Moro.

Il giornalista Giovanni Fasanella

È così? Sì e no: al di là della scelta editoriale, più che legittima, di concorrere alla celebrazione del più tragico evento della storia repubblicana, il volume di Fasanella offre più spunti di riflessione.

Innanzitutto, perché riassume con efficacia alcune tesi, in parte recepite anche dalla storiografia accademica: si pensi, per fare solo due esempi, agli importanti lavori dedicati da Miguel Gotor al memoriale dello statista o, più di recente, alle ricerche promosse dal Master in Intelligence dell’Università della Calabria, sfociate nell’interessante antologia Aldo Moro e l’Intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere (Rubbettino, Soveria Mannelli 2018) curata da Mario Caligiuri.

Considerate ancora in parte pura dietrologia da chi preferisce concentrarsi sull’aspetto esteriore del delitto Moro, attribuendolo a un antistato proteiforme che nella seconda metà dei ’70 si era incarnato nelle Br, queste tesi hanno retto bene il vaglio del tempo. Sì, il rapimento e l’uccisione di Moro furono determinati da forze che andavano oltre e al di là dell’eversione rossa di quegli anni.

Sì, lungi dall’essere solo un raffinato bizantino esperto nella navigazione a vista tra le correnti della Dc e il gioco politico della Prima Repubblica, lo statista pugliese fu l’interprete di una politica realista spinta fino alle conseguenze estreme. L’unica, probabilmente, in grado di restituire all’Italia un dinamismo, interno e internazionale, in grado di conferirle una dimensione di prima grandezza, soprattutto nella politica estera, persa in seguito alla sconfitta bellica.

Sì, Aldo Moro pagò soprattutto questo suo ruolo di demiurgo, di abile mediatore e di tessitore di trame geopolitiche in nome dell’interesse nazionale, quando l’una e l’altro erano considerati dalla cultura ufficiale poco più che parolacce.

Secondo la ricostruzione di Fasanella, il delitto Moro fu l’esito di un processo di lungo termine, maturato in contesti all’epoca oscuri e tuttora non facilmente decifrabili.

Erano i contesti dell’alleanza nata dopo la Secondo Guerra Mondiale, in cui i partner europei della Nato, soprattutto l’Inghilterra ma anche la Francia, miravano a fare dell’Italia un Paese di seconda grandezza, una sorta di protettorato attraverso cui gestire i propri interessi, all’epoca ancora coloniali e imperiali, nel Mediterraneo.

Troppo debole a causa della sconfitta militare, ma ancora troppo ingombrante, per motivi geografici ma anche per tradizioni, l’Italia era percepita come un ostacolo. Da qui i condizionamenti continui, tentati e spesso andati a segno, nella nostra vita politica.

La copertina del libro di Fasanella

Condizionamenti che iniziano ben prima della nascita della Repubblica.

La storia di Fasanella parte da lontano: dall’eccidio di Porzus, che apre la prima, importantissima crepa nel movimento partigiano. Non solo tra bianchi (e verdi) e rossi. Ma anche all’interno di questi ultimi, nel variegato mondo del movimento operaio italiano, tra i tentativi di inserirlo nel gioco democratico condotti, a volte in maniera autoritaria, dal gruppo dirigente Pci e le pulsioni rivoluzionarie, che persistevano anche nel partito di Togliatti. Proprio da questa frattura, che ha influenzato la sinistra extraparlamentare, sarebbe sorta l’eversione rossa e brigatista

Il resto della Resistenza, messo in secondo piano dall’imponente apparato cultural-propagandistico comunista, finì nella sfera d’influenza dell’Intelligence straniera, britannica in particolare, come documenta la vicenda di Edgardo Sogno.

Tutto questo non è una novità. Semmai è nuova, rispetto alle tante vulgate dietrologiche, la contestualizzazione di Fasanella: non più (solo) l’onnipresente e onnivora Cia, ma soprattutto i servizi britannici e francesi, che risultano credibilissimi nel ruolo di burattinai.

La ex Br Adriana Faranda

La storia del giornalista lucano prosegue attraverso la rilettura della strategia della tensione, dei tentativi golpisti e degli anni di piombo, riletti tutti sul parametro dei condizionamenti internazionali, non più genericamente Nato, ma con responsabili ben precisi, individuati all’interno dei ministeri e delle ambasciate britanniche italiane.

E Moro? Resta sullo sfondo. Chi cercasse in Puzzle Moro dettagli biografici inediti sullo statista resterebbe deluso. Ma l’obbiettivo di Fasanella non è la figura di Moro, forse il politico italiano più biografato dopo Mussolini, ma la sua politica, in cui risalta il tentativo di dare all’Italia un ruolo di potenza regionale autonoma e in grado di condizionare a proprio piacimento (e secondo i propri interessi) la politica internazionale.

Questa chiave di lettura spiega benissimo sul terreno del realismo politico tutte le evoluzioni di Moro: dal varo del centrosinistra alla politica di appeasement verso il mondo arabo per finire con l’ambivalenza verso i Balcani. Le spiega molto di più e meglio della consueta lettura ideologizzante (e istituzionalizzata in buona parte della storiografia, accademica e non) che ricorre alle categorie, ormai logorate dall’abuso, del cattolicesimo politico, del dossettismo e dell’ecumenismo a sinistra, trasformato in una categoria politica a sé.

Ma c’è da dire che Fasanella non trae tutte le conseguenze da questa importante premessa e la sua lettura resta lacunosa su un punto: cioè sul fatto che la politica estera e la geopolitica italiane si sono mosse su sostanziali linee di continuità: quelle balcaniche e africane, inaugurate da Crispi e quella nordafricana e rivolta verso il Medioriente, interpretata da Giolitti ed entrambe proseguite dal fascismo. Detto altrimenti, Moro proseguì sotto mentite spoglie e con l’ausilio di formidabili spin-off quella politica che aveva dato fastidio ai partner occidentali prima della Seconda Guerra Mondiale e che avrebbe continuato a dare fastidio dopo. Anzi, ne avrebbe dato di più, perché condotta in maniera più insidiosa da una potenza mercantile, l’Italia, alleggerita dal peso delle colonie e perciò in grado di competere con estremo dinamismo nei confronti degli imperi europei ormai in disfacimento.

L’ex leader Br Valerio Morucci

La mancanza di questa linea di continuità menoma un po’ il libro, che si appiattisce in un elogio acritico del compromesso storico, che non tiene conto delle ambivalenze della linea politica di Berlinguer, sin troppo impegnato a mediare tra le anime rivoluzionarie (filosovietiche e non) e quelle miglioriste del suo partito.

A proposito e sempre per tornare al ’78 occorrerebbe rileggere le polemiche di quell’estate di quarant’anni fa, quando ancora il cadavere di Moro era politicamente caldo sul leninismo di Berlinguer, inaugurate da Craxi e Pellicani.

È invece convincentissima la ricostruzione dei retroscena del delitto Moro, interpretato alla stregua di un vero e proprio complotto internazionale, di cui le Br sarebbero state il braccio operativo, alla stregua di tanti altri utili idioti di cui, evidentemente, abbondava sin troppo il terrorismo internazionale.

Non è il caso di scendere troppo nei dettagli di cui Fasanella si serve per costruire il suo Puzzle. Val la pena, semmai, di notare come questo volume faccia giustizia anche del luogo comune sui compagni che sbagliano, presentati (era ora) come soggetti politicamente lucidi e dai rapporti piuttosto ambigui. Ne è un esempio il ruolo tutt’altro che chiaro (a livello storico-politico, sia chiaro e non giudiziario) di Franco Piperno che tentò di mediare col fronte della trattativa apertosi nelle Br. Ma questa è un’altra storia. Una delle tante scoperchiate da quel maledetto cofano della Renault 4 di via Fani. Concludiamo con una citazione: «No, in tutta onestà non posso dirlo. Non posso escludere che sia accaduto qualcosa sopra le nostre teste che non sappiamo», ha dichiarato Adriana Faranda, protagonista del sequestro Moro, a Fasanella.

Serve davvero altro? Buona lettura.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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