Most read

Caso Le Pen, le destre italiane devono tacere

Rate this post

La dama della Senna tenta il colpo, ma il suo partito è in declino

Il sovranismo è solo paura dell’Ue e nostalgia

Gli ex big del centrodestra italiano applaudono all’esempio francese, ma non ne sono all’altezza

Marine Le Pen è simpatica, Emmanuel Macron no. Detto questo, la Le Pen è invotabile, Macron può essere votato senza turarsi il naso.

Diciamo subito che i paragoni operati dai nostri media, che non sono riusciti a evitare il consueto provincialismo nel commentare le Presidenziali francesi, sono fuori luogo: Macron, per dirne una, somiglia pochissimo a Renzi. Non è piacione come il toscanaccio, diventato premier grazie a una manovra di Palazzo. In compenso, rispetto al segretario del Pd, il nuovo leader francese ha dalla sua un curriculum di alto profilo: è un tecnocrate di altissimo livello, arrivato alle istituzioni come superconsulente e poi infilato da Hollande nel ministero chiave dell’Economia. Oltre a questo, di politico nella sua biografia c’è poco: non una candidatura che sia una prima del 2014, quando l’ex presidente lo fece ministro, non un ruolo in un’amministrazione che non fosse un cda o una burocrazia d’altro rango.

Il contrario dell’ex premier, arrivato a Palazzo Chigi dopo una lunga trafila nelle amministrazioni locali toscane senza precedenti professionali. Il paragone, se reggesse, sarebbe impietoso per noi.

Non regge di sicuro il paragone tra la Le Pen e i nostri sovranisti, Matteo Salvini in testa. Il Front National è un esempio da manuale di perdente di successo, con una storia che per certi versi ricorda quella del vecchio Msi: percentuali importanti ma compensate da pochi seggi, grande efficacia nel cavalcare la protesta e nel riempire le piazze e, a volte le urne, ma mai un ruolo determinante in un’amministrazione. Fondato nel 1972 dallo storico (e per molti “mitico”) Jean-Marie Le Pen, Fn propose da subito un mix delle tesi delle destre radicali francesi, quasi irrilevanti a livello politico, ma forti di una tradizione culturale importante che risale almeno a Charles Maurras. In un partito così c’era di tutto. Ad esempio l’antifascismo (molti suoi fondatori rivendicavano con orgoglio di aver fatto la Resistenza), ma anche l’antigaullismo (alcuni provenivano dall’esperienza algerina, in cui avevano simpatizzato per l’Oas), la rivendicazione dell’identità religiosa, ma anche lo sciovinismo laico, tipico del nazionalismo francese, e infine la difesa a oltranza dell’identità nazionale, concepita come un contenitore in grado di inglobare anche gli africani e i vietnamiti “nazionalizzati”. Di tutto questo calderone, confuso ma ricco, resta poco.

Ora come ora, Fn è un feudo a conduzione familiare in cui ci si sforza di declinare in chiave politicamente corretta, tranne per le cacciate infelici del vecchio Jean-Marie, le solite formule, che sarebbero decotte se la crisi non le avesse rivitalizzate.

La virago della Senna – grazie anche, sostengono i maligni non senza fondamento, ai generosi finanziamenti di Putin – è riuscita a toccare i cuori e le pance dei francesi più di papà Jean-Marie. Ha evocato gli spettri dell’insicurezza provocata dall’immigrazione, di fatto incontrollabile dopo l’attuazione degli accordi di Schengen, e dal terrorismo, che in un certo immaginario sono la stessa cosa. Ha puntato il dito contro certe pratiche economiche, il dumping spinto e le delocalizzazioni, e finanziarie, agevolate nel sistema dell’Ue. Ha evocato il ritorno delle frontiere, che non pochi, esasperati, vorrebbero guardate a vista con tanto di cavalli di Frisia e mitragliatori. E, soprattutto, ha invocato il protezionismo economico.

Non che i problemi denunciati e cavalcati alla grande dalla Le Pen non ci siano. Anzi. Ma il punto è che questi problemi non sono, come una certa demagogia vuol fare credere, “causati dall’Europa”, bensì sono sorti nell’Europa e vanno risolti in un contesto europeo. Certo, serve uno spauracchio per far capire che o l’Ue modifica certi assetti oppure rischia seriamente di sparire. E nessuno più della Le Pen, che è comunque più presentabile dei suoi omologhi europei, è adatto al ruolo.

Non lo sono soprattutto gli improvvisati sovranisti italiani che applaudono alla madame d’acciaio d’Oltralpe. Non lo sono gli ex An, ora dispersi in mille rivoli. Non lo è quella parte di Forza Italia, che convive allegramente con gli ultraliberisti. Non lo è la Lega, che tenta di far scordare il proprio core business antimeridionale.

Costoro dovrebbero avere il buon gusto di tacere perché hanno avuto l’Italia in mano per vent’anni e si sono nutriti allegramente anche negli scranni di Strasburgo. Dov’erano loro quando l’Italia apriva le frontiere ai mercati più improbabili, quando i “cummenda” delocalizzavano e quando l’agricoltura di interi territori, grazie all’abuso della manodopera clandestina, si trasformava in un porto franco a danno del lavoro italiano? Il più delle volte erano al governo. E dov’erano quando veniva smembrato il sistema di controlli amministrativi che poteva impedire il depauperamento e lo scivolone nell’illegalità di intere regioni? In questo caso dovrebbero tacere due volte, non solo perché governavano, ma perché certe riforme le hanno promosse proprio loro.

Il messaggio politico con cui la Le Pen potrebbe dare un’altra sorpresa agli osservatori (un ballottaggio più combattuto e aspro per l’algido Macron) è poca cosa: un gaullismo decadente, senza de Gaulle e senza la grandeur. Ma i nostri improbabili sovranisti, che per recuperare consensi prendono appunti dalla dama francese, non hanno neppure questo: perso il passato, persa la tradizione politica gli resta la luce riflessa.

Voltiamo pagina e rispettiamo le scelte politiche di una nazione che, a dispetto della crisi, ha comunque l’imbarazzo della scelta tra un giovane tecnocrate e una consumata leader, perché entrambi sapranno far valere le ragioni della Francia. Poi guardiamo al nostro scenario e incrociamo le dita: tolti i malumori e le chiacchiere da bar, c’è rimasto poco.

Saverio Paletta

 

 9,788 total views,  2 views today

Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

Be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Go to TOP