Psichedelici con brio, ritornano i DeWolff
Thrust è il sesto album del trio olandese che cita Tarantino e rievoca i ’70 tra falsetti, tocchi d’organo e chitarre distorte
Visini angelici ma capelli lunghi e incolti. E, ovviamente, barbe, baffi e basette. Non mancano i collettoni a punta e le mitiche zampe d’elefante.
In altre parole, se amate il sound anni ’70, quello con l’organo hammond, il basso che fa i contrappunti, la chitarra nasale e un po’ fuzz, e la batteria percussiva, i DeWolff fanno davvero per voi.
La storia di questo trio olandese, innamorato a tal punto dell’immaginario 70es da citare nel proprio nome il tarantiniano Mister Wolff (ricordate Pulp Fiction?) è piuttosto semplice: si sono costituiti nel 2007 su iniziativa dei fratelli Luka e Pablo van de Poel (rispettivamente batterista e chitarrista-cantante) e del tastierista (anzi hammondista)-bassista-cantante Robin Piso, non hanno mai subito cambi di formazione o scissioni traumatiche e, con il recentissimo Thrust, uscito a maggio per la Mascot, sono arrivati al sesto album in studio.
Una carriera piuttosto lineare e vissuta con grande rigore musicale e una certa coerenza stilistica, che ha reso i tre olandesi una cult band per gli amanti di certe sonorità vintage (ma non solo).
Thrust non delude le aspettative e, anzi, si conferma come la classica prova della maturità.
Apre l’album Big Talk, da cui è tratto anche il primo, significativo video promozionale dalle immagini a falsi colori altrettanto vintage dei suoni. Tempi cadenzati, chitarra carica di eco, organo a palla e la voce di Pablo van de Poel che oscilla tra i toni alti alla Jamiroquai e i falsetti alla Matthew Bellamy. Come biglietto da visita non c’è male. Tra l’altro, non manca il contenuto di protesta, in questo caso nei confronti della destra olandese.
Più virata sull’hard, California Burning prosegue la sarabanda settantiana con un bel riff di organo e chitarra che si innesta su una ritmica squadrata col basso in evidenza.
Once In Blue Moon è una bella ballad dai toni bluesy e dai riferimenti psichedelici, soprattutto nel coro.
Toni più allegri, quasi scanzonati, in Double Crossing Man, che ricorda i Derek and The Dominoes più soul.
Con Thombstone Child si torna sull’hard (s)corretto dalla psichedelia: il riff della chitarra è più marcato, sebbene de Poel non abbia quel che si dice un tocco pesante e il refrain è decisamente più elementare. Il tutto fa pensare che questo brano sia stato concepito per la dimensione live.
Sound minimale e costruzione complessa (bello il riff dell’hammond) per Deceit & Woo, che si snoda attraverso una serie complessa di stop and go e intervalli blueseggianti.
Dinamiche altrettanto piacevolmente varie in Freeway Flight, che si sviluppa come una ballad nella parte cantata ed evolve in un nevrotico be bop nella parte strumentale, caratterizzata dal duello tra tastiere e chitarra.
Tragedy? Not Today è l’episodio più scanzonato del disco: un bel pezzo di sothern rock carico di allegria e dal refrain canticchiabile.
Somethimes è un brano carico di atmosfere notturne con il basso in bella evidenza e una suggestiva prestazione dell’organo.
Ritmi sostenuti e motivo allegro per Swain, in cui i Nostri si divertono a strizzare l’occhio al country e all’hillibilly.
Chiudono l’album le atmosfere country blues occhieggianti all’East Coast di Outta Step & III At Ease.
I DeWolff confermano tutte le loro potenzialità: Trust è sia un bel viaggio a ritroso nella stagione più florida del rock sia un’intelligente operazione di modernariato in cui gli aspetti più vintage coesistono bene con una produzione moderna e brillante.
In fin dei conti è vero che Mister Wolff aggiusta le cose. O no?
Da ascoltare (e da vedere):
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