Stage, il rock britannico riprende a tuonare
Un potente album dal vivo per i Thunder, cult band inglese che strizza l’occhio al rock americano
Un titolo secco fa capire che i Thunder sono tornati con un’autocelebrazione dal vivo. L’ennesima, forse, visto che il quintetto hard britannico, nato dopo i clamori della Nwobhm e arrivato al successo poco prima che il grunge spingesse il genere al declino, è alla decima incisione live in quasi trent’anni di carriera su una discografia in studio di undici album.
Stage, uscito ad aprile per la Earmusic, documenta il concerto tenuto dalla band a Cardiff il 24 marzo 2017 per promuovere Rip it Up, l’ultimo album in studio, uscito praticamente un mese prima.
Il risultato è notevole: sedici brani incisi con elevata resa sonora e tratti essenzialmente dai primi album degli anni ’90 e dalle due ultime produzioni in studio. Questa scelta, dettata forse dall’esigenza di conciliare gli appetiti dei fan storici con i gusti del pubblico più recente, ha fatto storcere il naso a qualcuno. Ma è un falso problema, nel caso dei Thunder, per almeno due motivi.
Il primo riguarda l’aspetto stilistico: il quintetto inglese è da sempre fautore di un hard rock che strizza l’occhio al mainstream con una certa classe e non a caso uno dei suoi primi mentori è stato Andy Taylor, l’anima rock dei Duran Duran. Perciò pretendere dai Thunder innovatività o fremiti sperimentali sarebbe davvero un po’ troppo: band come loro evolvono nel senso della raffinatezza e della maturazione artistica (che in questo caso ci sono e sono notevoli), ma non ci si può aspettare che cambino genere.
Il secondo motivo tocca l’essenza dei dischi dal vivo: questi possono essere benissimo anche l’occasione per ricostruire la storia di un artista o di un gruppo. Ma alla fine c’è sempre una differenza tra un live e una raccolta e consiste nel fatto che il live documenta essenzialmente uno o più momenti unici e, in quanto tali, irripetibili.
Detto questo, Stage è un album godibilissimo che restituisce al pubblico una band dalle notevoli capacità tecniche e in quel che si dice stato di grazia.
Superba la prestazione vocale di Danny Bowes potente e cristallino, come se il tempo per lui non fosse passato, e ottimo l’affiatamento tra il chitarrista Luke Morley e il suo collega Ben Matthews, che si alterna tra sei corde e tastiere con grande padronanza e picchi notevoli (ottime le sue incursioni al piano elettrico e all’hammond). La sezione ritmica, composta dallo storico batterista Harry James e dal bassista Chris Childs, è precisa ai limiti del metronomo, potente e pulita.
E Stage racconta tutte queste qualità. Ma soprattutto, racconta le emozioni che i Thunder sono riusciti a regalare nel corso di una carriera da cui hanno avuto comunque meno (ad esempio, il successo sfiorato ma mai raggiunto davvero negli Usa) di quel che hanno dato.
Inutile fare liste di canzoni e concentrarsi su questo o quel brano (chi scrive preferisce la notevole esecuzione di She Likes Cocaine, con la partecipazione della stupenda Lynne Jackman e Don’t Wait for Me, ma sono solo gusti, perché il livello medio è davvero più che sostenuto).
Stage va ascoltato e goduto appieno. E magari con la speranza di poter assistere per davvero a un concerto come quello immortalato con tanta maestria su questo album.
Da ascoltare (e da vedere):
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