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Intelligence e Magistratura, ovvero la strana alleanza tra toghe e 007

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Il futuro dei servizi segreti: da autori di presunti complotti a futuri difensori delle libertà nel mondo globalizzato

Magistratura eroica e servizi segreti canaglia, come ci hanno raccontato per oltre cinquant’anni, sin dai tempi del Piano Solo? Proprio no.

Inoltre, servizi segreti pronti solo a commettere nefandezze in nome di un anticomunismo che, a posteriori, cioè a regime sovietico collassato, appare immotivato? Proprio no.

Infine, non appare sospetta la riabilitazione dei servizi, impetuosa quanto la precedente demonizzazione, dopo la tragedia di Nicola Callipari? E, per continuare nelle domande, non suona strano che l’intelligence sia diventata materia di studio accademico solo in tempi recenti, dopo anni in cui se ne sono occupati solo i giornalisti e la controinformazione più o meno professionale?

Intelligence e Magistratura. Dalla diffidenza reciproca alla collaborazione necessaria (Rubbettino 2017), l’ultimo libro di Mario Caligiuri, professore di prima fascia presso l’Università della Calabria, dedicato a questo settore delicatissimo, non offre una risposta univoca e definitiva a queste domande, il che è impossibile, ma fornisce, con un taglio agile e divulgativo, una visione più rigorosa e meno semplicistica del problema.

Caligiuri, ricorda Carlo Mosca nella prefazione al libro, è stato uno dei pionieri dello studio scientifico dell’intelligence (è l’ideatore e direttore del primo master sull’argomento organizzato in Italia), quindi scrive da esperto, sebbene il suo libro, il quarto in un anno dedicato all’argomento, si rivolga anche e soprattutto ai non addetti ai lavori, grazie all’efficace taglio divulgativo. Intendiamoci: la spiegazione di Caligiuri è per tutti, ma il messaggio è per chi è in grado di capirlo.

Sì, spiega l’autore, tra Magistratura e intelligence c’è una forte divergenza. Sì, è altrettanto vero che i servizi segreti, in nome di una concezione a volte tortuosa e sfuggente dell’ordine pubblico e della sicurezza hanno operato in maniera inspiegabile e a volte, ma non nella maggioranza dei casi, deviante.

Tuttavia, non sono state (solo) le deviazioni, presunte e reali, a generare conflitti tra magistrati e agenti segreti.

Il contrasto, spiega il prof dell’Unical, discende innanzitutto dalla differenza strutturale dei due rami: la Magistratura, e con essa la polizia giudiziaria, è un potere pubblico che agisce nella sfera pubblica, l’intelligence, invece, è una funzione dello Stato che mira a tutelare la sicurezza intesa in senso ampio, quindi politico, e ben oltre i criteri di legalità a cui devono attenersi gli uomini in toga. Su questo punto Caligiuri è chiarissimo: anche i Servizi segreti agiscono in base alla legge e la riforma operata dalla legge 127 del 2007 lo ribadisce. Di più: vari casi scottanti su cui si è esercitata molta stampa, alla fin fine si sono rivelati delle bolle di sapone sul piano giudiziario.

Al riguardo, i casi riportati nel libro sono piuttosto espliciti. Per fare un esempio vistoso, non c’è stata alcuna condanna giudiziaria per eversione nella vicenda P2, in cui erano comunque risultati coinvolti i vertici di Sisde e Sismi, rispettivamente Giulio Grassini e Giuseppe Santovito. Stesso discorso per Vito Miceli ex capo del Sid, arrestato per la presunta copertura dell’organizzazione eversiva Rosa dei Venti e poi prosciolto. Allo stesso modo è stato prosciolto il dirigente del Sismi Marco Mancini dall’accusa di concorso nel rapimento dell’imam Abu Omar e, per la stessa vicenda, è stato scagionato il direttore del servizio Niccolò Pollari, anch’esso inquisito. Un altro vistoso nulla di fatto riguarda il processo sulla presunta trattativa Stato-Mafia, da cui era sorto quello che prometteva di diventare il processo scandalo d’inizio millennio. Mentre sono risultate piuttosto ridimensionate dal vaglio giudiziario le accuse rivolte a Riccardo Malpica, ex direttore del Sisde, di illecita gestione dei fondi del Servizio.

Questa contraddizione tra accuse roboanti e condanne minimali ha ispirato una consistente letteratura dietrologica, avallata, afferma l’autore, anche dal fatto che manca una statistica dei procedimenti giudiziari a carico di uomini dell’intelligence.

Ma i rapporti tra intelligence e mondo giudiziario possono essere capiti a fondo solo a partire da una definizione univoca e accettabile del concetto di intelligence. Secondo Caligiuri l’intelligence (termine che assona con intelligenza) deriva dal latino inter-legere (legare e leggere assieme, creare connessioni). Perciò, prima di essere un organo è un’attività che soddisfa una funzione: acquisire informazioni. Con un’ulteriore finezza linguistica, si potrebbe speculare anche sull’espressione intus-legere (leggere dentro), il che riporterebbe a un tipo di conoscenza intuitiva e approfondita allo stesso tempo.

Questa definizione dovrebbe far capire meglio il rapporto di analogia-differenza tra gli 007 e i magistrati (e la Polizia giudiziaria): entrambi acquisiscono informazioni e gli obiettivi di entrambi, alla fin fine, collimano. Ma è chiaro che tra gli scopi immediati della sicurezza, che è un concetto politico, e dell’amministrazione della giustizia, che è concetto politico solo in maniera derivata, c’è una differenza non di poco conto. Infatti, spiega Caligiuri nella parte centrale del libro, i servizi agiscono in maniera non convenzionale, cioè anche al di fuori della garanzie dello Stato di diritto, proprio perché perseguono uno scopo globale, mentre la polizia giudiziaria (a cui gli uomini dei servizi non possono appartenere), anche quando opera sotto copertura e in regime di segreto istruttorio deve comunque sottostare a regole ben precise.

Ciò, sia chiaro, non vuol dire che gli 007 abbiano la classica licenza d’uccidere: l’attività dei servizi era ed consentita e regolata dalla legge dello Stato. Tuttavia, a differenza della polizia giudiziaria, il principio di legalità non è dirimente né obbligatorio. Semmai, il principio dell’azione degli agenti segreti è il lealismo.

Per questo l’intelligence è legata al potere politico, anzi è una funzione politica, mentre la polizia giudiziaria, neutra perché parte di un potere terzo, no.

Ma proprio perché attività e in quanto funzione, l’intelligence è, anche e soprattutto, un metodo. In quest’ottica Caligiuri riprende in Intelligence e Magistratura un concetto importante, già sviluppato nel suo Intelligence e scienze umane. Una disciplina per il XXI secolo (Rubbettino 2016). Nell’epoca della superinformazione, caratterizzata da un eccesso di notizie, i metodi di selezione e di analisi dell’intelligence diventano strumenti indispensabili per proteggersi dalla disinformazione, spesso pilotata ad arte da soggetti ostili e interessati. Inoltre, l’intelligence diventa anche un metodo di protezione della privacy, insidiata dalla pervasività del cyberspazio.

Tuttavia, non è il caso di andare troppo oltre nell’analisi. Piuttosto, è doveroso concentrarsi sul concetto centrale di Intelligence e Magistratura: la collaborazione necessaria tra queste due funzioni. I servizi, si è già detto, hanno un ruolo politico. Caligiuri lega questo ruolo non alla politica intesa come sistema di forze e movimenti, ma come istituzione, cioè in via principale lo Stato. Che è poi la stessa matrice del potere giudiziario.

Ma i due organismi hanno in comune un’altra caratteristica: la mancanza di una legittimazione democratica diretta. E ciò li candida a una potenziale supplenza nei confronti del potere politico in senso stretto, che mostra segni forti di declino e di inadeguatezza nel fronteggiare le nuove sfide geopolitiche della realtà globalizzata: la fine della Guerra Fredda ha rinazionalizzato i Servizi, che sono diventati protagonisti importanti nelle guerre asimmetriche e nel contrasto alle nuove minacce alla sicurezza pubblica. Caligiuri, in particolare, si riferisce alla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. E allude a un altro pericolo: la formazione della cosiddetta superclass, cioè di gruppi di potere svincolati dalle realtà nazionali che agiscono indisturbati dietro la finanziarizzazione dell’economia e condizionano le vite dei sistemi democratici.

Proprio per fronteggiare queste nuove sfide, perdere le quali sarebbe letale, l’alleanza tra 007 e toghe diventa necessaria. Spiegarne l’importanza per tempo è fondamentale. Come riesce a fare Intelligence e Magistratura.

Per saperne di più:

Intervista a Mario Caligiuri

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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