Antimafia, sentiti due big delle logge
Amerigo Minnicelli e l’ex gran maestro Giuliano Di Bernardo depongono davanti alla Commissione guidata da Rosy Bindi. Altri clamori mediatici per un’inchiesta debole, destinata a finire in una bolla di sapone… a meno che non ci metta lo zampino la Dda
Antimafia vs massoneria: altro giro, altra dietrologia. Stavolta è toccato agli ex deporre davanti alla Commissione presieduta dall’(in)esperta Rosy Bindi.
Due ex di gran classe, il due volte ex gran maestro, del Grande Oriente d’Italia e della Gran Loggia Regolare d’Italia, Giuliano Di Bernardo e Amerigo Minnicelli l’ex maestro venerabile della loggia calabrese del Goi Luigi Minnicelli.
Su Minnicelli, c’è poco da discutere: battagliero da avvocato e come politico, è riuscito a mettere pepe, anzi peperoncino, nella vita altrimenti irreggimentata delle logge. Il Nostro è riuscito nell’impresa titanica di promuovere la fusione della sua Rossano con la vicina Corigliano (e tra le due città c’è una rivalità che ricorda le frizioni ataviche tra i Comuni della Toscana medievale…) ed in quella, altrettanto tosta, di seminare dissenso nei confronti della gran maestranza di Gustavo Raffi. Al punto che, secondo alcuni ben informati, l’avvocato rossanese ha fatto dentro il Goi gli stessi danni che Gioele Magaldi ha fatto da fuori (a proposito: chissà che la Bindi non voglia sentire anche lui…).
D’altronde, Minnicelli, che ha pagato con l’espulsione le proprie prese di posizione dure, ha parlato chiaro alla parlamentare del Pd: «Faccio parte del gruppo di fratelli iscritti al Goi che non hanno mai accettato che con le maestranze di Raffi e con questa di Bisi il Goi sia stato trasformato in un possedimento esclusivo di una componente, seppure maggioritaria del Goi, rafforzata da un ingresso massiccio di persone senza che vi sia nessun efficiente controllo».
L’avvocato rossanese non ha invocato verità universali ma esposto la sua posizione e il suo punto di vista: è un oppositore che parla da tale. Anche con spunti interessanti. Tipo questo: «Fino al 1995 gli iscritti al Goi in Calabria erano 600-700 ora sono 2600 e non si giustifica una crescita in questi termini in alcun modo. Tutto ciò avviene per esercitare un controllo sulla organizzazione». Anche al prezzo di infilare dentro di tutto e fare figuracce, come con l’arresto di Domenico Macrì.
Di sicuro quello di Minnicelli è un punto di vista autorevole. Tuttavia, occorrerebbe far chiarezza su alcuni aspetti tecnici. Nel Goi, a differenza che in altre obbedienze, il gran maestro viene votato da tutti i fratelli che abbiano almeno il terzo grado, cioè che siano maestri. Sarebbe stato interessante, al riguardo, sapere se a questo boom di iscritti siano seguite carriere lampo.
Certo è che quest’aumento delle iniziazioni dà nell’occhio. Ma si spiega solo con il desiderio dei mafiosi di indossare il grembiulino? Oppure dietro questa corsa all’iniziazione, tentata spesso da persone improbabili – anche a livello criminale – e da giovanissimi, non si cela la più prosaica voglia di pastette, spesso indispensabili in contesti ultra arrestati come la Calabria per sopravvivere?
Certo, per quanto brillante e fondata, la denuncia di Minnicelli è di parte. È la stessa denuncia che l’ex big del Grande Oriente d’Italia ha fatto in sede giudiziaria nei confronti della stessa obbedienza.
Il discorso è diverso per Giuliano Di Bernardo, il protagonista dell’inchiesta di Agostino Cordova che nei primi anni ’90 scosse la libera muratoria che si era appena ripresa dalla vicenda della P2.
Di quell’inchiesta, naufragata tra tantissimi problemi procedurali, restano strascichi pesantissimi e solchi profondi. Il più profondo è vasto quanto un canyon: la scissione da cui sorse la Gran Loggia Regolare d’Italia.
Di questa vicenda girano due versioni.
La prima è quella che ha ripetuto Di Bernardo in Commissione antimafia: le logge sarebbero state piene di picciotti e uomini d’onore e la scissione sarebbe stato l’esito obbligato dei fallimenti nei tentativi di riportare un po’ di legalità nel Goi.
La seconda è invece accreditata in molti circoli massonici e, come tale, ripetuta da molta stampa, specializzata e non: la scissione, in realtà, sarebbe stata pianificata dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la vicenda giudiziaria, fondata o meno e comunque finita nel nulla, sarebbe stata solo l’occasione per mettere in moto un’operazione maturata altrove.
Va da sé che la verità sta nel mezzo ed è tortuosa. E, soprattutto, va da sé che la Commissione antimafia (almeno questa Commissione) non sia la sede più idonea a chiarirla.
Nella deposizione di Di Bernardo resta un punto debole grande quanto una casa: il due volte ex gran maestro ha ripetuto davanti alla Commissione ciò che aveva già riferito in Procura antimafia. Cioè di aver saputo da Ettore Loizzo, il defunto big della massoneria calabrese e gran maestro aggiunto dell’epoca, che nei primi anni ’90 le logge della Calabria erano infiltrate di ’ndranghetisti. I problemi di questo amarcord tardivo (come mai certe rivelazioni sono arrivate a oltre 20 anni di distanza dall’inchiesta di Cordova?) sono di due tipi: l’impossibilità di verificarlo e la contraddittorietà.
I morti non parlano, è chiaro. E inoltre chi ha buona memoria ricorderà che Ettore Loizzo prese in mano le redini del Goi dopo le dimissioni di Di Bernardo. Che senso ha, allora, spubblicare una struttura che si è fatto di tutto per salvare?
Questi snodi, storici ancorché giudiziari, non sono evidentemente alla portata delle attuali istituzioni parlamentari. E se la deposizione di Minnicelli, che almeno ha sollevato un problema attuale, appare chiara e netta, non altrettanto può dirsi di quella dell’ex gran maestro scissionista.
Sembra quasi che la Commissione antimafia proceda a tentoni in un campo che richiederebbe inquirenti più qualificati.
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