Rock e violini Calibro 9. Il prog tricolore e il cinema
La colonna sonora composta dall’artista argentino per il celebre noir sdoganò il prog e lanciò gli Osanna
Formula vincente non si cambia. Infatti, il compositore italoargentino Luis Bacalov inizia il suo sodalizio artistico con Fernando di Leo in occasione di Milano Calibro 9, assieme ai napoletani Osanna.
L’album Preludio, Tema, Variazioni, Canzona (1972), che contiene la colonna sonora del noir di di Leo, replica con intelligenza l’esperimento fatto nel ’71 con Concerto Grosso dei New Trolls che conteneva la soundtrack de La vittima designata, il thriller diretto quello stesso anno da Maurizio Lucidi e interpretato da Tomas Milian, ancora non del tutto reduce dai western all’italiana e non ancora Monnezza, e dal bello e maledetto Pierre Clementi.
A differenza dei precedenti tentativi, operati soprattutto in ambito pop di usare l’orchestra per riempire brani autosufficienti, Bacalov mira a fare un tutt’uno di band e orchestrali. L’esperimento non è inedito nei primi anni ’70 e citiamo, come illustri precedenti, i Moody Blues di Days of Future Passed e i Deep Purple di Concerto for Group and Orchestra.
In Italia, prima delle iniziative del compositore e direttore di orchestra latinoamericano, eravamo ancora all’anno zero, a causa di uno showbusiness canzonettaro. Non è un caso, allora, che il cinema popolare – in Italia più trasgressivo e sperimentale della musica – abbia offerto l’occasione di sperimentare. Cosa che con i New Trolls riuscì alla grande, visto che Concerto Grosso sfondò le classifiche e convinse i critici (negli anni ha venduto 800mila copie ed è tuttora considerato un classico).
E con gli Osanna? Forse la ricetta di Bacalov ha funzionato un po’ meno, sebbene Preludio… abbondi di magnifiche trovate e spunti più che interessanti. I critici, infatti, considerano tuttora la colonna sonora di Milano Calibro 9 un album minore nella produzione della band partenopea. E non hanno tutti i torti, perché, a differenza dei più manierati New Trolls, in bilico perenne tra il progressive e il mainstream, il quintetto napoletano era più orientato alla sperimentazione e aveva appena sfornato L’uomo, un album d’esordio bello e avanzato, rispetto ai canoni della produzione italiana dell’epoca, e subito dopo avrebbe sfornato Palepoli (1973), considerato da tanti il loro capolavoro.
In altre parole, il maestro argentino avrebbe coartato in confini rigidi la creatività degli allievi partenopei. Ma è davvero così?
Innanzitutto, occorre chiarire che non tutto l’album è opera di Bacalov, a cui risultano accreditati solo tre brani: il celebre Preludio, che commenta l’incipit violentissimo del film di di Leo, il Tema, che ricorre in varie scene del film e Canzona, la stupenda traccia di chiusura (e l’unica cantata) dell’album, che tuttavia non è stata utilizzata nella colonna sonora. Gli altri sette brani – le variazioni, appunto – sono tutte improvvisazioni in studio accreditate agli Osanna.
I piccoli paradossi cinemusicali non finiscono qui. Infatti, altri brani degli Osanna utilizzati nel film, ad esempio il funky che accompagna la scena cult della danza di Barbara Bouchet, non sono presenti nell’album. Al contrario, per commentare la scena d’amore tra la Bouchet e Gastone Moschin, viene recuperato l’Adagio del Concerto Grosso dei New Trolls, che invece non era stato utilizzato nella versione originale de La vittima designata.
Tant’è: anche di queste incongruenze è fatta la storia della musica e del cinema.
Ma, a distanza di quasi cinquant’anni, cosa resta di questo album? Innanzitutto occorre dire che non è una copia carbone del Concerto dei genovesi, perché, grazie al piglio più aggressivo e al suono più hard dei napoletani, il risultato è più tosto.
Di sicuro, la chitarra di Danilo Rustici (il fratello maggiore di quel Corrado Rustici, che nella seconda metà degli anni ’80 sfondò come chitarrista e arrangiatore di Zucchero) è più heavy di quella di Nico Di Palo, Elio D’Anna quando usa il flauto traverso riesce a somigliare a Ian Anderson dei Jehtro Tull più di Vittorio De Scalzi e la sezione ritmica dei partenopei è decisamente più zeppeliniana e pesante di quella dei genovesi.
E l’interazione tra il rock e i rondò delle partiture bacaloviane è più drammatica e romantica rispetto all’esperimento del ’71.
Perciò, al di là delle critiche, che durano tuttora, si può attribuire a Preludio, Tema, Variazioni, Canzona almeno un merito: aver contribuito a sdoganare la musicalità prog presso un pubblico più vasto rispetto a quello dei raduni giovanili (il più delle volte assai politicizzati e poco propensi a considerare la musica come l’aspetto principale) e ad accreditarla presso un pubblico più vasto.
Per sparare, i Calibro 9 di Milano chiesero in prestito le pallottole (solo su pentagramma, per fortuna) a Napoli. Alla faccia dei pregiudizi.
Bacalov, anche dopo l’esperienza con gli Osanna, continuò il sodalizio con di Leo, a cui ha musicato quasi tutti i film fino agli anni ’80. E non solo con lui: prese tanto gusto a sperimentare con le colonne sonore che si dedicò a quasi tutto il poliziesco all’italiana, citando, riproducendo e adattando tutte le ultime novità in fatto di musica: dall’hard rock al prog al funky. Molte immagini passano. Ma i suoni restano. E attenti: se qualcuno suona qualcosa mentre è in corso un inseguimento o una sparatoria, la musica potrebbe essere di Bacalov.
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Milano Calibro 9. I retroscena oscuri della capitale morale d’Italia
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