L’economista che guardava “oltre” Un ricordo di Vittorio Daniele
Lo studioso calabrese scomparso di recente in maniera prematura è stato uno dei maggiori specialisti sui divari regionali. Appassionato cultore di un meridionalismo rigoroso fu autore di ricerche approfondite su argomenti delicati e “di confine”…
Certi mali non avvisano quasi mai. E forse, nella disgrazia che ha colpito Vittorio Daniele, questo è stato l’aspetto meno sciagurato.
Ma è un dettaglio che non sminuisce di un milligrammo il peso della perdita né ridimensiona di un millimetro il vuoto che l’economista calabrese lascia con la sua scomparsa improvvisa e prematura, a soli 54 anni.
Vittorio Daniele: un calabrese di spessore
Professore ordinario di Politica economica presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro, Daniele è stato, per riprendere un termine abusato sino a non troppo tempo fa, il classico esempio di intellettuale glocal. Uno studioso legato senz’altro al territorio e profondo conoscitore delle sue caratteristiche e problematiche. Ma capace – proprio a partire da queste – di riflessioni, analisi ed elaborazioni teoriche di grande respiro.
Senz’altro sui grandi problemi dell’economia, ma anche sugli aspetti di questa disciplina che toccano la quotidianità più spicciola.
Ma il meglio il prof della Magna Graecia l’ha dato sul Sud e sulla Questione Meridionale, verso i quali ha risvegliato l’interesse e le passioni grazie a un approccio originale, poco politicizzato e molto rigoroso a livello scientifico.
Per esemplificare: Vittorio Daniele ha ripreso la riflessione sul Mezzogiorno e i suoi ritardi dove il grande storico siciliano Giuseppe Giarrizzo l’aveva lasciata nell’interessante (ma anche criticatissimo) Mezzogiorno senza meridionalismo. La Sicilia, lo sviluppo, il potere (Marsilio Venezia 1992).
Laddove il grande siciliano smussava angoli e affogava le peculiarità meridionali nei numeri e nelle statistiche, il brillante calabrese riprendeva queste e quelli, per dimostrare la vera cifra dei guasti meridionali: l’infelice posizione geografica.
Già: la tragedia del Sud è tutta nella sua condizione di penisola affogata in un mare, il Mediterraneo, marginalizzato dal progresso e sempre più lontano dalle aree in cui si sviluppa e, ciò che più importa, si distribuisce la ricchezza.
Queste zone, che iniziano da Milano e culminano nella City di Londra, hanno un nome: Blue Banana. Niente doppisensi, gastronomici o di altro tipo: il nomignolo deriva dalle foto satellitari notturne, che dimostrano come queste zone siano le più illuminate al mondo. Ma andiamo davvero con ordine.
La marginalità come destino
Il core del Daniele-pensiero sta in due notevoli volumi: Il divario Nord-Sud in Italia (2011), scritto assieme a Paolo Malanima, e Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia (2019), entrambi editi da Rubbettino. Più in una nutrita serie di articoli scientifici, che hanno animato una brillante polemica con un altro brillante economista meridionale: l’abruzzese Emanuele Felice.
I due libri partono dall’analisi dei divari tra le regioni italiane, minimi a cavallo del Risorgimento, poi cresciuti in maniera esponenziale nei decenni successivi.
La teoria di Daniele riprende le riflessioni di un grandissimo intellettuale calabrese: il cosentino Antonio Serra, precursore seicentesco dell’Economia politica. Serra nel suo Breve trattato (1613) espone quello che a suo giudizio era il problema del Regno di Napoli: la posizione marginale e la distanza dal cuore dell’Europa, che a sua volta aveva abbandonato il Mediterraneo per scommettere sull’Atlantico dopo la scoperta dell’America.
Secondo Daniele, questa marginalità geografica è la croce del Sud.
Fin qui nulla di speciale, ha sempre sostenuto l’economista calabrese: tutti i Paesi hanno aree depresse. Tale la Cornovaglia in Gran Bretagna o la Sassonia – e la stragrande parte dell’ex Ddr – in Germania.
Detto altrimenti (e al di fuori dell’economia): chi è basso di statura non sarà mai campione di basket o di pallavolo, chi è troppo robusto non farà mai atletica leggera ecc.
Ciò che cambia, per il Sud, è la vita civile: cioè il fatto che i servizi, anche essenziali, per i cittadini meridionali siano di quantità e qualità e quantità inferiore a quelli di cui fruiscono i loro omologhi delle aree depresse dell’Occidente ricco.
Per restare nella metafora: gli altri potranno giocare a calcio o riciclarsi nel culturismo, i meridionali neanche questo.
Questa coincidenza, peculiare nel Sud Italia, tra depressione economica e degrado civile ha stimolato alcune riflessioni che hanno evitato a Daniele di scivolare nel determinismo economico più crudo. Per questo, l’economista calabrese ha affrontato con forza (e molto anticonformismo) varie battaglie importanti a difesa del Mezzogiorno, tra cui quella contro l’autonomia differenziata, di cui resta un’importante testimonianza nel brillante L’Italia differenziata (Rubbettino, Soveria Mannelli 2024) scritto a quatto mani con l’economista campano Carmelo Petraglia.
L’anticonformismo di Vittorio Daniele
Ma anche questa battaglia Vittorio Daniele l’ha condotta a modo suo: senza peli sulla lingua né ruffianerie politiche.
Di sicuro non si è fatto ingabbiare dai tentativi referendari del Pd. Anzi, al partito di Schlein ha rimproverato, neanche troppo tra le righe, una certa ipocrisia (non era forse Bonaccini uno dei promotori dell’autonomia differenziata?) ma anche un opportunismo incapace di soluzioni davvero serie, tra cui la riforma dell’articolo 116 della Costituzione.
Come tutti gli studiosi di vaglia, Daniele non ha esitato a sporcarsi le mani con argomenti scomodi. Ad esempio, ha affrontato le tesi neorazziste antimeridionali con grande acume scientifico. Ma non le ha contestate sulla base di pregiudizi morali (legittimi ma pur sempre pregiudizi). Le ha confutate dopo averle passate nel tritacarne della critica scientifica. L’unica che contava per lui. E l’unica, secondo chi scrive, che è lecito chiedere a uno studioso.
Intellettuale onnivoro e incline a sfondare le convenzioni accademiche, il prof di Catanzaro non ha mai esitato a schierarsi nelle battaglie che reputava giuste, con un piglio di anticonformismo che nel suo caso non era mai una posa. Così ha fatto, anche nelle sue pagine social, nei confronti di quell’occidentalismo pret-a-porter diventato quasi obbligatorio nei media in seguito alla guerra in Ucraina. E così ha fatto, soprattutto, per la tragedia (l’ennesima) del popolo palestinese, con un’indignazione di rara sincerità.
Chi scrive conserva l’orgoglio e il piacere di aver condiviso molte riflessioni con Vittorio Daniele, dal quale ha sempre imparato qualcosa. E coltiva il rimpianto di quel che avrebbe ancora potuto esprimere uno studioso così brillante e acuto se non fosse intervenuto quel malore maledetto.
Che la terra gli sia davvero lieve: per uno come lui è un augurio minimo.
Ma visto che ci siamo, ne rivolgiamo un altro alla sua opera: che possa trovare dei continuatori all’altezza.
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