Only God Was Above Us: la svolta pop dei Vampire Weekend
Tornano con dieci brani brillanti e sofisticati gli ex enfant prodige della scena indie newyorchese
Di Only God Was Above Us (Columbia 2024), l’ultima fatica in studio degli ex enfant prodige dell’indie, i newyorchesi Vampire Weekend, si possono dire due cose: che è un bel ritorno e che è un album artisticamente maturo.
Infatti, i cinque anni che separano questo disco dal precedente Father Of The Bride (Columbia 2019) non sono trascorsi invano: Ezra Koenig, il cantante-chitarrista e leader, ha convocato i suoi due sodali storici, il bassista Chris Baio e il batterista Chris Thompson, e con loro ha composto dieci brani molto variegati, nel songwriting e nelle scelte stilistiche.
Questa varietà è la principale differenza tra Only God Was Above Us e il suo predecessore, caratterizzato da atmosfere più allegre e sonorità dirette. Un’altra differenza è dovuta all’approccio corale alla creazione dell’album, a cui ha dato il suo contributo compositivo anche il polistrumentista Rostram Batmanglij, storico ex tastierista della band.
Ma un ruolo importante, in questo album, lo svolge la poetica.
Sotterranea e in chiaroscuro: la New York dei Vampire Weekend
«Only God was above us» (Solo Dio era sopra di noi): fu la dichiarazione piena d’enfasi e fatalismo di uno dei superstiti del tragico incidente aereo subito dal volo Alhoa Airlines 243 il 28 aprile 1988 (l’aereo perse un pezzo della fusoliera a circa tredicimila piedi d’altezza).
Questa frase divenne il titolo del pezzo di prima pagina del New York Daily dell’1 maggio successivo. Il giornale e il relativo titolone finirono in Subway Dream 11, una bella foto artistica di Steven Siegel, dedicata alla metro della Grande Mela, che è diventata la copertina dell’album.
Tuttavia, la New York di Koenig e dei suoi Vampiri oggi è più sognata e cantata che vissuta: il frontman gira da anni mezzo mondo per seguire la carriera televisiva cinematografica della moglie, la brava e bella Rashida Jones.
Di questo girovagare ha inevitabilmente risentito la stesura dei brani, che si è riempita di stimoli all’inverosimile. Il risultato, manco a dirlo, è notevole.
Le dieci gemme indie di Only God Was Above Us
«Fuck the world», mormora Koenig nel suo falsetto inconfondibile e la open track Icre Cream Piano introduce nel vivo il discorso musicale di Only God…con una melodia rarefatta su una base minimale di pianoforte e rumore bianco.
Ma è solo l’attacco: poi il pezzo imbocca un bel crescendo elegiaco per esplodere in un refrain veloce e serrato dai vaghi richiami pop punk.
Il pop arioso dalle reminiscenze jazzy (ottimo l’uso del contrabasso) di Classical incornicia un testo cattivissimo («Untrue, unkind and unnatural/How the cruel, with time, becomes classical») che fa praticamente a pugni con la melodia giocosa del refrain.
Capricorn è una bella ballata pop, che si segnala per un leggero crescendo e una melodia delicatissima. Il testo, malinconico assai, è dedicato alla sconfitta («Capricorn/ The year that you were born/ Finished fast/ And the next one wasn’t yours»).
Una cascata di arpeggio del pianoforte introduce la ritmata Connect, un pezzo pop spedito che fa leva su un tappeto minimale con un giro di basso semplice ed efficace in bell’evidenza.
In bilico tra indie pop e garage rock, Prep-School Gangsters è dedicata al tema del bullismo dei figli di papà in età scolare, un fenomeno tipico delle grandi aree metropolitane.
Un giro di basso minimale su un tempo spezzettato introduce la tenebrosa The Surfer, che alterna un refrain notturno a un ritornello dolcissimo. Notevoli anche le parti strumentali degli archi e i ricami dei fiati.
Chitarre ultradistorte, uptempo spedito e refrain anni ’80 per la tosta Gen-X Cop, che rinvia un po’ agli Arctic Monkeys più recenti.
A cavallo tra ballad pop e world music, l’allegra e sognante Mary Boone, dedicata alla celebre gallerista, diventata sinonimo di stile e avanguardia nella New York degli anni ’80. Spettacolari le parti strumentali degli archi.
Altro pop ritmato nella vagamente orientaleggiante Pravda, e Only God Was Above Us arriva ai titoli di coda.
Che sono affidati alla superballad Hope che coi suoi otto minuti di durata pieni di soluzioni musicali raffinate è il pezzo più ambizioso dell’album. Un inno alla speranza, delicato ed epico allo stesso tempo con cui i Vampire Weekend salutano gli ascoltatori.
La svolta pop dei Vampire Weekend
Col loro quinto album in studio, i Vampire Weekend imboccano senza esitazioni la strada non facile di un pop d’autore dalle ambizioni orchestrali e dalle garbate pulsioni rock.
La parabola della band newyorkese – ieri quartetto e oggi trio ma comunque capace di mantenere una propria, particolare coralità – ribadisce un concetto: l’indie è (o è stato) un genere di passaggio. Quindi gli artisti bravi (non pochi) che vi hanno fatto gavetta o vi si sono cimentati trovano, chi più chi meno, la propria strada.
Che, nel caso dei Vampire Weekend e di tanti altri è il pop d’autore.
Il riflusso della scena indie significa la fine dell’adolescenza per artisti e band che, come Koenig e soci, in realtà erano già maturi all’esordio.
Una maturità che merita più di un ascolto: loro saranno vampiri, ma chi si disseta davvero è il loro pubblico. Già: per ascoltarli occorre avere la musica nel sangue.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Vampire Weekend
Da ascoltare (e da vedere):
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