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Pino Aprile e non solo: il crepuscolo dei Terroni

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Gli anni dei casi letterari, dei grandi spazi mediatici e delle forti presenze online sono lontani. La variegata galassia “sudista” e neoborb è in netto arretramento, come dimostra la parabola del suo capofila, diventato, da scrittore di successo, leader politico più o meno contestato. Mentre revisionisti e rivendicazionisti calano, si fanno strada nuovi movimenti e associazioni, composti spesso da reduci del terronismo. Tutti portano avanti un discorso pacato e intelligente. E mirano a fare fronte comune nel contrasto all’autonomia differenziata

Niente Ira & Studio, per citare alla meno peggio qualche vecchia formula retorica. Stavolta non dobbiamo sforzarci di uno zerovirgola per smascherare fake o scatenare polemiche: i fatti parlano più che mai.

E raccontano un dato inesorabile: il declino del cosiddetto terronismo, quel fenomeno culturale che ha preso piede lo scorso decennio, anche grazie al successo dei libri di Pino Aprile, a partire dal best seller Terroni (Piemme, Milano 2010).

Chiarimento preliminare: ce l’abbiamo con Aprile al punto – come lui stesso ha quasi ipotizzato in un’intervista – da volerlo vedere morto? La risposta banale è no, il giornalista di Gioia del Colle ci è perfettamente indifferente. Di più: magari davanti a un caffè o a una pizza potrebbe risultarci persino simpatico, come tanti professionisti di lungo corso quando sciorinano gli episodi tosti delle loro carriere.

Per chi scrive il problema è diverso: non si può e non si deve pretendere di dar voce a un territorio stracarico di problemi come il Sud partendo da cumuli di fesserie (stronzate, direbbe Giancristiano Desiderio) come le sparate a ripetizione dagli esponenti di quel mondo variegato e pittoresco che si richiama, in maniera diretta o indiretta, al revisionismo bizzarro di cui Aprile è l’autore di maggior successo.

Il declino di tutto questo ambiente è la prova provata che le fake possono esplodere ma non durano.

Pino Aprile nel 2019 al Parco della Grancia

I numeri del declino

I tempi delle grandi vendite sono lontani. Nessuno dei successori di Terroni ha fatto cassetta come il libro-bandiera e sono finiti i contratti (e contatti) con l’editoria che conta.

A partire dal legame con Piemme (infatti Pino Aprile, a partire dal 2023, ha rieditato tutta la sua produzione con la milanese Libreria Pienogiorno) a finire con gli spazi generosissimi concessi dai media più importanti.

La principale presenza online del giornalista pugliese è la tv online Telequità, che trasmette in streaming sulle pagine Facebook del Nostro e sul canale Youtube del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, il partitino nato nel 2019 e ispirato e presieduto sempre dal Nostro.

Questi video capitalizzano in media poche migliaia di visite complessive l’uno (oscillano tra le 2.000 e le 5.000 scarse). Sarebbero numeri buoni per uno streamer o youtuber emergente – quelli affermati ne fanno molti di più – ma per un autore di successo che ha goduto di un ruolo pubblico e di un forte battage mediatico sono poco o nulla.

Luigi de Magistris negli anni d’oro della sua amministrazione a Napoli

Il massimo della sua seconda vita giornalistica, con relativa appendice politica, Aprile l’ottiene in Calabria a cavallo tra 2020 e 2021. In meno di due anni sfiora prima la direzione de Il Quotidiano del Sud e poi diventa direttore di testata per il network LaC. Inoltre, prepara le liste per le Regionali calabresi, anticipate all’autunno 2021 in seguito alla scomparsa tragica e prematura della presidente Jole Santelli.

Il tutto si rivela il classico fuoco di paglia. I candidati potenziali del M24a-Et sono assorbiti come indipendenti dalle liste a sostegno di Luigi de Magistris, quindi il simbolo scompare.

Anche la direzione di testata, che fa storcere il naso a non pochi seguaci, cessa dopo poco. E, nel giro di mesi, il Movimento si sfascia in un terribile scontro interno che finisce con le classiche carte bollate.

Il declino e il riflusso

Non ci siamo soffermati su Aprile per un astio che non proviamo.

Ma, più semplicemente, perché riteniamo che la sua vicenda professionale riassuma tutta la parabola del movimento di opinione di cui il giornalista pugliese è capofila: dal botto, specie nel web, al riflusso.

Questo riflusso, a sua volta, si manifesta in due modi: sostanziale calo di interesse del pubblico e scomparsa  sostanziale dei protagonisti minori.

Ad esempio, è praticamente scomparso il bizzarro Comitato tecnico-scientifico “no Lombroso”, protagonista di un braccio di ferro giudiziario che ha coinvolto il Comune calabrese di Motta Santa Lucia contro il Museo Lombroso di Torino.

Il processo finisce in niente nel 2019, dopo la bocciatura definitiva della Cassazione. Invece, la polemica contro il Museo torinese ha un effimero colpo di coda all’inizio dell’estate 2021 con l’interrogazione dell’allora senatore lucano Saverio De Bonis, al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.

Saverio De Bonis

A dispetto della strombazzatura mediatica (l’ultima) Franceschini rispedisce al mittente le richieste dei “no Lombroso”, che da allora in avanti risultano inattivi. Eppure erano quelli che scatenavano shitstorm a gogò contro chiunque osasse contraddirli. Miglior sorte non ha avuto De Bonis, all’epoca passato dal Movimento 5 Stelle (che lo aveva espulso) al gruppo misto. Transitato infine a Forza Italia, il parlamentare lucano è sparito da Palazzo Madama.

Perché tutte le voci di quest’ambiente si affievolissero una dopo l’altra sono bastate tre cose: la fine dell’era de Magistris a Napoli, il cambio di linea editoriale de Il Mattino, diventato improvvisamente meno generoso nei confronti delle istanze neoborb, e la crisi della Gazzetta del Mezzogiorno, altra postazione di tiro (grazie anche all’influenza di Lino Patruno) di certi ambienti.

Persino don Charles di Borbone, punto di riferimento del mondo neoborb, si è defilato. E la pubblicità dell’ottimo caffè Borbone ha cambiato tiro: non più allusioni monarchico-vintage ma dichiarazioni ambientaliste sulle capsule riciclabili.

Gigi Di Fiore e Marco Esposito: quelli bravi cambiano rotta

Sempre a proposito de Il Mattino, non si può non registrare un dato: le due firme di punta, che avevano pure dato un po’ di spago alle suggestioni revisioniste neborb e terroniste hanno cambiato indirizzo, parzialmente o del tutto.

Ci riferiamo ai bravissimi Gigi Di Fiore, autore di controstorie del Risorgimento e del brigantaggio interessanti e controverse, e Marco Esposito, validissimo giornalista economico, inflessibile analista dei divari regionali e accusatore di tutte le forze di governo, nessuna esclusa, che tenta di inchiodare a una responsabilità ben precisa: l’abbandono del Sud.

Al centro nella foto, Gigi Di Fiore

Di Fiore si occupa di storia contemporanea ma ha mollato, così sembra, il revisionismo antirisorgimentale. La qualità della sua produzione ne ha beneficiato: meno forzature, meno critiche e più attenzione a ottimi lavori.

Esposito, dopo il furore di Zero al Sud (Rubbettino, Soveria Mannelli 2018) fa una parziale correzione di rotta nell’ottimo e coraggioso Fake Sud (Piemme, Milano 2020), dove rettifica alcuni dati economici e prende posizione nei confronti dei luoghi comuni e della disinformazione di tanto terronismo. In prima battuta, ne ricava accuse di tradimento dagli ambienti neoborb, ma riesce a riaffermare la propria narrazione in maniera più efficace, per una partita più importante, a livello civile e professionale: la lotta all’autonomia differenziata. A cui si è agganciato anche col recente Vuoto a perdere (Rubbettino, Soveria Mannelli 2024), in cui lega il declino italiano a quello del Sud grazie a un’originale chiave di lettura demografica.

I consensi calano, le fake restano

Torniamo a Pino Aprile. Il Nostro, nel 2023 dà alle stampe con Libreria Pienogiono Il nuovo Terroni, la riedizione del suo bestseller del 2010, che aumenta il tasso polemico e mantiene più o meno inalterata la quantità di fake dell’originale.

Più o meno vuol dire che Aprile insiste senz’altro in un vecchio vizio del giornalismo italiano di non accettare smentite nei limiti del possibile, ma che è costretto in alcuni casi all’autorettifica, magari camuffandola ai limiti della deontologia.

È il caso di un passaggio nell’introduzione di Terroni, che cambia in maniera vistosa nella nuova edizione.9

Eccolo: «[…] Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie, fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso)».

Marco Esposito

Il concetto è ripreso all’interno del testo, parecchie pagine più avanti: «Nell’industria siamo avanti e, in molti campi, all’avanguardia (alla Mostra del 1856, a Parigi, siamo stati premiati come Paese più industrializzato d’Italia; terzo nel mondo)».

In Fake Sud, Esposito fa un chiarimento: dopo aver definito Pino Aprile «un polemista di rara efficacia» (ma non giornalista d’inchiesta o divulgatore di storia: anzi, a proposito di Aprile parla di «storia fai da te»), si produce in una dichiarazione importante, che forse ha concorso alle accuse di tradimento.

Eccola: «[…] a metà Ottocento, anche sommando alle Due Sicilie tutte le industrie dei regni e ducati italici non si sarebbe arrivati al livello di Prussia, Austria, Stati Uniti, Russia».

Ancora: «Non è vero che il Regno delle Due Sicilie è stato premiato a Parigi come terzo paese più industrializzato nel mondo. È una fake. Ho letto il dettagliatissimo rapporto sull’Esposizione universale di Parigi del 1855, minuzioso al punto di riferire quanti litri e che tipo di alcolici furono consumati durante i sei mesi dell’Esposizione, e le Due Sicilie sono citate appena, peraltro non nel settore dell’industria».

Dopo la precisazione di Fake Sud, Aprile dimagrisce decisamente le sue affermazioni che, ne Il nuovo Terroni, diventano così: «[…] Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, la parte più industrializzata d’Italia, in grado di concorrere per modernità, in alcuni settori (vedi costruzioni navali e industria ferroviaria), proprio con Gran Bretagna e Francia».

Sparisce il riferimento all’Esposizione universale di Parigi del 1855 (e non 1856!). In tutto questo, sorge spontanea una domanda ad Aprile: non sarebbe stato più corretto accettare la smentita di Esposito e non autorettificarsi in punta di rasoio?

Rettifiche doverose (e meno), veleni e querele

La logica becera di certo vecchio giornalismo è la seguente: sostenere le proprie tesi a oltranza, anche se sono fake. A meno che non giunga smentita autorevole a livello quantitativo.

Detto altrimenti: se mi smentisce Repubblica, che vanta milionate di lettori, rettifico. Se mi smentisce chi non ha milionate di lettori ma dice comunque la verità, grazie anche ad avalli autorevoli, me ne frego.

Infatti, Aprile ha senz’altro compulsato L’IndYgesto, dove abbiamo smentito, con documenti storici mano e non veleni personali, le sue tesi. Infatti, qualche anno fa ha annunciato querela nei confronti di questo web magazine e di chi scrive.

Peccato solo che le querele attecchiscono, quando attecchiscono, in meno di sei mesi e noi quasi due anni dopo l’annuncio (e sempre dopo aver sbirciato il nostro casellario giudiziario più volte) gli abbiamo chiesto a che punto fosse la sua querela.

Siamo rimasti, per fortuna, senza risposta e confidiamo di continuare a non averne:  ancora sappiamo cosa siano il giornalismo e le sue regole vere.

Aprile, a dispetto della sua carriera di lungo corso (o forse proprio grazie ad essa), può permettersi il lusso di far finta che certe regole non esistano. Quindi punta il dito contro qualcuno senza fare nomi, con uno stile un po’ omertoso che sa più di quartierino nazionalmeridionale che di giornalismo.

Ecco la testimonianza di tanto coraggio: «A discutere erano, molto civilmente, un campione del revisionismo storico risorgimentale e un potente accademico meridionale, cattedra in storia, in odore (un eufemismo…) di alto grado massonico e strenuo difensore della versione ufficiale sabaudista, pur in associazione, per convegni, lavori (cosa che mi ha molto sorpreso, visto il suo livello), con odiatori online pluridenunciati per diffamazione di biechi revisionisti storici».

La “nuova” scena del “delitto”: la copertina de Il nuovo Terroni

La sparata del papà di Terroni finisce qui. Siccome la curiosità ci rode, gli indirizziamo una domanda, anzi due: chi è il supermassone? E chi sono gli odiatori?

Visto che ci siamo, chiariamo un concetto: essere denunciati per presumibile diffamazione in Italia (chi fa per davvero il giornalista e quindi scrive dei vivi lo sa) è facilissimo. Il problema è che tra querele e condanne passano fiumi e cascate.

Quindi vale per i cosiddetti odiatori ciò che vale per assassini e ladri seriali, come i briganti che piacciono ad Aprile: fino a condanna definitiva nessuno è colpevole. Ed essere massoni  – checché ne pensino radical chic, populisti e complottisti – non è reato. Quindi sfidiamo il giornalista pugliese a fare i nomi. O a tacere.

Un atto minimo di coraggio civile sarebbe gradito in chi per anni ha preteso di rappresentare le vere istanze e di raccontare la vera storia del Sud.

I nuovi meridionalisti senza Pino Aprole

Aprile e chi per e con lui un merito l’hanno avuto, anzi due: stimolare una certa ansia di riscatto in parte dell’opinione pubblica meridionale e dare una scossa alle ricerche del mondo accademico, che avevano trascurato un po’ troppo il Risorgimento.

Andiamo con l’ordine necessario: senza lo choc di Terroni, molti storici non si sarebbero dedicati all’alta divulgazione e al dibattito pubblico, come è invece avvenuto dal 2016 in avanti, quando il delirio revisionista aveva toccato il colmo.

L’altro merito di Aprile sta nell’aver avviato una nuova consapevolezza della dimensione meridionale. Evidentemente, l’opinione pubblica del Sud è stata a lungo tanto pigra da dover essere stimolata con le fake.

Ma adesso si è andati oltre: la delusione e il riflusso hanno tolto terreno a certe narrazioni tossiche. Il resto lo ha fatto la polemica contro l’autonomia differenziata.

Infatti, una parte del nuovo meridionalismo è confluito in questa battaglia, decisamente meno di nicchia e più mainstream. Ma è doverosa un’avvertenza: il Sud, pur avendovi un peso, non esaurisce tutta la polemica.

Infatti, se il Pd di Elly Schlein ha deciso di affrontare questa battaglia assieme ad altre forze politiche (anche a danno di un big come Stefano Bonaccini, l’ex presidente dell’Emilia Romagna che aveva voluto l’autonomia differenziata) non è solo per il Mezzogiorno.

Se passasse, la legge Calderoli spaccherebbe l’Italia in più pezzi: il Nord-Est, principale beneficiario, marginalizzerebbe il Nord-Ovest, in affanno da tempo. E tutto il Nord comunque staccherebbe il Centro che, a sua volta, marginalizzerebbe il Sud che ha una conformazione a macchie di leopardo, con la Calabria come perenne fanalino di coda.

La partita si gioca tra chi vuole dare un ruolo al Sud nella battaglia contro l’autonomia differenziata e per la coesione dell’Italia e chi invece persegue idee più o meno strampalate (e suicide per il nostro Paese, Nord-Est ricco incluso) di federalismo.

Nella direzione positiva, si è mosso un ex storico del Movimento 24 agosto: il calabrese Peppe Corapi, che lo scorso luglio ha organizzato un incontro al Parco della Grancia, in Basilicata, dove nel 2019 si era celebrato l’atto di nascita del partitino di Aprile.

La recente manifestazione meridionalista al Parco della Grancia senza Pino Aprile

In quest’occasione, Corapi ha lanciato l’idea di una nuova equità sociale uguale per tutto il territorio nazionale, con conseguente rigetto di certe posizioni del vecchio terronismo borbonizzante che sembravano una specie di leghismo alla rovescia.

A sua volta, il siciliano Franco Calderone, l’accusatore di Aprile, ha fondato il movimento Futuro Meridiano.

Ma c’è un’altra novità: su iniziativa di Marco Esposito, si è costituita l’associazione 34 Testa al Sud, che unirà soggetti politici, professionisti, intellettuali e attori sociali.

Il Terronismo pian piano mira a tornare meridionalismo senza Aprile, che continua a presentare libri in giro. Faccia pure: ma con la consapevolezza che il Sud ha bisogno di azioni e non di controstorie, più o meno infondate.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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