Malarazza: la questione meridionale è solo una tara genetica?
Certe idee ricordano i fiumi carsici: scorrono nei sotterranei della cultura ufficiale, salvo riemergere con la forza dello scandalo. Tra queste, le tesi razziste applicate al quoziente intellettivo, secondo cui alcune popolazioni mediterranee, in particolare mediorientali e nordafricane, sarebbero meno intelligenti di quelle asiatiche e nordiche. Tra i bersagli, i meridionali che a causa della presenza di geni arabi e maghrebini, sarebbero i più stupidi d’Italia…
Gli addetti ai lavori se ne sono accorti da tempo: oltre che nelle croniche disparità socioeconomiche, la questione meridionale rifà capolino anche nell’istruzione.
Al riguardo, i Rapporti Invalsi 2024, usciti lo scorso luglio, sono impietosi. Quattro regioni sono fanalini di coda per i bambini delle elementari: Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna, dove solo il 69% degli scolari ha raggiunto il livello base delle competenze in italiano e solo il 62% ha raggiunto il medesimo livello in matematica.
Il paragone col resto del Sud è già duro: rispettivamente 76% in italiano e 69% in matematica.
Peggio che andar di notte il confronto con le regioni del Centro (78% italiano, 70% matematica), del Nord-ovest (77% italiano, 70% matematica) e del Nord-est (75% italiano, 67% matematica).
Il disastro arriva dalle scuole secondarie di primo grado (le vecchie medie). In questo caso, il divario diventa un burrone che inghiotte tutto il Sud e le Isole: solo il 49,5% degli studenti meridionali raggiunge le competenze base in italiano e solo il 39,5% fa altrettanto in matematica. Inquietantissimo, per finire, il dato relativo alle insufficienze (che gli addetti ai lavori definiscono dispersione scolastica implicita): ancora il 15,7% degli studenti campani, l’11,3% dei sardi, il 9,3% dei calabresi e l’8,9% dei siciliani non raggiungono le competenze base in italiano, matematica e inglese alla fine del percorso scolastico.
Oltre che più poveri, gli abitanti del Sud profondo sarebbero pure più asini: la classica storia del cane che si morde la coda. Ma stavolta questa storia potrebbe essere più pericolosa, perché rischia di rimotivare la periodica riscoperta di certe tesi sui problemi del Mezzogiorno: quelle a sfondo razziale.
Secondo questo filone, iniziato poco prima dell’Unità e ripreso circa quindici anni fa, i terroni sarebbero più arretrati, poveri, delinquenti e ignoranti del resto d’Italia per via di tare cromosomiche, che vanno dall’atavismo criminale al livello intellettivo e cognitivo più basso.
Richard Lynn: un razzista di Sua Maestà Britannica
La definizione di razzista non è un insulto per Richard Lynn: il primo a definirsi tale, precisamente razzista scientifico, è lui.
Figlio naturale del celebre genetista e botanico Sidney Cross Harland e della sua governante Ann Freeman, Lynn compie studi prestigiosi, prima presso l’elitaria Brixtol Grammar School e poi al King’s College di Cambridge, dove ottiene il Phd nel 1955.
La sua carriera accademica, più che in salita, è in continua ascesa: esordisce come lettore di Psicologia presso l’Università di Exterer, quindi diventa professore della medesima materia all’Economic and Social Research Institute di Dublino, infine insegna, sempre Psicologia, all’Università di Ulster, dove si pensiona come professore emerito, salvo perdere il titolo nel 2018, in seguito alle proteste delle associazioni studentesche. La massima gratifica e la contestazione più grande.
Non lasciamoci fuorviare (troppo) dalle etichette: Lynn ha anche meriti scientifici indiscutibili. Tra questi, l’aver anticipato la teorizzazione della crescita progressiva del quoziente intellettivo tra le generazioni, normalmente attribuita al neozelandese James Flynn (non a caso, si parla tuttora di effetto Flynn).
E il razzismo? Entra nelle teorie di Lynn attraverso la passione per la genetica e, più in generale, le teorie evoluzioniste. Per farla semplice, secondo lo scienziato inglese, il quoziente intellettivo fa parte dell’eredità razziale e non è uguale in tutti i popoli.
In varie opere, nessuna delle quali al momento tradotta in italiano, Lynn compila, servendosi di dati statistici anche molto elaborati (sebbene contestati dai suoi critici) una classifica delle razze umane per altezza di Qi.
Al primo posto di questa classifica ci sono le popolazioni estremo orientali (giapponesi, coreani e cinesi), seguono le popolazioni europee e, dopo varie gradazioni, il fanalino di coda tocca, come quasi sempre nelle teorie razziste, alle popolazioni di colore dell’Africa subsahariana e agli aborigeni australiani.
C’è sempre un Sud ed è più stupido
Focalizziamo, in tutto questo, il Sud Italia. Richard Lynn se ne occupa per la prima volta nel 2010, in alcune pubblicazioni sulla rivista Intelligence.
In questi articoli, lo studioso britannico sostiene che il Qi medio degli italiani del nord sia 100, quindi in linea con la media della Mittel e del Nord Europa. Invece, quello dei Meridionali oscillerebbe tra 89 e 92. Meno dell’Europa evoluta, ma sempre meglio di Nord Africa e Medio Oriente, dove il Qi Medio sarebbe di 84.
I divari regionali (quindi il minore sviluppo, i maggiori condizionamenti della criminalità organizzata, la maggiore arretratezza) dipenderebbero dalla minore intelligenza degli abitanti del Sud.
Questa tesi – uscita in occasione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, quando la vecchia Lega di Bossi era forza di governo e, al Sud, esplodevano le polemiche antirisorgimentali – subisce, com’è ovvio, moltissime contestazioni.
Ciononostante, Lynn non corregge alcun tiro. Anzi, rilancia sulla sua rivista Mankind Quarterly, tra l’altro considerata una specie di think tank del suprematismo bianco. Qui nel 2022 esce un altro articolo dello scienziato, che riporta i risultati di un test su un campione di bambini siciliani tra i sei e gli undici anni. Il loro Qi medio sarebbe 92, il che confermerebbe le cifre della produzione precedente. È l’ultimo articolo dello studioso britannico, che muore nel 2023 all’invidiabile età di 93 anni.
Nello stesso numero di questa contestata rivista, esce il contributo di altri due studiosi: lo scandinavo Emil Ole Kirkegaard e l’italiano Davide Piffer. I due studiosi, seguaci fedeli delle teorie di Lynn, sostengono che i divari cognitivi tra Nord e Sud Italia sarebbero rimasti invariati sin dall’Unità. Il loro ragionamento è basato sul consueto mix di dati socio-statistici e di genetica.
Resta una domanda: che c’entra la razza con la presunta minore intelligenza dei meridionali? Il minore Qi degli italiani del Sud sarebbe dovuto alla presenza più massiccia di geni nordafricani e arabi. Facile. Ma è anche vero?
Meridionali inferiori e cattivi nati: un pregiudizio eterno
Vere o no, queste teorie sono comunque poco originali, perché girano, in un modo o nell’altro, dai tempi dell’Unità.
Su questo dibattito, che appunto arriva ai nostri giorni, c’è una notevolissima sintesi in Il Paese diviso (Rubbettino, Soveria Mannelli 2019), il saggio-bandiera dell’economista calabrese Vittorio Daniele, ordinario di Politica economica alla Magna Graecia di Catanzaro e tra i massimi studiosi dei divari regionali.
Con la sua innegabile complessità, non priva di aspetti ambigui, Cesare Lombroso riesce nella missione impossibile di anticipare le tematiche salienti della questione meridionale e, allo stesso tempo, di ispirare la teorizzazione scientifica del pregiudizio antimeridionale.
Infatti, il papà della Criminologia moderna, evoca più volte, nel suo classicone, L’Uomo delinquente (ed. cit. 1897, Bompiani, Milano 2013) l’idea delle due razze, in cui sarebbe divisa la popolazione italiana: ariana o nordica nel Settentrione, mediterranea e nordafricana al Sud (tranne la presenza greca). Tuttavia, questa distinzione non serviva, nelle intenzioni di Lombroso, a identificare l’atavismo criminale in uno specifico ceppo etnico (il delinquente nato è una specie di razza a parte che emerge in ogni gruppo), ma a indicare specifiche tendenze criminali.
Ed ecco che a Reggio si accoltella mentre a Torino si preferisce avvelenare. E via discorrendo.
Chi prende sul serio la teoria delle razze è il siciliano Alfredo Niceforo, che lega l’innatismo criminale e altri atavismi alla razza africana che sarebbe prevalente al Sud.
Poi, com’è noto, in questo dibattito si impone la lettura sociologica (anch’essa di matrice positivista, come l’antropologia lombrosiana) grazie alla polemica efficacissima di Napoleone Colaianni.
La parola fine arriva col fascismo, che non ama le teorie lombrosiane e archivia l’antropologia criminale.
Africani forse, delinquenti e cretini mai
La carrellata di Daniele termina con una confutazione sostanziale delle teorie razziste di Lynn e dei suoi allievi.
Ma attenzione: quella dell’economista calabrese è una critica asettica e priva di moralismi che ogni studioso dovrebbe fare.
Dunque: è vero, argomenta Daniele, i meridionali sono pieni di geni di origine nordafricana e mediorientale, ma tutto ciò non ha a che fare col Qi.
Infatti, nei siciliani ci sono meno geni nordafricani che negli ebrei askenaziti, che tutto sono fuorché un popolo di fessi. E, per restare alla Sicilia, è vero che – grazie agli influssi fenici e alla dominazione araba – c’è un bel po’ di roba araba nei cromosomi degli isolani. Tuttavia, a proposito di dominazioni, nella parte occidentale dell’isola fanno capolino i geni normanni. E, a voler approfondire, tutta l’Italia presenta una varietà forte di colori, fenotipi e via discorrendo perché nel nostro bagaglio genetico c’è di tutto e questo tutto si è rimescolato più volte in seguito alle migrazioni interne.
Ancora, la presenza di geni nordafricani e mediorientali è palese anche in altri Paesi come Spagna e, ancora di più, Portogallo. Ma non è provato che sia alla base di divari regionali (che pure vi sono).
Il caso della Germania dimostra, invece, l’esatto contrario delle tesi di Lynn: i test effettuati sulle reclute di leva provenienti dai Lander della ex Ddr evidenziano una crescita progressiva dei loro Qi, dovuta non a mutazione genetica ma al progressivo miglioramento delle condizioni di vita di quei territori, che vanno dalla ritrovata libertà alla crescita economica.
Magari si potrebbe aggiungere che la ex Rft, sistema economico e sociale apertissimo, si è presentata all’appuntamento storico della riunificazione con un corredo cromosomico meno puro della controparte orientale, grazie a due-tre generazioni di immigrati arabi, turchi e italiani, meridionali soprattutto.
La razza degli scemi
Morale della favola: non c’è un legame dimostrabile tra ampiezza del Qi e razza. Al contrario, l’effetto Flynn continua a ribadire che più si sta bene più si diventa intelligenti.
Il problema, come sempre, è culturale e di qualità delle scuole: un altro aspetto in cui la forbice tra Nord e Sud si rifà sentire. Ma anche qui non c’è di che essere pessimisti: Lynn si basava sui risultati degli Invalsi anteriori al 2010. Quelli qui esaminati esibiscono comunque un miglioramento, dovuto alla riduzione del divario tra le varie parti d’Italia. Ci si riferisce, purtroppo, solo a quello nell’istruzione. Sul quale c’è ancora tanto da lavorare e, magari, da indagare.
Al riguardo, non sarebbe il caso di chiedersi se nel declino culturale dell’Italia e, in particolare, del Sud, non hanno le loro responsabilità interi settori del mondo accademico, come pure qualcuno a suo tempo ha autorevolmente denunciato?
E che dire degli atenei, cittadini e online, spuntati come funghi da trent’anni a questa parte, su cui solo ora ci si inizia a interrogare?
Stupidi si può nascere e non è detto che c’entri con la razza. Ma stupidi si può diventare anche se si nasce intelligenti. E questo c’entra davvero con la qualità della vita e, soprattutto, delle scuole.
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Caro Direttore,
grazie per arricchire il nostro sapere attraverso la lettura dei tuoi brani.
Avrei voluto opzionare 5 stelline, ma il telefono mi si è inceppato e mi ha permesso di colorare di giallo solo una delle 5 a disposizione.
Questo piacevole inconveniente mi è capitato più di una volta.
Mi duspiace tanto.
Daniela