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Spie come loro: i generali contro i fratelli Rosselli

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C’era lo zampino del Sim dietro la morte dei due celebri intellettuali, in prima linea contro il fascismo. I servizi militari armarono gli “incappucciati” d’Oltralpe e commisero attentati dinamitardi nei porti francesi e spagnoli. Tuttavia, le inchieste e i processi del dopoguerra contro le barbe finte del Regio Esercito finirono in nulla…

Possibile che due intellettuali, senza più molta forza politica, facessero così paura da ispirare la loro eliminazione fisica ai papaveri del fascismo?

Possibile ancora che per questa esecuzione (che ricorda nelle sue modalità certi vecchi delitti di mafia) si siano mobilitati addirittura i vertici del Sim, il servizio segreto militare?

Prima di procedere oltre, facciamo i nomi eccellenti.

Dal lato più tragico, quello delle vittime e dei martiri, ci sono i fratelli Carlo e Nello Rosselli.

Dall’altro lato, non meno tragico ma senz’altro più esecrabile, ci sono i cattivi: Mario Roatta e Paolo Angioy, entrambi generali del Regio Esercito, Santo Emanuele, colonnello dei carabinieri, il maggiore Roberto Navale, capo del centro Sim di Torino, più qualche figura secondaria.

Da un altro lato ancora, c’è l’ombra sinistra dell’Osarn (Organisation secrète d’action révolutionnaire nationale) un gruppo terroristico dell’estrema destra francese dedito al delitto politico, in proprio o su commissione.

Nel mezzo c’è l’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, rappresentato in questo caso dal commissario aggiunto all’epurazione di Alto commissario per la punizione dei delitti Mario Berlinguer, liberale sardo di ispirazione socialista, che       nell’immediato dopoguerra milita prima nel Partito d’azionee poi nel Psi, di cui diventa parlamentare mentre il figlio Enrico scala pian piano i gradini del Pci.

Il generale Mario Roatta

E c’è la magistratura ordinaria italiana, coi suoi formalismi e coi suoi complicatissimi rapporti col potere politico.

Insomma, ci sono tutti gli elementi per un thrillerone d’epoca a cavallo tra giallo e spy story. Soprattutto, a cavallo tra due mondi: il fascismo e l’antifascismo.

Carlo e Nello, cadaveri eccellenti in Normandia

Nove giugno 1937, Normandia. Un’auto, proveniente da Alençon, è diretta a Bagnoles-de-l’Orne, un paesino famoso per le sue terme, che all’epoca ha poco più di mille abitanti.

A bordo vi sono due uomini. A un tratto, un’altra vettura li accosta. Le due auto si fermano. Quindi inizia la carneficina: uno dei due uomini dell’auto che viene da Alençon è centrato in pieno da un proiettile e muore sul colpo. L’altro si difende come può, ma inutilmente: è crivellato di colpi, poi i sicari lo finiscono a coltellate.

La polizia ritroverà i corpi due giorni dopo. Appartengono a due italiani, i fratelli Carlo e Nello Rosselli. I due sono noti oppositori del fascismo. Il primo, in particolare, è scappato in Francia nel 1929 ed è, assieme a Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà.

Plurilaureato, allievo e amico di Gaetano Salvemini e studioso di valore, Carlo Rosselli è forse la più bella testa pensante (e sognante) dell’antifascismo politico italiano: fautore di un socialismo liberale che accantona il marxismo e riscopre il valore delle libertà individuali e dell’autonomismo.

Anche come leader e organizzatore, Carlo non è affatto male: partecipa alla Guerra di Spagna ed è in prima fila in tutte le manifestazioni pubbliche antifasciste. Si espone in prima persona, sempre e generosamente. E tuttavia, la sua attività non piace a tutti gli antifascisti fuoriusciti dall’Italia. Ad esempio, Palmiro Togliatti stronca Socialismo Liberale, il libro-manifesto che Rosselli pubblica a Parigi nel 1930.

Infatti, certe idee non possono piacere all’apparato stalinista, di cui il leader comunista italiano fa parte a pieno titolo.

Carlo e Nello Rosselli

Non è solo una questione intellettuale: mettere in discussione i dettami del marxismo-leninismo come fa l’intellettuale italiano, significa isolarsi nell’antifascismo internazionale, dove i comunisti stanno raggiungendo pian piano l’egemonia. E isolarsi significa diventare bersagli mobili.

Di questa situazione fa le spese anche Nello, fratello minore di Carlo, che subisce arresti e confini ma resta in Italia, dove svolge l’attività di storico. In quel maledetto ’37 va in Francia solo per rivedere il fratello dopo anni.

Roatta, Emanuele e Navale: il supertrio degli spioni italiani

Il 1937 segna il punto più alto della parabola politica di Galeazzo Ciano, genero del Duce e suo probabile successore (non a caso, è soprannominato il Delfino).

Dopo anni di gavetta, Ciano diventa ministro degli Esteri e stringe forti legami con uno ambizioso come lui: il modenese Mario Roatta, un militare di carriera di lungo corso, appena diventato generale durante la Guerra di Spagna.

Figlio d’arte (suo padre è un capitano del Regio Esercito) e pluridecorato nella Grande guerra, Roatta si fa le ossa come attaché diplomatico in giro per l’Europa e, dal 1934, approda alla guida del Sim (Servizio informazioni militari), l’apparato di intelligence del Regio Esercito. Vi porta una dote finanziaria consistente: quattro milioni di lire tondi di finanziamento, dovuti al favore di cui l’alto ufficiale gode nelle alte sfere del regime. Certo, sono bazzecole rispetto ai circa cinquanta milioni di cui gode l’Ovra, la polizia segreta fascista.

Tra i due servizi c’è una differenza: il Sim, per quanto fascistizzato, è una struttura istituzionale, l’Ovra, per quanto tenda a istituzionalizzarsi, è un’organizzazione politica. Di questa differenza occorre tenere conto per capire il perché di certe decisioni del dopoguerra.

Nel ’37 Roatta è ancora in Spagna e ha appena mollato il Sim, di cui ha preso le redini un uomo di sua stretta fiducia, il generale sardo Paolo Angioy, pluridecorato e mutilato della Grande guerra. Ma la continuità vera dell’operato di Roatta è rappresentata dal siciliano Santo Emanuele, colonnello dei carabinieri e capo della Sezione controspionaggio del Sim.

Galeazzo Ciano

Emanuele, a sua volta, gode della fiducia non solo di Ciano, ma anche di Flippo Anfuso, diplomatico di carriera e capo di Gabinetto del Delfino. E organizza, su indicazione di Roatta, attività varie, inclusi i sabotaggi e i delitti politici.

Per queste attività c’è un valido collaboratore: il maggiore Roberto Navale. Questi dirige il centro Sim di Torino ed è autore di trovate romanzesche, tra cui l’apertura di un bordello in Liguria da usare come centro di informazioni (un po’ alla Salon Kitty, o alla Romanzo criminale, per capirci).

Fascisti incappucciati, terroristi e assassini

Violentissima, a volte delirante, ma anche assai suggestiva: l’Osarn nasce da una scissione interna dell’Action française, il movimento monarchico di estrema desta fondato da Charles Maurras, di cui si contesta l’intellettualismo e la scarsa propensione all’azione violenta.

Gli aderenti a questo gruppo hanno una caratteristica, che li fa somigliare un po’ ai nostri Beati Paoli: l’uso, rituale e operativo, di cappucci. Da questa caratteristica, i nomignoli ironici di Cagoule (appunto, cappuccio) e cagoulards (incappucciati), affibbiati all’organizzazione e ai suoi aderenti da Maurice Pujo, giornalista di vaglia ed esponente di spicco del movimento di Maurras.

Ma con i cagoulards c’è poco da scherzare: hanno soldi, mezzi e contatti importanti negli apparati statali e militari. Li guida lo storico fondatore Eugene Deloncle, ingegnere e pluridecorato della grande guerra e parente alla lontana di François Mitterand. Tra gli altri cofondatori figurano Eugène Schueller, farmacista e fondatore de L’Oreal, e il tipografo Jean Filiol, reduce di guerra superoperativo dal coltello facilissimo (non è un modo di dire: nel’37 cerca di uccidere a baionettate il leader socialista Leon Blum).

Filiol, autore ed ideatore di vari attentati, gestisce, da Nizza, i contatti col Sim. Il suo interlocutore, a tale scopo, sarebbe Roberto Navale.

Eugene Deloncle

Questi contatti hanno uno scopo: ottenere la possibilità di acquistare cento fucili semiautomatici in uso al Regio Esercito. Navale (e dietro di lui Emanuele) accettano, ma in cambio vogliono un favore di quelli che solo la Cagoule sa fare…

Sabotaggi, bombe e delitti: la lista della spesa del Sim

Il delitto dei fratelli Rosselli fa parte di una lunga lista della spesa elaborata dal Sim, nella quale si prevede anche la diffusione di epidemie in Spagna, per costringere la Francia a chiudere i confini dei Pirenei.

Non tutto quel che ha programmato Roatta va a buon fine, ma alcuni attentati messi a segno emergono nel mandato di cattura a carico suo e dei suoi colleghi.

Eccoli in un rapido elenco:

  • l’incendio della nave Turia, nel porto di Nizza, avvenuto grazie a una carica esplosiva piazzata a bordo;
  • il naufragio, al largo di Gerona, del piroscafo Città di Barcellona, provocato sempre da una carica di esplosivo;
  • il naufragio, al largo di Marsiglia, del piroscafo Cap Ferrat;
  • inoltre, ci sarebbe, a carico dei nostri 007, la partecipazione all’omicidio di un cittadino sovietico, tale Nakitin. Ma al riguardo è impossibile saperne di più perché questo capo di accusa sparisce letteralmente dall’istruttoria del dopoguerra.

 Ad ogni buon conto, all’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale tramontano gli astri di Roatta, che diventa capo della Seconda armata nei Balcani, e di Emanuele, tolto dal controspionaggio su iniziativa di Cesare Amé, che dirige il Sim con rara efficienza e a dispetto della diffidenza (reciproca) con gli ambienti politici.

Una manifestazione dei cagoulards

Proprio Amé farà riemergere i delitti Rosselli nell’immediato dopoguerra, quando le istituzioni, compresi i Servizi, sono allo sfascio (e in relativa riorganizzazione) e gli ex colleghi e rivali se ne fanno reciprocamente di tutti i colori pur di salvarsi.

Ma quanto erano davvero cattivi quelli del Sim?

A questo punto, è opportuno rispondere a una domanda provocatoria: l’elenco di atti appena riportato, più i delitti Rosselli, è solo una serie di crimini, oppure ha una logica – perversa, ma sempre logica – nel mondo dell’intelligence?

Tutt’e due le cose. Più precisamente, si tratta di operazioni coperte praticate dai Servizi nelle guerre segrete che conducono contro istituzioni e omologhi avversari.

In questi casi, va da sé, sfumano innanzitutto i concetti della morale, già a dura prova nei conflitti normali (quelli tradizionali, quasi in disuso, e i peace keeping e i peace enforcement contemplati dall’Onu o la recentissima Operazione militare speciale russa). Sfumano, anche e soprattutto, i parametri giuridici su cui si giudica normalmente se un’azione è criminale o meno.

Già: le guerre segrete, che si possono combattere anche in situazione di pace formale, sfuggono tranquillamente alle norme delle convenzioni e dei trattati internazionali. E si basano su una logica tutta loro, piena di retropensiero, pensiero laterale e ultra machiavellismo. In questo ambito, più che nelle guerre vere, l’unica regola è l’efficacia.

Rileggiamo il comportamento del Sim e dei suoi vertici da questo punto di vista (discutibile ma reale).

L’Italia, a partire dall’estate del 1936, è impegnata nella Guerra civile spagnola con l’invio di truppe e mezzi. Queste truppe partecipano a combattimenti, che possono comportare perdite.

I servizi segreti (e il Sim non fa eccezione) hanno il dovere di tutelare le truppe. E, in quest’ottica, affondare navi che magari trasportano armi e mezzi agli avversari diventa un’azione legittima. E, purtroppo, è legittimo anche eliminare un leader impegnato nella propaganda, nel reclutamento e nell’organizzazione del campo nemico: Carlo Rosselli, appunto. È brutto, ma vero.

Così vero che questa stessa logica giustifica, ad esempio, i comportamenti dell’intelligence americana, che pianifica lo sbarco in Sicilia servendosi anche della mafia e poi, per controllare l’isola, vi riporta i capimafia espulsi dal fascismo.

Un bel primo piano di Carlo Rosselli

Ancora: giustifica i comportamenti della stessa intelligence, che salva e ricicla in vista della Guerra fredda, molti esponenti del fascismo, di Salò e non solo.

Gli esempi possono moltiplicarsi all’infinito, a partire dal Kgb e dal Mossad, maestri nella guerra coperta, a finire al MI6 britannico.

Se così fan tutti, perché accusare solo il Sim? Semplice: l’ideologia, vecchia ma invadente, fa capolino, anche in opere ben documentate. Ad esempio, il monumentale I servizi segreti in Italia (Sperling & Kupfer, Milano 2010) di Giuseppe De Lutiis, che contiene la ricostruzione completa del processo al Sim. O il valido Il delitto Rosselli (Mondadori, Milano 2007), di Mimmo Franzinelli, che contiene una ricostruzione completa dell’inchiesta giudiziaria sui cagoulards.

Processo insabbiato al Sim

Giusto una fine parziale della storia sulle due vicende processuali, francese e italiana, che mettono, ciascuna a modo proprio la classica pietra tombale sul delitto Rosselli.

Al di là e al di qua delle Alpi c’è un’unica parola chiave: insabbiamento.

Che avviene in Francia, dove le indagini partono male e si complicano in seguito alla guerra, durante la quale i cagoulards militano nella Repubblica di Vichy ma si dividono tra fedeli alla Germania e lealisti con de Gaulle. E non mancano i doppiogiochisti, come Deloncle, di cui i tedeschi non si fidano. Infatti, la Gestapo (a proposito di delitti politici…) lo liquida a Parigi il 17 gennaio 1944.

Filiol, invece, riesce a riparare in Spagna, dove gode della piena protezione del regime di Franco e del sostegno di Schueller, che gli affida la gestione del ramo spagnolo de L’Oreal. Chissà se Filiol è stato bravo coi conti come col coltello…

Il processo, arenatosi allo scoppio della guerra, riparte nel ’47 dopo molti stop and go e si arena progressivamente tra qualche condanna, assoluzioni borderline (le consuete insufficienze di prova) e azzeramenti, perché nel frattempo gli imputati sono morti.

In Italia, invece, il processo parte a guerra ancora in corso e parte piuttosto male: si configura sin da subito come un duello giudiziario tra Amé (l’accusatore principale) ed Emanuele sulla pelle di Mario Roatta, il quale fino a un certo punto si difende come può: furbescamente ma comunque male.

Dopo aver assistito a quasi tutte le udienze del dibattimento davanti all’Alta corte di giustizia, dove il pm Mario Berlinguer incalza alla grande lui e gli altri ex colleghi spioni, Roatta scappa precipitosamente grazie all’aiuto di sua moglie Ines e di altri alti ufficiali legati a lui. Si rifugia in Spagna, da dove assisterà prima alla sua condanna a Roma e al suo successivo proscioglimento a Perugia.

Ed ecco nel dettaglio le condanne inflitte dall’Alta corte nell’estate del ’45: fucilazione per Anfuso, ergastolo a Roatta, Emanuele e Navale, venti anni e sei mesi ad Angioy.

Mario Berlinguer

Placata quella parte di opinione pubblica (giustamente) indignata ma anche sobillata dal Pci, che chiede a gran vonce lo scioglimento del Sim, il balletto giudiziario riprende.

Roatta e gli altri maggiori coimputati riescono a eludere il divieto di appello alle sentenze dell’Alta corte tramite una serie di ricorsi in Cassazione (che tecnicamente non sono appelli) in cui si contestava alla Corte di non aver tenuto conto in maniera adeguata della contumacia. Così si crea il classico mostro giuridico: per una parte degli imputati, quelli che hanno riportato le condanne più gravi, il processo è da rifare, per gli altri la situazione resta così com’è.

Il problema è risolto a livello legislativo, con un decreto che rimuove il divieto di appello. A questo punto, è tutto da rifare per tutti e per chi vuole.

I successivi processi si svolgeranno prima a Roma e poi, dopo un ennesimo ricorso in Cassazione a Perugia. Lì tutto naufragherà nell’insufficienza di prove.

È la prima forbice enorme tra verità storica e verità giudiziaria nella storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Ma i perché di questa forbice sono tutti da approfondire.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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