Spie come loro: vite parallele di Olga Kolobova e Marc L., dalla Russia a Posillipo
Un ufficiale francese ultracattolico e una artista specializzata nel design di gioielli. Lui fa una carriera sofferta nell’intelligence d’oltralpe, lei gira mezzo mondo per servire Putin e si lascia dietro una scia di cuori infranti e un morto…
Un cinquantenne, per la precisione un ufficiale francese in una crisi profonda, molto più grave di quella di mezz’età. Una quasi quarantenne bella e affascinante: una artista sudamericana partita dalla Russia che ha girato mezzo mondo prima di arrivare in Italia.
I due non si conoscono tra loro, ma hanno in comune almeno due cose: un luogo e un referente.
Il luogo è Napoli. Senz’altro la lussuosa Posillipo, ma soprattutto Lago Patria, dov’è ubicata un’importante base Nato, oggetto dei desideri dei due e del loro referente: la Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie) la Direzione generale per le informazioni militari, cioè i servizi militari russi.
Spie si nasce o si diventa. Lei, Olga Kolobova, è nata spia: classe 1982, è figlia di un colonnello russo, che ha raccolto encomi in Angola, Iraq e Siria.
Di lui, invece, non si sa il vero nome: sulla stampa internazionale è conosciuto come Marc L., Lionel T. o, più semplicemente, L.. Tuttavia, alcune informazioni su di lui filtrano comunque: è un tenente colonnello dell’esercito francese, che tra le sue specialità vanta proprio gli studi di intelligence. Inoltre, Marc L. fa parte della Drsd (Direction du Renseignement et de la Sécurité de la Défense), cioè i servizi di informazione militari francesi. Anche lui nasce spia, ma cambia referente: dalla Francia alla Russia.
Ma la Gru è implicata anche in un’altra brutta storia: l’avvelenamento dell’ex 007 russo Sergej Viktorovič Skripal’ e di sua figlia Julia, avvenuto a Salisbury, in Gran Bretagna, il 4 marzo 2018.
Andiamo con ordine.
Lago Patria: la base Nato che fa gola ai russi
Lago Patria è davvero qualcosa di più di una semplice base Nato. È la sede dell’Allied Joint Force Command Naples che, a sua volta, è uno dei due centri strategico-operativi di Shape (Supreme headquarters allied powers Europe), ovvero il Quartier generale delle potenze alleate in Europa (l’altra sede è nell’omologa base di Casteau, in Belgio).
Questi due centri Shape si interfacciano con i tre Comandi Nato delle truppe terrestri (Turchia), marittime (Inghilterra) e aeree (Germania).
Basta già questo per rendere la base napoletana un boccone ghiotto per spie di ogni tipo. Ma c’è un altro dettaglio che rende Lago Patria addirittura golosa per i russi: lì c’è anche la sede di due delle sei Nato force integration unit, cioè i quartieri generali creati a fine 2014 nelle zone postsovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania) o ex Patto di Varsavia (Polonia, Romania, Bulgaria). Questi quartieri generali hanno il compito di coordinare il dispiegamento rapido delle truppe in caso di posizionamento ai confini della Nato. Detto altrimenti: per rispondere botta su botta a eventuali bizzarrie di Putin e del suo stato maggiore. La base di Napoli coordina il lato Sudest (Bulgaria e Romania). In particolare, Romania e Polonia, confinano con l’Ucraina, che dal 2014, in seguito alla rivolta secessionista del Donbass e all’annessione della Crimea, è il teatro di una crisi importante e delicatissima.
Prima di passare oltre, è fondamentale rispondere a una domanda: come si approccia una base come Lago Patria, che a livello di intelligence è il classico osso duro?
Di solito si procede con due tipologie di agenti: gli spotter, che cercano punti deboli di vario tipo nei bersagli, e le spie vere e proprie, che si infiltrano. Rispettivamente: Olga Kolobova e Marc L..
Maria Adela, la bella artista di Posillipo
Dal 2015 Napoli ha un’attrattiva in più: Maria Adela Kuhfeld Rivera, una bella e fascinosa imprenditrice arrivata a Napoli nel 2015, dopo essere stata a Malta, a Roma e a Parigi.
La donna è una disegnatrice di gioielli, che commercializza tramite una società: la Serein srl, con sede prima a Roma e poi a Milano. Nel capoluogo campano, invece, apre una galleria concettuale, che la mette al centro dell’attenzione della città-che-conta e, più in generale, della vippanza che si ritrova a Napoli. Maria Adela, tuttavia, ai vip preferisce i militari di tutte le nazionalità, a partire da quella statunitense, di stanza a Lago Patria.
Il consueto fascino della divisa? Forse. Fatto sta che le frequentazioni tra l’artista e i militari sono più che assidue. Infatti, Maria Adela si lega a qualche big in divisa e diventa segretaria del Lions Club Napoli Monte Nuovo, fondato e costituito da (ma guarda un po’…) militari di Lago Patria.
La giovane artista – che dichiara circa 38 anni all’epoca dei fatti – dice di essere nata a Callao (Perù) da papà tedesco e di essere cresciuta a Mosca dove la mamma, un’atleta olimpica ecuadoriana, l’ha abbandonata praticamente in fasce. Nell’autobiografia di Maria Adela non manca nulla, compresi gli abusi sessuali subiti nella famiglia russa adottiva. La sua è una storia complicatissima e, a tratti, tragica. Di sicuro affascinante. Peccato solo che non sia vera.
Marc L.: la crisi strana di un cadetto di sangue blu
Marc L. ha una storia altrettanto romanzesca di quella di Maria Adela Kuhfeld Rivera, ma vera. Segno che nel mondo dell’intelligence la differenza tra verità, non verità e verosimiglianza sono a dir poco labili. Cinquanta sfumature di vero (o falso), per parafrasare l’immeritatamente celebre romanzo erotico e relativo film.
Nel 2020, quando finisce in manette, Marc L. ha circa cinquant’anni, è sposato e ha cinque figli. Non ha fatto una gran carriera, ma il suo percorso è lineare. Soprattutto, non ha problemi finanziari. Quindi, a differenza dell’ufficiale di marina italiano Walter Biot, il francese non si sarebbe venduto per soldi, ma sarebbe passato ai russi in seguito a una radicalizzazione religiosa e politica tutta speciale: al cristianesimo più conservatore e alla destra tradizionalista.
Questa radicalizzazione non è una piroetta, ma lo sviluppo naturale di una linea culturale di cui esistono almeno due elementi nella vita del militare francese.
I primi sono familiari: Marc L. è un rampollo di una famiglia di antica nobiltà, che risale almeno all’ancien règime. Nel suo caso, il blasone è doppio: perché il militare francese discende anche da una famiglia di nobili russi scappati dai bolscevichi.
Tutto lascia pensare che Marc L. sia addirittura bilingue per nascita, visto che le famiglie aristocratiche russe hanno continuato a praticare la madrelingua tra le pareti domestiche.
I secondi elementi dipendono dalle scelte culturali e di vita: prima di imboccare la carriera militare, il nostro studia Slavistica alla Sorbona (in pratica, gioca in casa), quindi, nel 1989, è ammesso alla prestigiosissima Académie militaire de Saint-Cyr Coëtquidan, dove si diploma nel 1992.
Saint-Cyr: un’accademia a misura di reazionari
Fondato da Napoleone nel 1802, Saint-Cyr è uno dei principali istituiti di formazione militare, da cui esce l’élite dell’esercito d’Oltralpe. Ma c’è di più: Saint-Cyr, come quasi denuncia Bruno Judde de Larivière, suo ex professore di Geografia, sarebbe sede di un gruppo di pressione culturale di ultradestra, identitario e filorusso.
Tra questi, spiccano Thomas Flichy de La Neuville, direttore del Dipartimento di studi militari, che perde la cattedra a Saint-Cyr nel 2019 in seguito a un’inchiesta della Drsd da cui emergono legami con una potenza straniera.
Già noto per il passato sostegno al presidente siriano Bashar al-Assad, Flichy de La Neuville si è segnalato per alcune dichiarazioni pro Putin rilasciate ai media lo stesso giorno dell’inizio delle ostilità tra Russia e Ucraina.
Più esplicito il posizionamento politico di Bernard Lugan a cui il ministero della Difesa francese aveva sospeso i corsi di Storia a Saint-Cyr nel 2015. Lugan, tra le varie, è noto per aver fondato, assieme a Jean-Yves Le Gallou, ex esponente del Front National, l’Institut Iliade, un think tank identitario da cui pesca moltissimo il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Certo, la presenza di questi due docenti può non voler dire nulla, visto che entrambi hanno insegnato anni dopo il diploma di Marc L.. Tuttavia, resta indicativa di una tendenza a Saint-Cyr, che dura da decenni.
Infatti, tra i compagni di corso del nostro tenente colonnello figurano due personalità più che note in certi circoli. Il primo è Xavier Moreau, diventato cittadino russo dopo aver lasciato l’esercito e animatore del sito filorusso Stratpol. Di recente, Moreau ha fatto l’osservatore per conto di Mosca nei referendum per l’annessione di Donetsk alla Russia. Il secondo commilitone di Marc L. è il colonnello Alain Covez, noto come editorialista dell’edizione francese di Russia Today.
Un ambiente ideale per uno come Marc L., che parte dal cattolicesimo tradizionalista. Ma il background e gli studi non bastano. Per certe scelte servono stimoli specifici, che al militare francese arriveranno qualche anno dopo.
Intermezzo: l’affaire Skripal’: il velenoso errore della Gru
Salisbury, 4 marzo 2018. Su una panchina di fronte a un centro commerciale della cittadina britannica ci sono due persone svenute.
Sono Sergej Viktorovič Skripal’ e la sua figlia trentatreenne Julia, entrambi cittadini russi che vivono nel Regno Unito dal 2010.
Skripal’ non è quel che si dice uno stinco di santo: già colonnello dell’Esercito, prima sovietico e poi russo, termina la sua carriera nella Gru, da dove si pensiona nel 1999. Poi, nel 2004, l’Fsb (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa, erede del Kgb) lo accusa di alto tradimento e il colonnello finisce nei guai. Secondo gli 007, Skripal’ si sarebbe venduto al MI6, il servizio segreto britannico, durante una missione in Spagna.
Da quel momento in avanti, l’ex spione della Gru avrebbe passato ai britannici fior di informazioni e avrebbe fatto una marea di danni alla sicurezza della Federazione.
Ad ogni buon conto, nel processo che lo riguarda, Skripal’ si dichiara colpevole e nel 2006 subisce una condanna ridotta, 13 anni in un carcere di massima sicurezza e viene privato della cittadinanza russa. Ma non resta in galera a lungo: nel 2010 esce dal carcere a seguito di indulto ed entra in uno scambio di prigionieri tra Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Si stabilisce a Salisbury dove vivono anche Pablo Miller, il suo reclutatore per conto del M16, e Christopher Steele, un altro pezzo grosso dell’intelligence britannica.
Torniamo al 4 marzo del 2018. Ricoverati d’urgenza in coma, Skripal’ e la figlia sono sottoposti ad analisi approfondite, da cui risulta un’intossicazione da gas nervino: è il famigerato Novicok, che avrebbe rifatto capolino nell’estate 2020 per l’avvelenamento di Naval’nyj.
Finiscono in manette quasi subito due cittadini russi che dichiarano di essere turisti. Ma è questione di poco perché emerga la loro vera identità: sono il colonnello Anatoly Chepiga, già decorato come eroe della Federazione Russa, e il medico militare Alexander Ygeneyevic Mishkin, entrambi al servizio della Gru.
Fatto assai curioso, i due non vengono smascherati dalle autorità, ma da due siti web di controinformazione: il britannico Bellingcat e il russo The Insider, legato agli ambienti della dissidenza.
Cade la maschera: gratta Maria Adela e trovi Olga
È il 14 settembre 2018. Tra un mare di polemiche Bellingcat svela anche i numeri di serie dei passaporti russi con le false identità dei due: i numeri sono progressivi, cioè uno più alto di una cifra rispetto a quello precedente. Secondo Edward Lucas, addetto ai lavori di livello internazionale, è una sciatteria che diventa quasi una firma: quella della Gru, che ha l’abitudine di numerare alla meno peggio i passaporti dei propri agenti.
Il 15 settembre Maria Adela lascia l’Italia e una scia di cuori infranti. Dà notizia di sé due mesi dopo sul suo profilo Facebook, in cui dice di essersene andata per curare un tumore.
Ma i numeri non mentono: il passaporto immediatamente successivo a quelli di Chepiga e Mishkin è il suo. Significa che Maria Adela fa parte della Gru. E significa che Maria Adela non esiste. Come riveleranno nell’estate 2022 il solito Bellingcat e Repubblica, la donna che ha fatto girare la testa ai militari Nato di stanza a Napoli è Olga Kolobova.
Ma nel 2018 per la Gru non c’è un vero problema: Kolobova è riuscita a esfiltrarsi con estrema facilità. E c’è già un sostituto, che rispetto a lei ha un vantaggio non proprio piccolo: è interno alla base.
Dalla conversione alle manette: la parabola di Marc L.
Dopo il diploma a Saint-Cyr, Marc L. studia intelligence, si specializza (ovviamente…) in lingua e cultura russe, quindi inizia le sue attività.
Innanzitutto, come attaché diplomatico in Kazakistan. Lì stringe legami con i monsignori Athanasius Schneider e Tomasz Peta, rispettivamente vescovo ausiliare e arcivescovo metropolita di Astana. I due non sono proprio progressisti: nel 2016 prendono posizione contro Amoris laetitia, la lettera apostolica con cui papa Francesco tenta di lanciare una nuova visione ultraprog in materia di famiglia e sessualità, con importanti aperture verso il mondo gay.
Poi il tenente colonnello va ad Helsinki, dove i servizi segreti (tutti, nessuno escluso) russi esercitano da sempre un’attività più o meno efficace ma sempre virulenta. È probabile che gli emissari della Gru lo abbiano agganciato lì.
Nel 2019 Marc L. arriva a Lago Patria. Ma, evidentemente, qualcosa su di lui è filtrato, perché l’Aisi (i nostri servizi segreti interni) inizia a pedinarlo in tandem con gli agenti della Dgsi (gli omologhi servizi francesi).
Ed emergono due storie, che provano, rispettivamente, l’ingaggio e la conversione ideologico-religiosa di Marc L..
La prima risulta da un’intercettazione ambientale a Stresa, dove i nostri 007 beccano l’ufficiale francese a colloquio con tale Jurij A.. Questi, sotto le mentite spoglie di un uomo d’affari russo in vacanza, in realtà è un agente della Gru, noto per alcune passate bravate in Austria.
La seconda intercettazione avviene a Le Mans: lì le barbe finte francesi beccano nella primavera 2020 il tenente colonnello a colloquio e a pranzo con un pope di un convento ortodosso.
A questo punto, è possibile tirare qualche filo di questa ingarbugliata vicenda. A livello religioso e ideologico, è evidente che la Chiesa ortodossa di Kirill esercita sui nostalgici delle messe in latino lo stesso fascino che, qualche decennio fa, esercitavano i lefevbriani. Con una differenza, però: rispetto agli scismatici (e scomunicati) occidentali, che perdono un pezzo dopo l’altro, la Chiesa ortodossa russa ha una struttura forte e uno Stato dietro di sé. E questo Stato, guarda caso, persegue ambizioni di tipo imperiale capaci di solleticare le fantasie di più di un reazionario.
Ad ogni buon conto, questi due episodi sono solo gli apici di una lunga serie di pedinamenti e intercettazioni che portano Marc L. a fine corsa.
È il 17 agosto 2020: la Polizia trova nel bagno dell’appartamento napoletano del tenente colonnello un cellulare e tre chiavette usb, verosimilmente quelle consegnategli da Jurij A.. Nelle stesse ore, i poliziotti francesi ammanettano Marc L. all’aeroporto de Gaulle di Parigi, mentre si apprestava a tornare in Italia. Salve (non improbabili) complicazioni, fine della storia.
Alcuni enigmi su Olga la mantide
Chi ha saputo fornire una formidabile lettura d’insieme di questo garbuglio è il bravo giornalista Antonio Talia, nel suo saporosissimo La stagione delle spie (Minimum Fax, Roma 2023) che contiene una cronaca robusta dal gradevole retrogusto letterario delle nequizie spionistiche finte, vere e verosimili di Putin & Co.
Con innegabile abilità, Talia recepisce la dichiarazione di una fonte interna alla Procura di Napoli, che definisce Olga Kolobova figura secondaria. Questo dovrebbe bastare a far capire come mai il caso di Marc L. sia esploso subito col botto mentre la storia della 007 russa sia emersa con comodo, cinque anni dopo i fatti. E non in seguito a inchiesta giudiziaria ma a dossieraggio giornalistico.
Siamo sicuri che Kolobova sia così innocua? Da alcuni dettagli biografici parrebbe di no. Uno è particolarmente inquietante: prima di stabilirsi in Italia, la giovane sposa, con rito civile e sotto la sua identità di copertura, un ragazzo italiano, che muore poco più di un anno dopo in seguito a una malattia misteriosa…
Né può essere innocua una che sbuca letteralmente dal nulla e si fa strada a colpi di bellezza e fascino. Tant’è: quando la bellezza bacia le russe, fa sul serio e, a volte, esagera. Sul fascino, poi, non si discute: quello slavo è fascino per definizione.
Inoltre, i casi del sottotenente francese sanfedista e della Mata Hari moscovita hanno un altro dettaglio in comune: non si sa quali informazioni siano riusciti a passare ai loro referenti. E di sicuro in un’alcova possono passare altrettante notizie sensibili di quelle che si apprendono in una sala riunioni.
Un elemento interessante in più lo fornisce un’accusa che i russi rivolgono periodicamente a Bellingat che secondo loro sarebbe nientemeno che un organo del MI6. Fosse vera, questa affermazione proverebbe varie cose. Una soprattutto: che i britannici con questo notevole dossier abbiano voluto mandare un segnale a vari ambienti nel pieno della crisi ucraina, quando l’attenzione verso tutto ciò che è russo era alle stelle.
Nulla di meglio che una bella spy story, allora, per alzare la soglia d’allarme come solo i britannici sanno fare.
Già: russi, americani, britannici e via discorrendo sanno che i media sono armi come altre in quella enorme arena geopolitica dove si lotta per affermarsi o, più semplicemente, sopravvivere. E che di questo grande gioco tutti possono essere pedine, più o meno sacrificabili.
Come Marc L. e chi ha avuto a che fare con Olga Kolobova.
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