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La Russia moralizzatrice: Marta Allevato e il solito pistolotto prog al regime di Putin

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La giornalista romana si occupa dei fremiti conservatori dell’attuale estabilishment russo, che considera strumenti di propaganda finalizzati a ulteriori censure e giri di vite contro i diritti fondamentali e nei confronti di alcune minoranze (femministe e Lgbtquia+). Ma questa lettura ripete il limite di tanta propaganda: l’applicazione dei parametri liberal al mondo russo, che comporta equivoci e incomprensioni, anche pesanti…

C’è una categoria di libri non sempre fortunata: i mini saggi legati a vicende di stretta contemporaneità. Non sono libri di cronaca, perché coltivano ambizioni di lungo periodo, né sono libri storici, perché trattano di fatti troppo vicini: né carne né pesce.

Infatti, gli storici si avventurano raramente in queste operazioni, lasciate di solito ai giornalisti con risultati non proprio brillantissimi. È il caso di La Russia moralizzatrice. La crociata del Cremlino per i valori tradizionali (Piemme, Milano 2024) di Marta Allevato, giornalista Agi con un decennio di corrispondenze dalla Russia alle spalle.

Il primo neo del libro è nell’aver cannato la tragica fine di Aleksei Naval’nyj, morto in carcere dieci giorni dopo l’uscita in libreria. Ma questa non è tanto una responsabilità dell’autrice quanto del calendario dell’editore.

Marta Allevato (foto di Bartolomeo Rossi)

Ma il buco sulla morte di Naval’nyj, è il problema minore de La crociata del Cremlino, in cui si parla dell’ex oppositore di Putin in termini incompleti e molto parziali.

In realtà, lo sfortunato blogger è un personaggio di grande complessità e pieno di forti ambiguità. Come riporta anche Wikipedia in una dettagliatissima voce, Naval’nyj ha oscillato tra tentazioni nazionaliste e pulsioni liberali e filo-occidentali, ammiccamenti all’estrema destra e posture progressive (ad esempio, le prese di posizione Lgbt-friendly), tra critiche alla politica estera e interna putiniana ed esibizioni di patriottismo.

Insomma – lo diciamo con tutto il grande rispetto per chi ha subito persecuzioni ed è morto per le proprie idee – Naval’nyj è tutto da approfondire.

Invece, la giornalista romana si limita a ripetere il copione del nostro mainstream, che ha trasformato l’ex oppositore dell’attuale sistema di potere russo in un santino liberale. Non è l’unico limite di La crociata del Cremlino. un libro costruito su una tesi poco convincente. Secondo questa tesi, Putin avrebbe inaugurato una politica tradizionalista e conservatrice – poco condivisa in realtà dalla popolazione russa – per motivare le strette su alcune libertà, a partire da quella di stampa, imbavagliare le opposizioni e centralizzare il più possibile la gestione del potere, grazie all’alleanza con una serie di forze non progressiste e russo-profonde. È proprio così?

La copertina de La Russia moralizzatrice

Chiesa ortodossa: bigottismo di Stato?

Marta Allevato dedica il secondo capitolo del suo libro ai rapporti tra Stato e Chiesa ortodossa rivisti e corretti da Putin.

Come quasi in tutto il resto del volume, l’autrice opera una distinzione tra prima e dopo il 2011. S’intende: un prima ancora dove ancora resistevano le aperture all’Occidente e al liberalismo e un dopo caratterizzato da un crescendo di conati reazionari e censori, di cui il rinnovato legame col patriarcato russo sarebbe una delle linee guida.

Questo nuovo linguaggio pubblico farebbe a pugni con una società in realtà laica, disincantata e contraddittoria, come quella della Federazione, in particolare i ceti medi delle grandi città (Mosca e San Pietroburgo in particolare).

Il patriarca Kirill

Quindi un cristianesimo di facciata – a cui non corrisponde una vera pratica religiosa – funzionale a una narrazione politica e, perché no?, a un nuovo conformismo sociale. Il ragionamento di Allevato prova troppo. Al punto che per alcuni versi lo si potrebbe applicare alla nostra Chiesa, ai suoi rapporti col potere politico e alla sua incidenza reale nella nostra società, a sua volta molto secolarizzata.

Di più: lo si potrebbe applicare anche ai rapporti tra le autorità religiose musulmane e alcuni Paesi islamici piuttosto secolarizzati. In questo caso, c’è l’imbarazzo della scelta, dalla Tunisia all’Albania passando per la Giordania e la Turchia.

A proposito di Turchia, il nuovo cesaropapismo putiniano ricorda non poco quello di Erdogan (va da sé, solo dal punto di vista politico). Ma, va da se, con differenze innegabili dal punto di vista religioso.

C’è un dato su cui l’autrice sembra non soffermarsi a sufficienza, ma che risulta imprescindibile se si vuole parlare davvero di Russia e autoritarismo putiniano: i russi veri e propri sono solo il 54 per cento dei 144 milioni di abitanti della Federazione Russa. Una maggioranza risicata che galleggia su un mosaico di etnie composito e dalle identità spesso molto forti, com’è emerso dalle guerre cecene.

In questo caso, il recupero dei legami col mondo ortodosso è funzionale alla narrazione imperiale che Putin tenta di imprimere alla sua Russia.

A dispetto delle apparenze, questa narrazione è più difensiva che aggressiva: serve a tenere unito proprio quell’incredibile mosaico etnico, molto più del liberalismo occidentale, il cui innesto si è rivelato problematico.

Ancora: il Cristianesimo ortodosso non è solo uno strumento di potere. È, addirittura, un elemento fondativo dell’identità nazionale russa, molto di più di quanto non lo sia il Cattolicesimo della nostra.

Se le cose stanno così, appare altrettanto riduttiva la lettura del periodo sovietico come mera persecuzione. Anche in questo caso, come in tutto ciò che è russo, complessità e ambiguità spadroneggiano alla grande.

È vero che le purghe e i gulag staliniani inghiottirono centinaia di migliaia di prelati e sacerdoti, al pari di altrettanti oppositori di varia natura (anche bolscevichi), ci mancherebbe. Ma è altrettanto vero che lo stesso Stalin, tra le varie ex seminarista, strinse accordi con quel che restava della Chiesa ortodossa durante la Seconda guerra mondiale per motivare la popolazione in chiave antigermanica.

Putin e il patriarca Kirill

Per completare il tutto, occorrerebbe ricordare che la Costituzione sovietica assicurava comunque una formale libertà di culto, sebbene l’unica propaganda religiosa concessa fosse quella atea. Grazie a questo formalismo, il cristianesimo ortodosso riprese una parte del suo ruolo di religione di Stato.

Ciò spiega come mai il patriarca Kirill ebbe un passato da agente del Kgb senza che ciò fosse considerato un problema per la sua successiva carriera ecclesiastica.

Per il resto, gli altri pettegolezzi, più o meno fondati, riportati da Allevato sulla mondanità eccessiva di Kirill, quasi non fanno notizia: se n’era già occupato in toni persino più caustici il filorusso Nicolai Lilin nel suo Putin. L’ultimo zar, uscito anch’esso per Piemme nel 2020.

Intermezzo: La Russia moralizzatrice contro le Pussy Riot e Internet sovrano

Ci sono due elementi che tornano sempre, spesso in maniera ridondante, in tutti i testi sulla Russia di Putin: il processo alle Pussy Riot e la questione di Internet sovrano e dei controlli sul web. È il caso di spendere due parole a parte su entrambi.

Per quel che riguarda la performance del collettivo punk femminista (di cui si invita a tradurre il nome…), sarebbe il caso di dare un’occhiata al video, tuttora fruibile su YouTube, grazie al quale è possibile ammirare le tre eroine mentre interrompono una funzione religiosa a suon di bestemmie (non si sa come definire altrimenti le espressioni holy shit e God’s shit) e imprecazioni contro il rieletto Putin.

In questa vicenda c’è solo un aspetto discutibile: l’eccessivo trattamento carcerario inferto alle Pussy Riot. Che, tuttavia, non deve sorprendere in un sistema come quello russo.

Le Pussy Riot durante la loro performance maledetta nella cattedrale di Mosca

Ma è solo una questione di quantità: le tre sarebbero state perseguite, a parità di gesti e con le stesse accuse, anche in Italia.

Per quel che riguarda, invece, il web è il caso di notare (come ad esempio ha fatto un’altra antiputiniana, Marta Federica Ottaviani) che Putin, appena diventato presidente, si adoperò per modernizzare la Russia a livello informatico e, quindi, estendere al massimo la diffusione di internet. E non è un caso che buona parte del culto della personalità putiniano derivi dal lavoro di parecchi webmaster.

Sui controlli e sui limiti occorre distinguere bene. Una parte di essi sono in effetti censori e mirano a limitare l’informazione occidentale o filo occidentale. Un’altra parte, di sicuro non minoritaria, mira invece a limitare i grossi big privati (i social media e i grandi motori di ricerca) nella gestione dei dati degli utenti.

È, con i dovuti adattamenti, la stessa cosa che tentano di fare l’Ue e parecchi altri Stati che si sono posti il problema di tutelare le informazioni sensibili dei cittadini e delle istituzioni dalle web companies. Al riguardo, potrebbe essere istruttivo rileggere almeno in parte gli interessanti lavori di Evgenji Morozov. Ma forse è chiedere troppo ad Allevato: Morozov è bielorusso e non si sa mai che, sotto sotto, sia anche lui putiniano…

Evgenij Morozov

Il successo di una democratura

Per fortuna, Marta Allevato dedica almeno una parte del primo capitolo de La Russia Moralizzatrice… alla descrizione dei disastri degli anni ’90 e di come Putin si sia affermato con la promessa di rimediarvi.

Ovviamente, la giornalista si è ben guardata dal trarre le dovute conseguenze dall’analisi di quel periodo.

Altrimenti avrebbe dovuto tener conto di due elementi che avrebbero complicato la sua narrazione.

Il primo riguarda le modifiche istituzionali in senso autoritario della Costituzione russa, promosse e a volte imposte da Boris Eltsin per stabilizzare la propria presidenza. In tal senso, Putin ha trovato la classica pappa pronta. Ma chi l’ha cucinata lo ha fatto per evitare che la Russia finisse in pezzi.

Infatti, il secondo elemento riguarda l’elevatissima instabilità economica e politica che portò dapprima la Federazione (che, ricordiamo, aveva perso oltre un quarto del Pil nei primi due anni postsovietici) al default e poi a un’instabilità politica così grave da sfiorare la guerra civile.

Quindi, come correttamente afferma Allevato, il baratto tra sicurezza – non solo economica ma addirittura fisica – e libertà liberali è stato il primo elemento chiave del successo di Putin.

Per capirne qualcosa di più non sarebbe male risfogliare Putinfobia del compianto Giulietto Chiesa, anch’esso edito da Piemme nel 2016.

Chiesa in questo volume mette a fuoco un altro concetto che ritorna in La Russia moralizzatrice: Putin, che riceve un gradimento alterno dagli abitanti delle grandi città, resta comunque fortissimo nella Russia profonda – spesso quella economicamente più depressa, che sopravvive grazie ai sussidi dello Stato centrale – e nelle Repubbliche federate.

Giulietto Chiesa

In questi casi, lo scambio benessere e sicurezza contro libertà liberali funziona addirittura di più. Tutto questo, va da sé, al netto dei brogli e delle intimidazioni che, tuttavia, non bastano da sole a spiegare un successo forte e duraturo come quello del presidente russo.

Libertà di stampa: è davvero quel tabù?

Sulla base di quel che si è appena detto, è possibile scorrere un po’ alla rinfusa il resto del libro.

In via preliminare, è doveroso ribadire la solidarietà nei confronti di giornalisti e attivisti che hanno subito repressioni, censure e minacce e, varie volte, sono stati costretti all’esilio.

Tuttavia, per quel che riguarda la libertà di stampa non ha del tutto torto Alessandro Orsini quando afferma nel suo Ucraina. Critica della politica internazionale (Paper First, Roma 2022) che la libertà di stampa può essere percepita come un valore minore rispetto ad altri bisogni (ad esempio, sicurezza e sopravvivenza). E questo potrebbe spiegare, prosegue il sociologo, come mai i russi siano letteralmente passati sopra all’omicidio della povera Anna Politkovskaja e abbiano continuato a tributare consensi bulgari a Putin.

Il caso russo conferma che, anche nell’era del web 2.0, la libertà di stampa, è un valore chiave principalmente per la borghesia colta e benestante, che è poi il ceto da cui proviene la maggior parte dell’opposizione a Putin. E questo può spiegare benissimo il motivo per cui, da un lato, i blog di Naval’nyj fossero seguitissimi e Novaja Gazeta fosse uno dei giornali russi più letti e, dall’altro, Putin continuasse comunque a macinare consensi.

Alessandro Orsini

Sulle attuali censure, legate essenzialmente al conflitto in Ucraina, c’è poco da dire: a parità di situazioni, le praticano anche i governi più democratici. Ne abbiamo un esempio con il comportamento attuale dei media mainstream, di cui Allevato fa parte, improntato a una russofobia eccessiva.

Femministe e Lgbtquia: davvero minoranze a rischio?

Il rapporto tra Russia profonda (ma anche repubbliche caucasiche e asiatiche) e governo, può spiegare la particolare politica putiniana nei confronti di alcune minoranze, ad esempio quella gay.

Il divieto di propaganda gay rientra senz’altro nell’alleanza con la Chiesa ortodossa. Ma è anche un segnale alle comunità a maggioranza islamica del Caucaso e dell’Asia centrale, senz’altro più conservatrici dei russi, inclusi quelli profondi. Certo, il conservatorismo fa la sua parte in questa misura legislativa, che da un lato non discrimina ma dall’altro non tutela (senza una dimensione pubblica, è più facile che le violenze contro i soggetti lgbtquia+ restino impunite). Ma la mancanza di statistiche precise non aiuta a capire la reale portata del problema.

Anna Politkovskaja

Discorso simile, ma forse più complesso, per la condizione femminile. Che, tuttavia, non sembra troppo diversa da quella italiana sotto più profili, a partire dalla posizione svantaggiata delle donne nel mondo del lavoro. Per quel che riguarda le violenze domestiche, forse la vera differenza sta, più che nella persistenza di subculture patriarcali, nella mancanza di normative speciali simili al nostro codice rosso.

Un passaggio a parte, lo merita la riflessione sulle politiche antiabortiste adottate da Putin, che non sono dissimili da quel che capita in altre parti d’Europa (ad esempio, la civilissima Germania). Premesso che chi scrive reputa tutt’altro che civile inserire un preteso diritto all’aborto nella Costituzione, come ha fatto la Francia, occorre approfondire le specificità ambientali russe. Cosa, che in effetti Allevato fa, ma per trarne conclusioni opposte alle premesse.

È vero che, dai tempi dell’Urss, dove l’aborto era libero, c’è stato un continuo giro di vite. Ma siamo sicuri che queste politiche antiabortive derivino (solo) da fremiti reazionari? La Russia, come riconosce la stessa autrice, è un paese dagli equilibri demografici precari, su cui il disastro degli anni ’90 ha inciso enormemente.

Il calo della durata media della vita, quello delle nascite e, ovviamente, l’emigrazione, hanno determinato una contrazione notevole del numero dei russi all’interno della Federazione. E, purtroppo, i 500mila e rotti aborti del ’91, a Urss appena crollata, non sono una barzelletta, ma una mazzata terribile alla demografia. Questo a prescindere dalle motivazioni etiche e religiose.

Di sicuro, l’enorme quantità di aborti è il prodotto non solo di situazioni disperate ma anche di molta disinformazione. Lo conferma una quarantaseienne, che confida ad Allevato di aver abortito varie volte perché nella sua generazione si considerava l’aborto come una specie di contraccezione.

Di fronte a un pericolo demografico non basta osservare che non si fanno figli perché lo Stato non aiuta, come si fa in Italia. Per batostare Putin serve davvero altro.

Putin durante la discussa manifestazione allo stadio Lushniki di Mosca

Prima capire, poi giudicare

Forse non si può capire un Paese senza esserci stati. Ma non lo si può fare quando vi si è immersi troppo e si dialoga soprattutto tra simili: borghesi colti ed emancipati, come ha fatto Allevato.

Quella borghesia medio-alta, da cui provengono gli attivisti, i giornalisti, gli artisti e i blogger con cui l’autrice ha dialogato per anni, non esaurisce da sola la middle class, che ha comunque applaudito l’annessione della Crimea e ha continuato a votare Russia Unita e Putin. E, pur criticando i metodi dell’operazione militare, ha vissuto con sollievo la normalizzazione della Cecenia e non disapprova l’intervento in Ucraina.

Non solo la Russia profonda manca quasi del tutto, ma anche la Russia normale latita dal libro di Marta Allevato.

Quando il conflitto ucraino cesserà e i suoi echi si assottiglieranno, La Russia moralizzatrice si ridurrà a una voce nel curriculum dell’autrice. Ma soprattutto apparirà per quel che è: l’ennesima arma mediatica sparata contro la Russia nell’ambito della infowar Nato in cui molta stampa italiana si è impegnata oltre ogni misura, soprattutto della decenza.

Boris Eltsin

I conflitti si devono condannare, su questo non ci piove. Ma prima devono essere compresi a fondo nelle loro dinamiche. Soprattutto, si devono comprendere i loro attori e le loro motivazioni (col relativo carico di ragioni e torti).

Libri come La Russa moralizzatrice non aiutano affatto, in questa direzione con il loro approccio piatto e assertivo, tipico di troppo giornalismo, che si limita a una sola cosa: applicare parametri e criteri occidentali a sistemi culturali non sempre assimilabili ai nostri metri di valore. Se le cose stanno così, allora nulla di strano che la reazione di molti popoli a certi atteggiamenti sia di rigetto e che le loro accuse di neocolonialismo non siano proprio infondate.

Possiamo fare la morale alla Russia in molti modi. Ma i parametri liberal-progressisti di Marta Allevato sono davvero i meno adatti.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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