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Francesco Landi: il valoroso soldato borbonico che non piaceva ai seguaci di Franceschiello

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Perse a Calatafimi dopo essersi battuto con onore e lo stesso Garibaldi ne riconobbe il valore in battaglia. Tuttavia, divenne il capro espiatorio di alcuni propagandisti borbonici, che lo accusarono di essersi venduto alle giubbe rosse. Fu l’inizio di una leggenda nera dura a morire e molto diffusa ancor oggi tra i revisionisti antirisorgimentali

Il cosiddetto revisionismo del Risorgimento si basa principalmente sulla riesumazione delle vecchissime polemiche della propaganda di guerra borbonica del secolo XIX.

Dopo la sconfitta militare e politica nella guerra del 1860-1861, una serie di scrittori legittimisti o clericali mise mano alla penna per contestare il Regno d’Italia, nella vana speranza di condizionare l’opinione pubblica e giungere ad un rovesciamento del nuovo stato in una situazione internazionale ancora fluida.

Questa letteratura ebbe fini di propaganda esplicita: in essa abbondano frasi retoriche e melodrammatiche per suggestionare il lettore, iperboli sull’accaduto, omissioni di particolari importanti, deformazioni e falsificazioni e vere e proprie invenzioni.

Uno dei prodotti di questa propaganda ottocentesca fu il mito secondo cui il generale Francesco Landi, comandante delle forze borboniche a Calatafimi, sarebbe stato corrotto da Garibaldi.

Valoroso: il generale borbonico Francesco Landi

Una mazzetta farlocca per comprare Landi

Landi avrebbe ricevuto personalmente da Garibaldi una polizza del Banco delle Due Sicilie dal valore nominale di 14.000 ducati, però falsificata. Così corrotto, il generale avrebbe tradito a Calatafimi facendo vincere i Mille, ma, recatosi a riscuotere la polizza avrebbe scoperto che era falsa e sarebbe morto d’infarto.

Il mito è passato dall’aneddotica borbonica di 160 anni fa a quella attuale. «I borbonici stavano per prevalere, ma avevano bisogno di rinforzi per chiudere la partita. Non arrivarono. Il generale Landi fece suonare la ritirata. Fu relegato a Ischia, retrocesso alla seconda classe e messo in pensione. […] Si disse – e lo storico borbonico Giacinto de’ Sivo lo scrisse – che fosse morto di crepacuore per aver scoperto di essere stato ingannato dai garibaldini: per la sua ritirata, gli avrebbero promesso una polizza di 14.000 ducati depositata al Banco di Napoli; ne avrebbe trovati invece solo 14. I figli […] cercarono di riabilitarne la figura parlando di una lettera di Garibaldi che lo scagionava. Lettera mai trovata». Così scrive sulla battaglia di Calatafimi il giornalista Gigi Di Fiore in una sua pubblicazione.[1]

Gigi Di Fiore

Questa ricostruzione è integralmente erronea, nonostante sia ripetuta da molti altri scrittori cosiddetti revisionisti. Ad esempio, l’ex direttore di Gente Pino Aprile nel suo best seller Terroni[2]. Oppure il tabaccaio Antonio Ciano in un suo testo romanzato contro Garibaldi, i cui protagonisti sono una coppia d’anarchici ma borbonici (sic) che fanno sesso avvolti dalla bandiera delle Due Sicilie [3].  O ancora Lorenzo Del Boca il quale arriva a sostenere che a Calatafimi la «battaglia non ci fu. I garibaldini […] non si scontrarono nemmeno con i borbonici» e che i «napoletani devono essersi fatti male da soli».[4]

Caso Landi: le origini della bufala

Verifichiamo l’ipotesi di Landi corrotto tramite polizza.

I: Il romanzo di un gesuita alla base della bufala

L’origine del mito è un romanzo d’appendice, Olderico o il zuavo pontificio del gesuita Antonio Bresciani.[5] Costui, acerrimo nemico del liberalismo e del Regno d’Italia, immagina nel suo romanzo che il piissimo visconte Olderico, «uno dei più nobili e prodi garzoni della Bretagna», fidanzato alla «vezzoza Giachelina» figlia di un duca di Bretagna, corra ad arruolarsi fra gli zuavi pontifici per combattere per il papa-re contro l’esercito italiano. La vicenda si snoda fra una legione di devoti, nobiluomini e nobildonne, fonti miracolose, paragoni con l’esercito crociato di Goffredo di Buglione e gesta eroiche di Olderico. Un dialogo nel romanzo cerca di spiegare perché uomini che sono detti «avvezzi agli studi» e che «combattono per una ragion santa» (i legittimisti) siano sconfitti da altri descritti come «operai e artefici» e «avvezzi alla bisca» (i volontari italiani).[6] Parte allora un pistolotto in cui s’accusano di tradimento per corruzione i generali ed ammiragli delle Due Sicilie, i generali dell’Austria e l’ufficialità del Granducato di Toscana: qui è incastrata in nota anche l’accusa a Landi.[7] La provenienza del mito della corruzione con polizza falsa è dunque un romanzo d’appendice, il che è sufficiente per considerare la fonte nulla. Ritenere storicamente valide le vicende d’Olderico o il zuavo pontificio è come prendere per buone quelle de I tre moschettieri oppure di Capitan Fracassa.

Padre Antonio Bresciani dell’ordine dei gesuiti

L’aneddoto della polizza falsificata fu ripreso dallo scrittore borbonico Giacinto de’ Sivo,[8] con l’aggiunta che la cifra reale era di quattordici ducati, ma che era stata adulterata affinché sembrasse di quattordicimila.

È da sottolineare che de’ Sivo insieme al duca di Civitella e all’ex ispettore di polizia Palumbo componeva la Commissione per la stampa (organo di propaganda) creata da Francesco II nel maggio 1863 e fu fortemente contestato dai suoi stessi compagni di strada borbonici con critiche dure e d’ogni sorta. Fra questi due fedelissimi. Innanzitutto, il primo ministro del governo di re Francesco II in esilio, Pietro Calà Ulloa, si oppose alla pubblicazione della Storia delle Due Sicilie. Inoltre, il generale Ritucci, l’ultimo comandante in capo dell’esercito borbonico, accusò per iscritto de’ Sivo d’aver riportato cumuli di falsità.

Anche altri borbonici della cerchia del sovrano in esilio, fra cui aristocratici di gran nome, vecchi fedeli di re Ferdinando II e numerosi militari, furono scandalizzati e tempestarono di proteste il sovrano, che fu costretto a convocare due riunioni del governo per tentare di placare gli animi. Infine, dopo uno scontro personale, De’ Sivo cercò di ricattare il sovrano: gli chiese altro denaro, altrimenti avrebbe reso pubblico che egli era stato ghost writer del re. A questo punto, Francesco II gli tolse il sostegno.[9] Giacinto de’ Sivo fu il principale diffusore dell’invenzione romanzesca di padre Bresciani, sia negli anni ’60 del secolo XIX, sia presso i neoborbonici contemporanei.

II: Garibaldi scagionò per iscritto il generale Landi

La lettera con cui Garibaldi scagionava Landi esiste. Michele Landi, figlio del generale, chiese il 2 ottobre 1861 a Garibaldi una smentita della calunnia[10] ed ebbe risposta il 1 novembre 1861.

La lettera fu conservata dal professor Alfredo Landi. Guido Landi ne fece una copia e ne trascrisse i contenuti nel suo ottimo studio sul generale borbonico, in cui esaminava tutte le fonti principali conosciute sulla sua figura, sul suo ruolo a Calatafimi ed anche sulla farsesca accusa della polizza corruttrice.[11]

Garibaldi scrisse nella smentita che i borbonici a Calatafimi combatterono con valore e che Landi «fece il suo dovere di soldato», sconfessando «gl’impudenti giornalisti che ne insultano la memoria».[12] Esistono almeno due altre pubblicazioni della lettera del Nizzardo. Una con minuta autografa nel 1960 a cura di Anthony Campanella e l’altra nel 2016 in una raccolta di lettere e documenti autografi di Garibaldi.[13]

Giuseppe Garibaldi

Anche il generale Landi difese il suo operato in una lunga ed analitica relazione, che non fece in tempo a pubblicare per la sua morte.[14]

Si dirà che Garibaldi e Landi potevano avere interesse a smentire voci calunniose, ma il loro è il parere di protagonisti della battaglia di Calatafimi, dunque i loro scritti sono fonti primarie, a differenza delle fantasie di Bresciani, De’ Sivo ed altri.

III: l’encomio di Franceschiello scagionò Landi

La lealtà di Landi fu riconosciuta dal sovrano e da una commissione dell’esercito borbonico. Re Francesco II fece avere a Landi a Palermo una lettera, in cui egli si dichiarava «soddisfattissimo della condotta di Landi e delle sue truppe», definiva onorevole il combattimento di Calatafimi e prometteva ricompense.[15] Successivamente, caduta Palermo, il sovrano ordinò a giugno del 1860 che l’operato dei generali e degli ufficiali superiori reduci dalla campagna di Sicilia fosse esaminato da un’apposita commissione formata da quattro generali di provata fedeltà.

Il primo era Francesco Saverio del Carretto, ex comandante della gendarmeria e ministro della Polizia per 18 anni e famigerato per la sua durezza verso i liberali.

Il secondo era Francesco Casella, che sarebbe divenuto primo ministro del governo borbonico a Gaeta.

Il terzo era Pietro Vial, uno degli uomini di fiducia di Ferdinando II.

Il quarto, infine, era Demetrio Lecca, per anni ispettore della Fanteria. La commissione giudicò che i comandanti, incluso il Landi, avevano fatto il loro dovere e che «niuno fu colpevole di cattiva volontà o di poco zelo».

Il marchese Francesco Saverio del Carretto

Tutti, incluso Landi, furono riammessi al servizio, anche se lo sconfitto di Calatafimi, malato ed anziano, chiese ed ottenne di poter andare in pensione.[16] Sia chiaro che né il re né la commissione avevano accusato Landi d’essere stato corrotto. In ogni caso, ambedue esclusero che questo generale avesse dimostrato negligenza o perfidia.

IV: Falsificare una fede di credito? Impossibile

La falsificazione d’una fede di credito con la semplice aggiunta di tre zeri era virtualmente impossibile. Il professor Augusto Marinelli nella sua confutazione del tradimento di Landi scrive che «al momento del rilascio al depositante da parte del Banco delle Due Sicilie il suo importo era scritto ben tre volte, una in cifre e due in lettere con timbro finale onde evitare contraffazioni […], dunque in nessun modo la si poteva falsificare “aggiungendo tre zeri”».[17] Era stata creata la madrefede, che riportava tutto l’importo depositato nel Banco dal sottoscrittore, proprio per impedire che l’importo della fede di credito fosse diverso da quello delle operazioni contrattuali basate su di essa.[18] Ogni polizza aveva due madrefedi, in argento ed in rame, che dovevano essere verificate da un impiegato, poi firmate.[19]

V: Garibaldi aprì un conto per corrompere Landi? Impossibile

È materialmente impossibile che Garibaldi abbia aperto un deposito, di cui la fede di credito ne era l’attestazione, presso il Banco delle Due Sicilie, perché le sue uniche due filiali in Sicilia erano a Palermo e Messina, mentre egli si trovava in Sicilia occidentale. Vi erano anche la sede centrale di Napoli ed una succursale a Bari, ma non risulta che Garibaldi fosse mai stato in queste due città in vita sua prima della spedizione.[20]

Pietro Calà Ulloa

VI: Garibaldi consegnò la polizza a Landi? Impossibile

Bresciani racconta che Landi avrebbe ricevuto la polizza «di mano del Garibaldi», ma ciò è inverosimile per non dire impossibile. I due comandanti furono vicini fra di loro prima della battaglia soltanto nella notte fra il 13 e 14 maggio, ma anche in quella nottata non avrebbero potuto avere un abboccamento, dato che i generali non si allontanarono dalle loro truppe. Di più, l’esercito garibaldino si pose in marcia già nel cuore della notte, mentre quello borbonico rimase immobile essendo incerto sulla presenza del nemico nei paraggi, poiché gli esploratori erano stati catturati e non vi era alcun abitante disposto a fare da spia a nessun prezzo.[21]

VII: Landi in battaglia: ardimentoso, non traditore

Neppure il comportamento del generale Landi si presta ad ipotesi di tradimento. Inviato in una missione esplorativa, Landi aveva chiesto rinforzi al comando di Palermo, senza averli. Egli ebbe la sua unità coinvolta in una battaglia per iniziativa personale del maggiore Sforza, che decise d’attaccare di sua volontà.

Se fosse stato davvero un traditore, Landi avrebbe potuto ordinare la ritirata all’inizio della battaglia, mentre egli scelse di appoggiare l’azione del subordinato ed inviò in soccorso quasi tutta la forza di cui disponeva.

Soltanto una piccola riserva non fu impiegata, ma il Landi non poté adoperarla per una minaccia incombente: gli insorti siciliani, di cui il generale conosceva la presenza in forze nella zona, ma ignorava, però, quanti e dove fossero e quali intenzioni avessero.

D’altronde, sino a quando la battaglia di Calatifimi non fu decisa, anche il grosso dei picciotti evitò di partecipare al combattimento. Perciò sarebbe stato un grave azzardo per il generale borbonico gettare nella mischia la sua ultima riserva con masse fresche nemiche schierate ai fianchi in attesa del momento favorevole.

Garibaldi durante la battaglia di Calatafimi

Landi ordinò la ritirata dopo che il grosso della sua unità era stato sconfitto dai garibaldini. Così facendo, il comandante borbonico potrebbe aver salvato i suoi uomini, isolati in un territorio ostile.

Fu la scelta corretta, perché il suo piccolo esercito fu subito attaccato dagli insorti siciliani a Partinico, dove perse 40 uomini: più di quanti ne fossero periti a Calatafimi. Correttamente, si potrebbe e dovrebbe parlare anche di battaglia di Partinico.

L’unità fu ancora attaccata mentre passava un torrente al guado, poi nel paese di Montelepre, trovandosi a combattere per tre giorni consecutivi senza requie.

Il grave pericolo costituito dalle bande siciliane, con cui Landi motivò la ritirata su Palermo, era reale.

Ancora, proprio all’inizio della battaglia di Calatafimi era arrivato l’ordine del Luogotenente del re in Sicilia principe di Castelcicala di ritirarsi vicino a Palermo. Tutto del comportamento di Landi contrasta con l’ipotesi di un tradimento: la richiesta di rinforzi prima della battaglia; il soccorso a un subordinato che aveva attaccato di sua iniziativa; l’ordine di ritirata dato dopo la sconfitta, sia perché la sua unità era virtualmente accerchiata dagli insorti siciliani, sia per l’ordine arrivatogli dal Luogotenente. Buon ultimo, il Landi combatté anche a Palermo e si comportò bene.[22]

Caso Landi: una bufala fortunata

La fortuna popolare dell’invenzione romanzesca di padre Bresciani è un esempio di quelle false notizie di guerra, su cui Marc Bloch scrisse un saggio pioneristico, provando che erano capaci di capaci di crearsi in pochissimo tempo e di propagarsi con notevole rapidità, anche qualora siano impossibili.[23]

Qualsiasi criterio s’utilizzi nella verifica dell’attendibilità del racconto sulla corruzione di Landi, conduce alla conclusione della falsità dell’aneddoto.

Lo storico Marc Bloch

Ricapitoliamo i sette punti chiave della vicenda. Primo: la fonte originaria è un romanzo, dunque finzione per definizione. Secondo: la falsa notizia fu smentita sia da Landi, sia da Garibaldi. Terzo: Landi fu elogiato da re Francesco per il suo operato a Calatafimi ed assolto da ogni accusa da una commissione speciale dell’esercito borbonico. Quarto: la falsificazione d’una polizza con l’aggiunta di tre zeri era irrealizzabile. Quinto: sarebbe stato impossibile a Garibaldi aprire un deposito presso il Banco delle Due Sicilie prima della battaglia di Calatafimi. Sesto: non può essere avvenuto un incontro fra Garibaldi e Landi. Settimo: l’operato concreto di Landi nella campagna di Sicilia esclude un tradimento.

Pertanto l’episodio è sicuramente inventato dalla vecchia letteratura borbonica ottocentesca, che Guido Landi nel suo esauriente studio così commentò: «Assai più severo apprezzamento si deve dare sulla propaganda e sugli scrittori borbonici. Se v’è prova dell’impossibilità di sopravvivenza d’un regime e d’una dinastia, è data proprio dall’estrema insipienza e dalla penosa povertà intellettuale di coloro che vollero sostenerlo con la loro propaganda e con i loro scritti, allora e nei primi anni successivi».[24]


[1] G. Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento, Milano 2010.

[2] P. Aprile, Terroni, Milano 2010.

[3] A. Ciano, Garibaldi il massone dei Due Mondi, Ali Ribelli Edizioni 2019.

[4] L. Del Boca, Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento

[5] A. Bresciani, Olderico o il zuavo pontificio, in«La Civiltà cattolica», anno duodecimo, vol. X, serie IV, 1861, pp. 278-279

[6], A. Bresciani, Olderico o il zuavo pontificio, Roma 1862, p. 196. Si cita qui dall’edizione integrale del romanzo, uscita nel 1862.

[7] Ibidem, pp. 196-201.

[8] G. De Sivo, Storia del regno delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. III, Verona 1865, p. 201.

[9] P. Ulloa Calà, Un re in esilio: la corte di Francesco II a Roma dal 1861 al 1870, Bari 1928. R. Mascia, La vita e le opere di Giacinto de’ Sivo, Napoli 1966. C. Pinto, Il patriottismo di guerra napoletano, 1861-1866, in “Nuova Rivista Storica”, C (2016), 3, p. 845. Idem, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870, Roma-Bari 2019

[10] La lettera di Michele Landi fu conservata dallo storico Giacomo Emilio Curatulo, poi acquistata dal Museo del Risorgimento di Milano, successivamente pubblicata da E. Curatulo, Scritti e Figure del Risorgimento Italiano, con documenti inediti, Torino 1926, pp. 210-212. Curatulo cita anche la risposta di Garibaldi.

[11] G. LandiIl generale Francesco Landi.: un ufficiale napoletano dai tempi napoleonici al Risorgimento e Carteggio della colonna mobile del generale Landi da Palermo a Calatafimi (5-15 maggio 1860), «Rassegna storica del Risorgimento», XLVII (1960), pp. 162-202; 325-366.

[12] Ibidem, p. 354. «Mio caro Landi, Ricordo di aver detto nel mio ordine del giorno di Calatafimi, che non avevo veduto ancora soldati contrari combattere con più valore, e le perdite da noi sostenute in quel combattimento lo provano bene. Circa i quattordicimila ducati ricevuti dal vostro bravo Genitore in quella circostanza, potete assicurare gl’impudenti giornalisti che ne insultano la memoria, che 50 mila lire era il capitale che corredava la prima spedizione in Sicilia, e che servirono ai bisogni di quella, non a comperare generali. Sorte dei Tiranni! Il Re di Napoli doveva soccombere! Ecco il motivo della dissoluzione del suo esercito. Ma vostro padre a Calatafimi e nella sua ritirata su Palermo, fece il suo dovere di soldato. Dolente su quanto avete perduto, vogliate presentarmi alla vostra famiglia, e credetemi con affetto. Vostro Giuseppe Garibaldi.»

[13] A. Campanella, Garibaldiana in the Hacke van Miynden-van Thienhoven Collection in Amsterdam, in Il Risorgimento, anno XII, 1960, n. 2, p. 103. Paolo Macorati-Leandro Mais, Giuseppe Garibaldi  in 152 lettere e documenti autografi,  Roma 2016.

[14] LandiIl generale Francesco Landi, cit., pp. 358-363.

[15] LandiIl generale Francesco Landi, cit., p. 351.

[16] Il Generale Pasquale Marra. Documenti, e fatti di arme, Napoli, s.d., pp. 11-12. Landi, Il generale Francesco Landi, cit., pp. 348 sgg.

[17] A. Marinelli, Landi o del tradimento a credito. https://www.mezzogiornoerisorgimento.it/landi-o-del-tradimento-a-credito/

[18] D. Demarco, Il crollo del regno delle Due Sicilie,  vol. I, Napoli 1960, p. 96.

[19] Amministrazione finanziera del regno delle Due Sicilie, Napoli 1856, p. 169.

[20] D. Demarco, Il crollo del regno delle Due Sicilie,  vol. I, Napoli 1960, pp. 96, 99.

[21] G. Virga, La rivoluzione nel regno delle Due Sicilie. L’insurrezione siciliana e la campagna di Garibaldi nell’Italia meridionale, Pozzuoli 2012, pp. 106-123.

[22] LandiIl generale Francesco Landi, cit., pp. 339-345.; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962; G. M. Trevelyan, Garibaldi in Sicilia, Vicenza 2004; Virga, La rivoluzione nel regno delle Due Sicilie, cit. pp. 106-123.

[23] M. Bloch, La guerra e le false notizie, Donzelli, Roma 2001 (edizione originale 1921).

[24] Landi, Il generale Francesco Landi, p. 347.

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