Most read

Combattere per la libertà: la Grande Guerra diventa metal con gli Scala Mercalli

Rate this post

La band marchigiana, nota per mescolare rock duro e patriottismo, annuncia il prossimo album, dedicato alla prima guerra mondiale e ai suoi eroi e racconta i suoi trentadue anni di storia, vissuti con orgoglio nell’underground, e le sue scelte etiche, poetiche e stilistiche e rifiuta facili etichette politiche…

Prima erano i moti risorgimentali, con Garibaldi in primo piano. Ora è la Grande Guerra, coi suoi miti e i suoi eroi.

Ci riferiamo al grande pioniere e campione del combattimento aereo Francesco Baracca, protagonista di Ace Of Aces, e a Luigi Rizzo, il pioniere dei Mas (Motoscafi armati siluranti) a cui è dedicato L’impresa di Premuta. I due brani, sono il primo e terzo singolo di Confini 1915-18, il prossimo album della metal band Scala Mercalli, previsto per settembre.

In mezzo c’è La Grande Guerra 1915-18, dal testo più generalista, ma che ribadisce l’argomento trattato dal gruppo marchigiano. Che si presenta con una line-up modificata per l’ennesima volta in cui, accanto al fondatore, il batterista Sergio Ciccoli (presente dal ’92), e allo storico frontman Christian Bartolacci (in formazione dal 2002), militano i chitarristi Federico Gianantoni e Michael Rossi e il bassista Roberto Guglielmi.

Lo stile è quello di sempre: un metal classico con vigorosi innesti di power-speed, che strizzano un po’ l’occhio ai Motörhead e ai Saxon (il riffing essenziale di Aces Of Aces), agli Helloween vecchissima maniera (La Grande Guerra 1915-18) e di nuovo ai Saxon ma anche ai Sabaton (L’impresa di Premuda, che si segnala per un bel coro in italiano).

Gli Scala Mercalli e i rievocatori del Risorgimento nelle uniformi sabaude e garibaldine

A proposito di Sabaton, il riferimento è quasi scontato. «Siamo abituati a sentirci definire i Sabaton italiani», scherza Ciccoli, «per via della passione verso la storia, in particolare quella militare, che ci accomuna alla band scandinava». Tuttavia, spiega Bartolacci, «noi ci concentriamo sulla storia italiana che rileggiamo da un punto di vista patriottico».

Non temete, in questo modo, di finire etichettati come di destra?

Ciccoli: e chi dice che quello di patria sia un concetto di destra? Mazzini e Garibaldi erano per caso figure di destra? Mi pare che parliamo di due figure di prima grandezza non solo per i patrioti italiani ma anche per quelli di tutta Europa che si sono ispirati a loro.

Ma tra le figure chiave del Risorgimento ci sono anche re Vittorio Emanuele II e Cavour, che di sicuro non erano di sinistra…

Ciccoli: il Risorgimento e la patria sono di tutti, di destra e di sinistra, come avviene in Gran Bretagna. Solo da noi continuano certe divisioni artificiose.

Che però si riflettono anche nella musica.

Bartolacci: già: Bruce Dickinson, quando canta dal vivo The Trooper e Aces High con gli Iron Maiden sventola la Union Jack [la bandiera britannica, Ndr] sul palco. Ancora: Bruce Springsteen ha sempre esibito, in molte sue canzoni, l’orgoglio per l’appartenenza all’America profonda. Jimi Hendrix rifece in chiave rock l’inno statunitense. È patriottismo o no, questo? È mai possibile che solo in Italia non si possa essere patriottici senza finire etichettati in maniera strana?

Gli Scala Mercalli nel backstage del video di Ace Of Aces

Ciccoli: se parliamo di politica, vorrei ricordare che il termine patria è tornato al centro del dibattito pubblico con Bettino Craxi, che proprio un uomo di destra non era. Se vogliamo parlare di musica, mi permetto di ricordare ancora che dagli ambienti giovanili di destra emersero, negli anni ’70, i gruppi di musica alternativa. A livello musicale, erano piuttosto lontani dal metal (facevano folk rock o prog) e, sotto l’aspetto dei contenuti, non parlavano di patria ma si concentravano su temi nordici, celtici e generazionali. Artisti validissimi e che meriterebbero di essere rivalutati, ci mancherebbe. Ma con noi – che parliamo di Italia e italianità ed evochiamo un immaginario mediterraneo più che nordeuropeo – c’entrano davvero poco.

In ogni caso, col prossimo album cambierete narrazione e divise: dal Risorgimento alla Prima guerra mondiale. Non più garibaldini e sabaudi, ma alpini, fanti e cavalieri del Regio Esercito. Altro album altra guerra, insomma…

Gianantoni: ma non vuol dire che siamo guerrafondai. Una cosa è raccontare episodi eroici che hanno segnato la nostra storia, un’altra è amare la guerra per la guerra. La stessa cosa, alla fine, si può dire per i Sabaton: per caso sono militaristi? Non mi pare…

Rossi: e comunque contano anche i valori per cui si combatte: le guerre risorgimentali e la Grande Guerra le abbiamo affrontate per difendere la libertà, intesa sia come liberazione di territori italiani sia come affermazione dell’idea di libertà in sé stessa.

Filosofia politica a parte, è facile notare come una delle caratteristiche degli Scala Mercalli sia la doppia chitarra, stile Iron Maiden-Judas Priest, cioè la coppia di chitarristi che suonano (e armonizzano) in sincrono…

Gianantoni: la doppia ascia è un classico del genere. Gli Scala Mercalli si ispirano da sempre ai grandissimi del metal. Quindi non avrebbe senso ispirarsi ai Judas Priest (o anche ai Saxon) senza riproporne una caratteristica importante.

Ma, ad ascoltare i brani, si nota che ciascuno di voi due chitarristi ha uno stile personale molto marcato…

Gianantoni: io provengo dal prog e considero Steve Vai la mia massima influenza.

Rossi: invece le mie influenze derivano dal metal estremo e, a livello stilistico, mi ispiro di più a Malmsteen.

Ciononostante, riuscite ad andare d’accordo, va da sé musicalmente?

Rossi: a livello personale, non ci capita mai di discutere su chi deve fare quell’assolo o quel riff. Insomma, teniamo l’ego a posto, se la domanda mira a questo. A livello artistico, invece, ci integriamo bene perché suoniamo in una band storica con repertorio e stile definiti. In pratica, ci muoviamo all’interno di strutture musicali solide dove ciascuno ha il suo ruolo.

A proposito di storia musicale: avete compiuto trentadue anni di musica, tutti dedicati al metal. Avete un repertorio essenzialmente in inglese ma vi siete dati un nome italiano. Come mai?

Ciccoli: ci sembrava una scelta originale, tanto più che l’unica band metal di una certa notorietà con un nome italiano, sono gli Strana Officina. Ma loro cantano in italiano i classici clichés angloamericani. Noi cantiamo in inglese storie italiane. Anzi, storie che esprimono un’idea alta dell’italianità. La Scala Mercalli, com’è noto, è un criterio di misurazione, all’epoca molto usato, dei terremoti. Perciò abbiamo voluto esprimere un’idea di forza sonora capace di scuotere. Un po’ se mi si permette il paragone, come gli Helloween, che hanno storpiato la Hall in Hell per evocare l’idea di frastuono infernale…

Questi trentadue anni di attività li avete svolti essenzialmente nelle vostre Marche, sebbene abbiate suonato in tutt’Italia. Com’è essere metallari nella provincia italiana del 2024? Quante difficoltà avete trovato e (ma speriamo di no) potete trovare ancora?

Bartolacci: le difficoltà e i problemi che si possono avere dappertutto, qui da noi, incluse le grandi aree metropolitane. Per quel che riguarda il nostro territorio, le Marche, devo dire che per fortuna non è marginale né irrilevante. Tuttavia, se proprio vogliamo fare dei paragoni, io distinguerei tra la situazione precedente la fine degli anni ’90 e quella successiva.

Gli Scala Mercalli in posa al porto di Ancona per il video de L’impresa di Premuta

Ci riferiamo al grosso switch verso la rete?

Bartolacci: esatto. Prima chi iniziava nelle grandi aree era senz’altro più avvantaggiato. Ora, con le grandi piattaforme e la crescita esponenziale di internet, tutti hanno la possibilità di farsi conoscere e di promuovere la propria musica. E questo è importante per quelli che, come noi, si sono scavati una nicchia con tenacia e coerenza.

Inoltre, pesano di meno i pregiudizi tradizionali di una certa critica musicale verso il metal…

Ciccoli: ognuno è libero di dire e scrivere quel che vuole, ci mancherebbe. Perciò mi sento anche io libero di dire che preferisco essere giudicato per la mia musica che sulla base di presunte ideologie.

Ma la vostra poetica e la vostra iconografia vi hanno procurato dei problemi?

Bartolacci: qualche piccolo fraintendimento sì, a dirla tutta. Ad esempio, qualcuno ha storto il naso per l’aquila raffigurata sulla copertina di Indipendence e ci ha accusati di fascismo o roba simile.

Bartolacci: critiche fuori luogo, sulla base di quello che abbiamo detto finora.

Al contrario, avete avuto anche qualche soddisfazione importante?

Ciccoli: tante, non solo musicali: la scrittrice Patrizia Figini ci ha menzionati in due libri e il Museo di Calatafimi ci ha dedicato una targa.

Gianantoni: in ogni caso, i fraintendimenti e le critiche pseudocontenutistiche occupano uno spazio davvero marginale: il pubblico del rock e del metal giudica soprattutto la musica.

Gli Scala Mercalli con i rievocatori della Grande Guerra con le uniformi d’epoca

Vi dedicate alle tematiche risorgimentali e patriottiche dal 2010. In perfetta coincidenza con le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Tuttavia, proprio a partire da quell’anno, giornalisti e varie associazioni meridionali hanno scatenato non poche polemiche proprio contro il Risorgimento e i suoi protagonisti. Anche voi siete finiti in qualche polemica di questo tipo?

Ciccoli: francamente, non mi sono accorto proprio di queste polemiche. Anzi: abbiamo suonato varie volte al Sud (in particolare a Napoli, Bari e in Sicilia) e ci siamo trovati benissimo. Il pubblico ha dato risposte positive sia alla nostra musica sia alla nostra iconografia, che hanno stimolato curiosità e ammirazione.

Come trovate il pubblico meridionale?

Gianantoni: appassionato, caloroso e un po’ caciarone. Insomma, l’ideale per metallari come noi. A dispetto dello stereotipo melomane e pop che si vuole appiccicare agli ascoltatori meridionali.

Quando uscirà il prossimo album? Quando potremo sentire da voi tutto il resto della Grande Guerra?

Bartolacci: prima dell’autunno. Ora siamo impegnati nelle ultime session sotto la guida del nostro produttore Damiano Paoloni.

Se l’antipasto sono i tre singoli usciti finora, c’è da sperare bene…

Ciccoli: vi daremo nuove scosse fortissime: è una promessa.

(a cura di Saverio Paletta)

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale degli Scala Mercalli

Da ascoltare (e da vedere):

 123,146 total views,  364 views today

Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

There are 4 comments for this article
  1. If some oone desires to bbe updated wifh hottest
    technologies afterwazrd he muet bbe go to ssee thhis webb pagee annd be upp
    to date daily.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Go to TOP