La X Mas e Israele: quegli allegri “camerati” di Sion
A guerra finita, gli emissari delle agenzie ebraiche reclutarono gli uomini di Borghese per beffare i britannici e difendersi dagli arabi. Dietro questo strano rapporto tra ex fascisti ed ebrei spesso sopravvissuti all’Olocausto c’è il precedente legame tra Žabotinskij, già papà nobile della destra sionista, e Mussolini, che fu interrotto dalle leggi razziali. E c’è l’impegno in prima linea di una donna determinata: Ada Sereni
Sono le prime ore del mattino del 23 ottobre 1948. Una serie di boati scuote il tratto di Mediterraneo vicino a Gaza. In pochi minuti, una nave militare si inclina su un fianco e affonda.
È la El Emir Farouk, ammiraglia della Marina militare egiziana che, con l’aiuto di una dragamine, cerca di rifornire via mare le proprie truppe di fanteria, accerchiate a terra dall’Esercito israeliano. Nello stesso assalto, anche la dragamine va fuori uso.
Poco distante è ormeggiata la Ma’oz, una corvetta israeliana. A bordo c’è il regista di quest’assalto ardito e micidiale: per le autorità civili israeliane è un ebreo romeno che cerca rifugio nella Terra Promessa. Ma il passaporto, su cui l’uomo è registrato come Mr. Katz, è falso.
In realtà è un militare in congedo della Marina italiana: si chiama Fiorenzo Capriotti ed è un marchigiano di 38 anni appena compiuti.
Lui ha impostato l’assalto alle navi egiziane, condotto con tre Mtm (la sigla sta per Motoscafi turismo modificati), dei barchini velocissimi con la punta imbottita di esplosivo.
Protagonista dell’attacco kamikaze, tipicamente italiano, è il gruppo B 10, costituito apposta per questa operazione. Lo compongono, due squadre.
Alla guida dei barchini esplosivi, ci sono tre piloti provenienti dal mondo dei kibbutz: Yohai Ben Nun, caposquadra (e futuro capo di stato maggiore della Marina militare israeliana), Zalman Abramov e Yakov Vardi.
Itzhak Brokman e Yakov Reitov, invece, guidano il mezzo di recupero. Il gruppo B 10, una volta finito il conflitto arabo-israeliano, confluirà nella Shayetet 13, una unità di incursori tutt’oggi operativa.
Soffermiamoci su questo nome particolare.
Il numero è un omaggio a una bizzarra superstizione militare di questi commandos, che si riuniscono il 13 di ogni mese per commemorare i compagni caduti in azione. Shayetet, invece sta per flottiglia.
Il riferimento a un altro celebre corpo di combattenti del mare e incursori non potrebbe essere più sfacciato (e, come usa dire oggi, politicamente scorretto). Va, infatti, all’italiana Decima flottiglia Mas, ovvero la X Mas del principe Junio Valerio Borghese. Cioè il corpo da cui provengono Capriotti e tutti gli altri addestratori italiani dei commandos israeliani.
Una domanda, a questo punto, è obbligatoria: cosa ci fanno dei soldati fascisti in Israele? Attenzione: dire “sono soltanto militari” non è una risposta. Almeno, non una risposta completa.
Quei fascisti alla corte di Gerusalemme
Capitano di terza classe, Fiorenzo Capriotti nel 1948 è un militare di lungo corso con un’esperienza operativa importante alle spalle.
Reduce praticamente di tutte le guerre del fascismo, si fa onore nella Decima, con cui partecipa a due operazioni importantissime: l’attacco alla Baia di Suda, del 25 marzo 1941, e il tragico (e glorioso) attacco a Malta del 25 luglio successivo.
In quest’occasione, Capriotti cade prigioniero degli inglesi e trascorre il resto della guerra nei campi di concentramento alleati: dapprima in Scozia, poi nel Missouri e alle Hawaii. Subisce la prigionia senza battere ciglio come non cooperante. Cioè come semplice prigioniero, che rifiuta di fornire aiuto o informazioni ai suoi carcerieri.
Torna in patria nel ’46 e si politicizza: aderisce da subito al Msi, l’unica formazione politica in cui potesse esserci spazio per un reduce della Decima, ne diventa dirigente e si candida alle Politiche del ’48.
Più politicizzato ancora, il suo superiore Giovanni Buttazzoni detto Nino, che non partecipa alle operazioni in Israele perché latitante.
Capitano del Genio navale della Marina militare italiana, il triestino Buttazzoni è praticamente il numero due della Decima, all’interno della quale crea una specialità: i Nuotatori paracadutisti, un corpo di incursori-sabotatori specializzati in operazioni anfibie e non solo dietro le linee nemiche.
Gli Np daranno non pochi problemi agli alleati durante la risalita dello Stivale. Già: Buttazzoni non finisce prigioniero, ma continua a combattere con la Decima, quindi aderisce, come il suo comandante Borghese, alla Rsi. Verso la fine della guerra, è protagonista di varie operazioni sul confine orientale e conduce alcuni durissimi rastrellamenti.
A conflitto finito (e perso), il capitano Buttazzoni si consegna agli inglesi, poi scappa. E finisce latitante a Roma, dove tuttavia partecipa, assieme ad Arturo Michelini, Pino Romualdi, Giorgio Almirante, al principe Valerio Pignatelli della Cerchiara e altri, alle attività del Senato, il nucleo neofascista clandestino da cui sarebbe sorto il Movimento sociale italiano. Sempre da latitante, l’ufficiale triestino è al centro di una delicata triangolazione tra l’Oss statunitense, il nascente Mossad e il Servizio di informazioni segrete (Sis) della Regia Marina.
Tra i protagonisti operativi di questo rapporto curioso (e segreto) tra Italia e Israele ci sono anche il capitano Geo Calderoni e il tenente di vascello Nicola Conte, specializzato nelle operazioni subacquee e, soprattutto, nell’uso dei Siluri a lenta corsa (Slc), noti anche come Maiali, armi terribili e insidiose con cui la Royal Navy britannica ha fatto i conti nei tre anni di guerra navale contro l’Italia.
Agostino Calosi: un ammiraglio per regista
Il regista assoluto di questa collaborazione è Agostino Calosi, capitano di fregata e poi ammiraglio.
Fiorentino, classe 1902, Calosi partecipa come comandante di varie unità Mas (rieccoci…) a varie, importanti operazioni militari nel Mediterraneo orientale.
In seguito all’armistizio dell’otto settembre, aderisce al Regno del Sud ed entra nel Sis.
Grazie al ruolo di comando ricoperto in questa struttura (che, assieme al Sid della Rsi, è ciò che resta dei servizi segreti italiani) l’alto ufficiale conduce una sua triangolazione, degna di un romanzo di un Le Carrè particolarmente in forma.
Dialoga a distanza col principe Borghese, di cui arruola un emissario e, contemporaneamente, manda propri emissari al Nord. Collabora, inoltre, col capo dell’Oss (la futura Cia) in Italia James Jesus Angleton.
Il motivo di questo triplo gioco, a cui non sono estranei i vertici della Monarchia (ma anche della Rsi) è piuttosto chiaro: salvaguardare il più possibile la tenuta delle istituzioni e cercare di far uscire l’Italia con le ossa meno rotte possibile dal conflitto, che volge alla fine con un esito scontato.
Allo scopo, si mira a schierare del tutto l’Italia nel fronte anticomunista, recuperando, allo scopo, tutto ciò che si può anche del regime fascista, come racconta con grande efficacia lo storico Giuseppe Parlato nel suo classico Fascisti senza Mussolini (Il Mulino, Bologna 2006). O di qua o di là, insomma. E salvare i seguaci del Duce per molti è meno peggio che rischiare di finire nelle grinfie di Stalin.
Angleton: prove tecniche di guerra fredda
La pensa così anche Angleton, che fa parte di una cordata delle istituzioni americane che ha capito che l’alleato di oggi, l’Urss staliniana, sta per diventare il nemico dell’immediato domani. E perciò reagisce con un anticomunismo ferocissimo con cui contribuisce a gettare i semi dell’ormai prossimo assetto bipolare mondiale.
Al quale si può sacrificare tutto, compresi gli imperi ormai crepuscolari di Francia e Gran Bretagna, dissanguate dalla guerra e incapaci di contenere la forza espansiva dell’Urss e, soprattutto, del Comintern.
In questa situazione paradossale – in cui due vincitori sono quasi sul lastrico e pieni di macerie – gli sconfitti, soprattutto Italia e Germania, hanno molto da guadagnare. E ha da guadagnare tantissimo chi non è ancora un pieno soggetto politico, ma è il prodotto degli sforzi, spesso sovrumani, di chi ha sofferto di più: Israele, che pur di diventare Stato e di sopravvivere, non va troppo per il sottile.
Ada Sereni: una donna con le palle
Questa storia ha anche un cuore, ma soprattutto un cervello, femminile: quello di Ada Sereni, nata Ascarelli.
Rampolla di una famiglia ebraica molto benestante della Roma bene (che vanta tra gli antenati la poetessa rinascimentale Debora Ascarelli), Ada frequenta con grande profitto il Liceo Mamiani. Lì conosce un altro rampollo della grande borghesia ebraica romana: Enzo Sereni, discendente di una famiglia di professionisti vicina addirittura a Casa Savoia (il papà Samuele era il medico di Vittorio Emanuele III).
I due giovani si sposano all’età di venti anni e poi, infervorati per la causa sionista, partono per la Palestina, dove, nel 1928, figurano tra i fondatori di Givat Brenner, uno dei più importanti kibbutz di Israele.
La coppia ha quattro figli, ma con la guerra perde la sua tranquillità: Enzo, noto per il suo attivismo, si arruola nell’esercito britannico e compie missioni dappertutto. Una gli è fatale e avviene proprio in Italia, dove si fa paracadutare nel territorio della Rsi.
Catturato dalle Ss finisce a Dachau, dove viene fucilato nel ’44.
Ma questo Ada, quando ormai la guerra volge alla fine, non lo sa. Perciò si reca in Italia alla ricerca del marito.
A guerra finita, la donna resta a Roma come responsabile dell’Agenzia Ebraica e agente del Mossad. In questa doppia veste gestisce due operazioni importanti: la Aliyah Beth, cioè l’immigrazione illegale degli ebrei verso la Palestina, e l’autodifesa del nascente stato di Israele da due pericoli: gli arabi, che iniziano a organizzarsi militarmente contro i nuovi arrivati, e i britannici, che di Stati ebraici nella Palestina amministrata da loro non vogliono neppure sentire parlare.
A questo scopo, Ada Sereni contatta i maggiori esponenti politici italiani, a partire da Alcide De Gasperi affinché le nostre autorità chiudano il classico occhio sulle attività dei patrioti israeliani nello Stivale, che nell’immediato dopoguerra è zeppo di profughi ebrei sopravvissuti ai lager che vogliono emigrare in Palestina perché in Europa hanno perso praticamente tutto.
Geo Calderoni: il cavaliere del mare
Ada Sereni racconterà il suo impegno nell’emigrazione clandestina verso la Terra Promessa nel suo romanzo autobiografico I clandestini del mare (Mursia, Milano 2005).
Uno dei protagonisti di questa fuga dall’Europa è il capitano Geo Calderoni, anche lui reduce della Decima. Calderoni non compie azioni di guerra, ma guida le imbarcazioni cariche di profughi su e giù per il Mediterraneo, aggirando la strettissima sorveglianza della Royal Navy.
Di questa attività, ma anche delle modalità d’ingaggio degli ex marò, c’è una forte testimonianza in Solo per la bandiera (Mursia, Milano 2019), l’autobiografia di Nino Buttazzoni.
Ecco cosa scrive il fondatore dei Np:
«[…] vengo invitato a prendere contatto con il centro di coordinamento dei servizi israeliani a Roma. È diretto dalla signora Sereni con la quale ho un lungo colloquio. […] L’incarico mi attira, anche perché significa misurarsi di nuovo con gli inglesi, decisi a opporsi allo sbarco degli ebrei in Palestina. […] ma adesso ho una famiglia a cui pensare e un lavoro tranquillo presenta prospettive migliori […] Rinuncio ma suggerisco di avvicinare vari ufficiali degli NP sia del Nord sia del Sud. Alcuni vengono ingaggiati per condurre imbarcazioni, come il capitano Geo Calderoni che riuscirà più volte a beffare con abilità e coraggio la stretta sorveglianza degli inglesi».
Al netto dell’elogio alla bravura di questo scafista cavalleresco e umanitario, dal racconto di Buttazioni emerge un dato: gli israeliani vogliono proprio i marò della Decima. È solo per la loro bravura o c’è altro?
Fascio e Menorah: un cortocircuito sionista
A rileggere alcuni aspetti della storia del Ventennio, sembra che la pagina infame delle leggi razziali sia stata soprattutto una brusca interruzione di un rapporto, al contrario, positivo non solo tra regime ed ebrei tout court, ma anche tra fascismo e sionismo.
Il protagonista, in questo caso, è un intellettuale polemico e geniale: Vladimir Evgen’evič Žabotinskij (noto anche come Jabotinsky), un avvocato e giornalista russo di origine ebraica.
In aperta polemica col mondo sionista ufficiale, Žabotinskij fonda, nel 1930, il Partito revisionista sionista e il suo movimento giovanile, il Bethar.
Quest’ultimo gruppo si dedica, in particolare, alla formazione navale e militare dei giovani ebrei. I quali sono addestrati in due Paesi: la Lettonia, ancora non ingurgitata dall’Urss, e l’Italia fascista.
Per quel che riguarda l’Italia, all’epoca non ancora succube della Germania e del nazismo, il luogo prescelto è Civitavecchia, dove esiste una buona scuola navale sin dagli anni ’20.
Radicale più nei metodi (a cui si ispirerà l’organizzazione paramilitare e terroristica Irgun Tzvai Leumi) che nelle idee, Žabotinskij sogna uno Stato di Israele in cui ebrei ed arabi possano convivere con perfetta parità, civile e politica, di diritti.
Cinico e spregiudicato, Žabotinskij è anche un ammiratore del fascismo e di Mussolini, che all’epoca fanno scuola tra i nazionalisti e i movimenti anticoloniali (cioè antibritannici e antifrancesi) più o meno come il Risorgimento l’aveva fatta sessant’anni prima.
Cinici e spregiudicati sono fatti per intendersi: Mussolini, che vede di buon occhio l’idea di uno Stato ebraico indipendente nel Mediterraneo orientale (lo considera, infatti, un avversario potenziale della perfida Albione e, quindi, alleato dell’Italia) avalla l’operazione in prima persona.
Così, all’interno della scuola di Civitavecchia, nasce una Scuola nautica ebraica, finanziata dal Lloyd di Trieste e affidata a Nicola Fusco, capitano della Marina mercantile e studioso affermato di Scienze nautiche. Un dettaglio estetico simboleggia questo legame particolare tra i giovani del Bethar e l’Italia fascista: sulle divise dei cadetti ebrei c’è una menorah, ricamata accanto al fascio littorio.
Le leggi razziali calano come una mannaia su questo rapporto tra l’Italia e Israele. Ma i frutti ci sono comunque: i ragazzi che si sono addestrati a Civitavecchia costituiranno l’ossatura della Marina israeliana. E, al momento opportuno, si ricorderanno dei loro maestri fascisti.
A caccia di mezzi e piloti
Torniamo al dopoguerra. Una volta trovati i reduci disponibili, resta un problema: come procurarsi i barchini esplosivi e i siluri a lenta corsa che hanno reso celebre la Decima?
Se ne occupa Volodia Izkovitz, un comandante della nascente marina israeliana.
Izkovitz trova un esemplare di Mtm a Livorno nel 1948 e scopre chi lo ha progettato e fabbricato: la Cabi Cattaneo, un’azienda di Milano.
L’ufficiale, quindi, si reca nel capoluogo lombardo per incontrare l’ingegner Giustino Cattaneo, il titolare della ditta. Appena in tempo: priva di commesse, la fabbrica è sull’orlo del fallimento. Izkovitz propone all’ingegnere un appalto di cinquanta milioni di lire dell’epoca per un totale di trenta barchini divisi in tre lotti: la classica boccata d’ossigeno.
Grazie all’impegno del capitano Capriotti, anche questo rapporto industriale si approfondisce, dopo il successo di Gaza. Stavolta il protagonista è Guido Cattaneo, figlio di Giustino e anche lui ingegnere e, soprattutto, forte di una certa esperienza militare: durante la guerra ha militato nella Decima come ufficiale di complemento.
La Cabi riempie la Marina israeliana di barchini e di maiali, che contribuiscono all’affermazione militare del giovane Stato.
Italia-Israele: uno strano rapporto
Il sionismo di Mussolini, non ancora subalterno a Hitler, non ha nulla di particolare: il duce si limitava a interpretare una visione geopolitica nazionale che risaliva al Risorgimento.
Secondo questa lettura, l’Italia avrebbe dovuto ritagliarsi un ruolo di grande potenza regionale autonoma dai grandi imperi (britannico e francese) che dominavano il Mediterraneo, se possibile approfittando anche delle loro rivalità reciproche e facendo leva sui movimenti di liberazione nazionale.
Discorso simile per Alcide De Gasperi, che accetta di aiutare Ada Sereni non solo per il senso di colpa provato per le leggi razziali, ma soprattutto per ritagliare spazi autonomi alla politica dell’Italia non ancora ammessa nella Nato e guardata a vista da Francia e Uk. Per sfuggire a questa morsa, l’unica è allinearsi alla visione degli Usa e aiutare il nascente Stato di Israele.
La politica estera italiana (finché ne abbiamo avuta una) non è mai stata una politica di potenza, a dispetto anche della retorica mussoliniana. Al contrario, è sempre stata una politica di sopravvivenza, per cui l’Italia ha avuto la moglie israeliana e l’amante araba per non farsi schiacciare dai partner europei, pericolosi come nemici (e si è visto) ma ingombranti come amici.
Dio stramaledica gli inglesi? Lo dicevano gli uomini della Decima, lo hanno ripetuto gli israeliani. Ed ecco che mettersi d’accordo è stato facilissimo.
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Devo dire che il brano è scrittore talmente bene che sembra di prendere parte agli eventi dal vivo.
Bravissimo direttore.!!!!