Daniel: melodia e nostalgia nel ritorno dei Real Estate
Indie pop, ma anche jangle, anni’60, più un pizzico di psichedelia e country nel nuovo album della band del New Jersey
Ci sono domande a cui rispondere è inutile. Ad esempio: è vero che i Real Estate hanno intitolato Daniel (Domino 2024) il loro sesto album per omaggiare il produttore Daniel Tashian, re della scena country-rock?
Quesito ozioso a parte, Tashian ha fatto un lavoro notevole: grazie al suo intervento alla consolle il sound dei Real Estate risulta più avvolgente e profondo. Soprattutto, arricchito da qualche soluzione originale, favorita sia dalla location (i mitici Rca Studios di Nashville) sia dalla pedal steel guitar efficace ma mai invasiva di Justin Schipper.
Per il resto, le novità non sono tantissime.
Lo stile è quello di sempre, cioè un indie pop pieno di reminescenze anni ’60, a cavallo tra psichedelia e jangle.
La formazione è stabilizzata dal 2020, anno dell’ingresso della brava Sammi Niss alla batteria al posto di Jackson Pollis. Per il resto, continuano a dare buona prova di sé il frontman e chitarrista Martin Courtney, il chitarrista Julian Lynch, che dal 2016 sostituisce (benissimo) il carismatico fondatore Matt Mondanile, il tastierista Matt Kallman, e il bassista e cantante Alex Bleeker. Il risultato sono undici brani gradevoli. Ma non aspettiamoci trovate rivoluzionarie né capolavori.
Le undici carezze pop di Daniel
Un tappeto di tastiere per iniziare, poi stacchi di accordi strimpellati nel più classico strumming e si parte: l’open track Something New riallaccia il filo del discorso sospeso a febbraio 2020 con The Main Thing. Lo fa con una linea vocale morbida ben accompagnata da un riff arpeggiato di chitarra alla Rem e da una ritmica gradevole e sostenuta.
Attacco countryeggiante e sviluppo brioso nella più sognante Haunted World, che oscilla tra i richiami al jangle anni ’60 e il ricordo degli anni ’90.
Anche la seguente Water Underground si muove sul filo della bizzarra nostalgia per la fine dello scorso millennio, evidentemente mitizzata dalla switch generation del rock americano e britannico, di cui Courtney e soci fanno parte a pieno titolo.
Ritmo spedito e refrain sognante in Flowers, che si cita ancora i Rem, tra un ricamo e l’altro della pedal guitar.
Come da titolo, Interior è una bella ballad intimistica, dalle vaghe reminiscenze eastcostiane, evocate dalle chitarre jangle e dalla consueta steel.
Un bel controtempo della batteria di Niss sostiene la raffinata Freeze Brain, che si segnala per le sue soluzioni armoniche vagamente jazzate.
Say No More è un altro tuffo nella doppia nostalgia (sessantiana e novantiana) dei Real Estate, che incrociano Rem e Byrds con grande disinvoltura.
Ritmo sostenuto e armonia minimale per Airdrop, che fa leva su un giro marcatissimo e rotondo di basso, riempito qui e lì dalle chitarre arpeggiate, con e senza eco.
In Victoria, un’altra ballad carica di suggestione, si respira a pieni polmoni l’aria di Nashville: il mix tra folk (nel refrain) e country (negli arrangiamenti) è ben calibrato e si lega bene con i cori pop.
Con la ritmata Market Street il quintetto del New Jersey ritorna al sound anni ’90, con melodie e riff che sembrano presi di peso da una heavy rotation dell’epoca.
Chiude la sognante You Are Here, che saluta gli ascoltatori con le sue atmosfere morbide e cariche di pathos allo stesso tempo.
Il buon ritorno dei Real Estate
Garbati, estrosi e creativi quel che basta, i ragazzi di Ridgewood sono riusciti comunque a fare un po’ di strada, a dispetto anche di un mercato sempre più saturo. Specie per l’indie.
Daniel, diciamola tutta, non brilla per originalità o per la ricerca sonora (quest’ultima davvero poca e merito più del produttore che della band). Tuttavia, è un disco bello e onesto, che interpreta con fedeltà i presunti canoni dell’indie.
Detto altrimenti: i Real Estate, accusati a volte di essersi adagiati in improbabili confort zone, non hanno problemi. Il loro problema, semmai è proprio l’indie, diventata ormai un’etichetta piuttosto farlocca, buona per coprire di tutto: dal pop che non riesce ad approdare alle major, ai reduci infiacchiti di certo punk per finire con operazioni nostalgia sotto spoglie neppure troppo mentite. Come, appunto, la produzione dei Real Estate.
Daniel non è un disco da criticare a tutti i costi o, viceversa, da difendere a spada tratta. È un album godibilissimo, da apprezzare per quel che è: la riproposizione di formule non più nuove, che tuttavia possono ancora suscitare qualche bella emozione.
Non è davvero poco.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Real Estate
Da ascoltare (e da vedere):
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