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Hopiumforthemasses: una nuova dose della droga sonora dei Ministry

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Tornano i papà dell’industrial metal con nove canzoni durissime, arricchite da un carnet di ospiti di tutto rispetto. Liriche punk, voci distorte e riff pesantissimi per celebrare quarant’anni di carriera a tutto volume

Un bel po’ di numeri e altrettante provocazioni per Hopiumforthemasses (Nuclear Blast 2024) l’ultima fatica dei Ministry, i mitici papà dell’industrial metal.

Iniziamo dei numeri: Hopiumforthemasses è il sedicesimo album in studio della band di Chicago, su una produzione complessiva di ventinove album (inclusi i tre live e dieci raccolte). La produzione cresce in maniera esponenziale se ci si riferisce al solo leader Al Jourgensen, unico componente stabile del gruppo: in questo caso, tra album solisti, progetti collaterali e ospitate varie, si sfiorano le cinquanta incisioni in circa quarant’anni.

E, al riguardo, occorre chiedersi: i Ministry di oggi sono una band o l’ennesima incarnazione solista del trasgressivo artista di Chicago?

La formazione attuale dei Ministry

Veniamo alle provocazioni: a partire dal titolo, Hopiumforthemasses (che riprende in maniera non proprio velata l’adagio marxista riferito alla religione oppio dei popoli) trabocca di trasgressioni. E Jourgensen, trasgressivo e dissacrante a oltranza, ne ha davvero per tutti, soprattutto la way of life sempre più ipocrita e oppressiva di certo sistema yankee. Ma, è ancora lecito chiedersi: quanta di questa trasgressività resta genuina dopo quarant’anni e passa di strafottenza pura e di pose antisistema mutuate dalla scena underground e hardcore? Di più: finita l’era Bush, destinatario delle vecchie invettive della band, ed essendo tuttora in bilico il ruolo di Trump, non c’è il rischio che i Ministry si ritrovino senza bersagli?

Hopiumforthemasses: nove gemme tra industrial e thrash

Intanto, pensiamo alla musica, che nel caso della band di Detroit resta di valore, grazie anche al validissimo apporto di un nutrito carnet di ospiti. I quali si integrano come si deve all’attuale formazione dei Ministry, composta (ovviamente) da Jourgensen, che canta e suona di tutto tranne la batteria, dai chitarristi Cesar Soto e Monte Pittman (che milita tra l’altro nella band di Madonna), il tastierista John Bechdel, il bassista Paul D’Amour e il batterista Roy Mayorga.

A livello musicale, il risultato è all’altezza delle aspettative: Hopiumforthemasses è un album tirato e compatto, in linea sia con la produzione più recente (ad esempio AmeriKKKant del 2018) sia con i classici degli anni ’90 della band.

B.D.E. è una open track da manuale, a livello musicale e contenutistico. Dal primo punto di vista è una efficacissima raccolta di cliché dell’industrial metal più duro, pensati bene e assemblati meglio: riff pesantissimi e ritmica martellante, più i canonici cambi di tempo, da un prima parte cadenzata, che sfocia in una galoppata hardcore. La trasgressione è assicurata dallo stesso titolo: B.D.E. sta per Big Dick Energy e irride quel concentrato di misoginia che è il pensiero Incel (con le sue potenziali derive criminogene).

Altro pezzo altro bersaglio: Goddamn White Trash mette alla berlina i complottisti alla Qanon e i gruppi di destra radicale, con un’alternanza durissima tra tappeti elettronici, riff tra thrash e punk, su cui spicca la voce distorta e filtratissima del frontman.

Inutile dire che, anche in questo pezzo, i cambi di tempo abbondano. Il risultato è cattivo e caciarone, tutto da pogare ed è arricchito dalla performance al microfono di Pepper Keenan dei Corrosion Of Conformity, che prende il posto di Jourgensen.

La seguente Just Stop Oil è un inno ambientalista, tiratissimo e inquietante. Anche qui spadroneggia il mix tra elettronica e riff metal, più le consuete cariche hardcore.

Più classicamente metal – ma sempre rivisto e scorretto alla Ministry – la pesantissima Aryan Embarassment, che si segnala per il bel riffing a cavallo tra thrash e doom e un wha wha assassino, frutto del guest star Billy Morrison, che si divide tra i Cult, Billy Idol e la corte di mr Jourgensen. E che dire del cantato, che invece ricorda i vecchi Dead Kennedys? Non è un caso, ma merito di Jello Biafra in persona, che divide il microfono col padrone di casa per denunciare le derive antidemocratiche dei certe visioni amerikane.

La copertina di Hopiumforthemasses

Tempi ultratiratissimi, doppia cassa in spolvero, riff hardcore thrash più le consuete voci distorte nella violentissima Tv Song 1/6 Edition, la canzone più tosta dell’album.

Più cadenzata – ma di sicuro non più morbida – la seguente New Religion. Anche in questo caso, spiccano i riff violentissimi, su cui Jourgensen declama versi ispiratissimi.

It’s Not Pretty è, invece, il pezzo più morbido della raccolta. L’aggettivo, ovviamente, va adattato ai Ministry, che consegnano agli ascoltatori una ballad un po’ perversa. Ma è solo un’impressione di breve durata, perché a metà minutaggio il pezzo esplode nella consueta sfuriata.

I toni si fanno più scanzonati, quasi paradossalmente allegri, in Cult Of Suffering, in cui un coro di voci femminili accompagna la performance al microfono di un ispiratissimo Eugene Hütz, che presta ai Ministry l’ironia dei suoi Gogol Bordello.

Chiude l’album, con un totale cambio di atmosfera e di sonorità (che virano sul synth pop anni ’80) la simpaticissima Ricky’s Hand, già piccolo classico dei britannici Fad Gadget, di cui Jourgensen e sodali offrono una cover ben fatta.

Al Jourgensen in azione sul palco

I Ministry picchiano ancora

Una metafora per concludere: l’oppio sarà senz’altro per le masse, ma i Ministry dispensano ben altre, più potenti ed eccitanti droghe sonore.

Quest’ultima fatica merita davvero più di un ascolto attento, possibilmente con il traduttore attivato sui testi, che rivelano come si possa trasgredire ed essere antisistema senza scadere in banalità e luoghi comuni.

Meno danzereccia e più genuina dei Rammstein (il polo europeo dell’industrial) la band di Chicago dimostra una longevità artistica che sfida le mode, l’usura del tempo e persino le tragedie (le morti premature di alcuni ex membri). Li si condivida o meno a livello ideologico, i Ministry meritano attenzione perché hanno ancora molto da dare musicalmente. Approfittiamone, allora, finché siamo in tempo.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Ministry

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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