Croce e Volpe, lo strano rapporto
Lo storico e il filosofo ruppero nel 1927, a causa del fascismo. La recente pubblicazione del loro epistolario permette di ricostruire il legame intellettuale tra i due studiosi
Il 4 dicembre 1917 Benedetto Croce annotò nei suoi Taccuini di lavoro: «Verso sera, è venuto il prof. Gioacchino Volpe per discorrermi di un cosiddetto Ufficio storiografico, sorto a Roma presso il Ministero della guerra».
Il tono dell’appunto di Croce sembra far trapelare un certo fastidio. In effetti l’Ufficio storiografico della mobilitazione – nato durante la prima Guerra mondiale per documentare lo sforzo bellico italiano da un punto di vista economico, storico e sociologico – fu oggetto della critica, e poi dell’aperta ostilità del filosofo napoletano, il quale in una lettera del 1919 a Francesco Saverio Nitti affermò che esso «servì soltanto a spreco di danaro e a collocare in posti comodi alcuni che volevano oziare, o profittare, o illudersi di fare».
Croce e Volpe: fine di un’amicizia
A dispetto di questa radicale divergenza di vedute, però, il rapporto di amicizia fra Croce e Volpe non si ruppe se non dieci anni più tardi, nel 1927, allorché giunse a definitiva maturazione il distacco provocato dall’approdo ai contrapposti lidi dell’antifascismo e del fascismo.
Nell’ultima lettera del 28 agosto 1927 Croce rimproverò al suo interlocutore qualcosa che andava al di là del mero dissidio politico, ovvero l’accusa di aver «civettato col fascismo», orgogliosamente rigettata dall’autore dell’Estetica: «E voi sapete certo che questo non è vero, che io non ho mai carezzato, o adulato, o in qualsiasi modo mi sono offerto al fascismo, e alzi ho lasciato sempre cadere le avances a me fatte. Ho bensì per certo tempo sperato e creduto che esso non si sarebbe sostanzialmente allontanato dalla via liberale dell’Italia, e questo, se mai, è amore (che mal si direbbe “civettamento”) per l’Italia della qual sono devoto figliolo».
A prescindere dalla questione personale, la lettera conteneva anche una pesante riserva di natura prettamente scientifica. In precedenza Croce aveva incluso Volpe, insieme con Salvemini, Caggese e altri, fra gli «ingegni non filosoficamente armati» esponenti della «scuola economico-giuridica», che a suo dire si era formata sotto l’influsso del socialismo e del materialismo storico, «e a questo rimaneva inconsapevolmente ma fondamentalmente legata, e delle angustie di questo soffriva».
Il filosofo riconosceva, sì, all’antico collaboratore di essersi sforzato di allargare la ristretta visione storiografica materialistica. Tuttavia, non meditando e non criticando filosofia, Volpe aveva raggiunto il solo risultato di approdare alla storia dei Treitschke e degli altri nazionalisti tedeschi, «cioè ad un concetto altresì intrinsecamente materiale ed economico» perfettamente opposto e speculare a quello del materialismo storico, «come il nazionalfascismo è stato definito un bolscevismo capovolto».
Croce e Volpe: l’epistolario
Terminavano, così, una lunga consuetudine scientifica e un rapporto di stima e di amicizia che risalivano al gennaio 1900, data della prima delle oltre ottanta missive scritte da Gioacchino Volpe a Benedetto Croce e recentemente pubblicate dalla Società Editrice Dante Alighieri a cura e con un saggio introduttivo dello storico Eugenio Di Rienzo, con il titolo “La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco”. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce 1900-1927 (Collana Minima Storiografica della «Nuova Rivista Storica»).
Nell’introduzione al volume, Di Rienzo ricorda l’impatto che la rivoluzione copernicana della storiografia «etico-politica» crociana ebbe su Volpe, il quale vide nell’inquilino di Palazzo Filomarino il modello della «storiografia inafferrabile» da lui perseguita, fondata su una concezione realistica della storia in grado di opporsi a tutte le teologie e metafisiche, pur rigettando il materialismo. Dal canto suo, ricorda Di Rienzo, Croce scorgeva nel più giovane collega la possibilità di indurre nel campo dell’analisi del passato una profonda revisione e un depotenziamento del materialismo storico, «in opposizione alla sua deriva in chiave di sociologismo positivistico e soprattutto alle sue implicazioni più direttamente pratico-politiche».
Croce e Volpe: il sodalizio
La consonanza di vedute fra i due intellettuali sfociò nell’offerta di collaborazione a «La Critica» che Croce rivolse a Volpe in una lettera del 19 gennaio 1905 con parole lusinghiere, anche a nome di Giovanni Gentile: «Voi siete perfettamente nel nostro ordine d’idee: rappresentate quell’indirizzo di studi storici che bisogna far prevalere in Italia pel decoro del nostro Paese e per la sua posizione scientifica rispetto all’estero. Voi potete dunque aiutare a colmare la lacuna. Basterà che mi mandiate 4 o 5 articoli l’anno, tra recensioni e varietà, concernenti problemi generali di storia, e tutto sarà in regola. Contiamo dunque su di voi».
Il sodalizio iniziò nel migliore dei modi, con la recensione di uno studio di Gino Arias,Il sistema della costruzione economica e sociale italiana nell’età dei Comuni, interamente costruito a partire dalle tesi dell’economista Achille Loria, già pesantemente criticate e confutate dallo stesso Croce in un saggio poi confluito all’interno del volume Materialismo storico ed economia marxistica.
La recensione di Volpe stroncava duramente il libro di Arias, che peraltro si prestava a un giudizio severo per la sua pretesa di trovare, come criterio di obiettività scientifica della storia, una legge regolatrice unica di tutti i diversi e disparati fatti sociali, da rinvenire nella presunta razionale e naturale necessità di un’autotutela delle energie produttive, indipendente dall’azione umana.
In conformità a questo metodo d’indagine – rileva Di Rienzo – il lavoro dello storico perdeva, secondo Volpe, la sua specificità e si riduceva a essere del tutto gregario a quello dell’economista e soprattutto del sociologo, come dimostrava, in quegli stessi anni, la vera e propria diaspora di molti giovani storici generalisti e storici del diritto dalle sedi specialistiche alla «Rivista Italiana di Sociologia».
La partnership realizzata da Croce e da Volpe sulle pagine de «La Critica» non si limitò, però, a una pars destruens, implicante un’impietosa selezione di metodi e di studiosi. Sulle colonne della rivista crociana ebbe vita, invero, una pars construens, con la quale si cercava di favorire il rapporto tra storici e storici dell’economia, a condizione che questi ultimi non intendessero la storia dei modi di produzione come storia dei sistemi economici tout court, così da risolvere interamente il lavoro dello storico nella scienza economica.
Così, per esempio, accadde con Luigi Einaudi che, nell’aprile del 1908, fece pervenire a Croce i suoi lavori più recenti sulla finanza sabauda nel XVIII secolo.
Croce e Volpe: la ricucitura
La presenza crociana nella biografia intellettuale di Volpe fu dunque importante, per non dire fondamentale, anche se, dopo la rottura, essa venne svalutata e misconosciuta, per ragioni opposte, da entrambi gli ex amici. In buona sostanza, però, il dissidio ebbe solo carattere politico, sebbene Croce facesse di tutto per farlo passare per un contrasto che interessava due diverse concezioni storiografiche, svalutando, con poca generosità, la produzione del suo avversario, divenuto un nemico da distruggere anche sul piano intellettuale e morale.
Questo aspro scontro, ricorda ancora Di Rienzo, ebbe però un momento di ricomposizione parziale molti anni dopo. In una conferenza pronunciata nel 1950 davanti agli alunni dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, Croce dichiarò la sua ripugnanza a redigere una storia del precedente ventennio della vita italiana, aggiungendo però che, se si fosse risoluto a intraprendere un simile lavoro, non avrebbe mai dipinto «un quadro tutto in nero, tutto vergogne ed orrori»; anzi, avrebbe dato risalto «al bene che, molto o poco, allora venne al mondo», rendendo giustizia aperta a quanti aderirono al nuovo regime «mossi non da bassi affetti, ma da sentimenti nobili e generosi, sebbene non sorretti dalla necessaria critica, come accade negli spiriti immaturi e giovanili».
In margine al passo precedente, Gioacchino Volpe annotò questa frase: «E che altro è fare “la storia”»?
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